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“Sono in molti ad affidarsi a ciò che sentono dire in televisione, anche coloro che hanno delle responsabilità nei procedimenti di cui si ‘chiacchiera’ sul piccolo schermo…”
di Domenico Leccese
La criminologa Ursula Franco, consulente della difesa di Michele Buoninconti, parla di menzogne e del peso che queste assumono per la società, in termini economici e non solo. Ursula Franco affronta anche la tematica riguardante gli operatori della Giustizia e della mentalità di questi ultimi che si forgia nelle nostre università. A tale riguardo Ursula Franco ci ha concesso un’intervista.
C’è stato bisogno di ben cinque gradi di giudizio per arrivare alla sentenza per l’omicidio di Chiara Poggi, a cosa attribuisce le lungaggini del nostro sistema giudiziario?
Non esiste una sola causa, nelle fasi iniziali delle indagini sono un problema l’inesperienza di chi indaga in provincia e la generale assenza di una adeguata preparazione necessaria per affrontare un primo interrogatorio di un sospettato, che è cruciale per muovere i primi passi verso la verità. Ci sono ancora molti pregiudizi nei confronti dell’analisi del linguaggio che invece, se applicata come si deve, come lo è di norma in America, indica la strategia d’indagine. Queste odiose lungaggini sono dovute anche al fatto che i consulenti spesso non dicono il vero o dissimulano, come sostiene Jacques Vergès nel suo libro ‘Gli errori giudiziari’: ‘Gli esperti sanno compiacere coloro che li fanno lavorare…’, ciò vizia la soluzione di un caso ed allunga inevitabilmente i tempi della giustizia. Purtroppo tutto nasce dall’idea errata di chi si occupa di un certo procedimento, sia da una parte che dall’altra, che una consulenza possa essere la chiave di volta di un caso e gli permetta di chiuderlo rapidamente, in quest’ottica i consulenti finiscono per manipolare i risultati delle proprie analisi in modo da avvalorare il convincimento di chi gli ha commissionato la consulenza, ciò obbliga il giudice a chiedere ulteriori analisi da parte di periti da lui nominati e ritarda il raggiungimento della verità. Non è una novità ciò che le sto dicendo, esistono testi americani sull’errore giudiziario dove si parla di consulenti ‘partigiani’, è un noto gioco delle parti che nessuno è interessato ad interrompere. Un altro problema degli inquirenti è la mancanza di una formazione scientifica, oggi fondamentale, in quanto ormai il risultato di un’indagine è una sorta di diagnosi, i dati più rilevanti si analizzano con il metodo logico scientifico, sconosciuto a chi non ha una specifica preparazione, chi indaga dovrebbe farsi affiancare da un criminologo con una laurea scientifica che sia in grado di processare, criticare e valutare i dati delle consulenze in modo elastico.
In che modo i media influenzano i processi?
Sono in molti ad affidarsi a ciò che sentono dire in televisione, anche coloro che hanno delle responsabilità nei procedimenti di cui si “chiacchiera” sul piccolo schermo, in Italia si legge poco, è troppo impegnativo, la tradizione orale non è mai stata abbandonata e, purtroppo, le notizie che vengono diffuse dai media sono manipolate o frammentarie e vengono interpretate spesso in modo erroneo dagli pseudo esperti stipendiati dai vari programmi televisivi, programmi in cui nessuno è realmente interessato alla verità ed i conduttori appoggiano una tesi o un’altra a seconda del loro ritorno in termini di share, ne è la riprova l’assenza di contraddittorio. Inoltre, ormai parlare di criminologia senza conoscerla va di moda. Per disquisire delle responsabilità di qualcuno in merito ad un reato così grave come l’omicidio è necessario avere adeguate competenze ed aver approfondito il caso, le competenze di cui parlo non sono quelle giornalistiche, ignorando la criminologia si rischia di prendere lucciole per lanterne, non senza fare danni irreparabili, come nel caso di Michele Buoninconti. I media non solo intrattengono la massa ma condizionano i testimoni dei vari procedimenti e spesso forgiano, purtroppo, anche il pensiero di inquirenti e giudici. Le parrà incredibile ma ho la certezza che, come gli pseudo esperti televisivi, molti avvocati di parte civile e non solo, non abbiano mai letto con cura gli atti dei casi di cui si occupano. Aggiungo che non si può credere acriticamente alle conclusioni di una procura. La regola dovrebbe essere collaborare alla ricerca della verità. Da sempre la superficialità ha condizionato i risultati dei processi e favorito l’errore giudiziario ma, evidentemente, la storia non insegna.
Come si risolve un caso?
Un caso, lo ripeto, non si risolve magicamente con una o più consulenze di parte, si risolve raccogliendo la maggior quantità di dati possibili con le indagini tradizionali, analizzandoli, affiancando a questi dati consulenze mirate e traendo, solo dopo uno studio approfondito di tutte le risultanze, le conclusioni. Si risolve semplicemente lavorando, escludendo ogni possibile ipotesi alternativa, processando senza pregiudizio le dichiarazioni di un indagato, quelle dei familiari di una vittima e dei testimoni, valutando nel giudizio finale a quanti mesi di distanza dai fatti sono state raccolte ed in quale clima mediatico.
Il suo sogno nel cassetto?
Ne ho due, sogno un paese con una giustizia morale dove gli avvocati difendano solo innocenti e colpevoli rei confessi; dove nelle aule universitarie si educhino gli studenti all’etica e all’estetica della verità; dove il diritto alla miglior difesa, come vuole la legge, si associ al rispetto per le vittime e per i loro familiari; dove si faccia il possibile per limitare una giustizia beffa; dove la confessione sia la regola e chi ha commesso un grave reato sia sottoposto ad un percorso psico riabilitativo; dove scompaia per sempre il ridicolo balletto tra una sentenza di assoluzione ed una condanna all’ergastolo; dove le famiglie, sia quelle delle vittime, già provate da lutti intollerabili, che quelle dei carnefici, non vengano sottoposte ad una indecente esposizione mediatica; dove non si dia più spazio alle odiose e diseducative tarantelle di giornalisti, pseudo esperti e sensitivi che speculano sulla morte violenta; dove gli avvocati non si trovino esposti al ridicolo nel tentativo di giustificare un: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”, come se avesse ragione di servirsene un innocente e poi sogno di poter collaborare alla revisione del processo per l’omicidio di Meredith Kerchner. Infine, vorrei ricordare che le menzogne hanno un costo enorme per la società in termini economici e che le mentalità di coloro che si occupano di giustizia si forgiano nelle università.