FORTI, EROE? E’ UN ASSASSINO

CRONACHE del MEZZOGIORNO, 8 gennaio 2021

CHICO FORTI E’ UN ASSASSINO A SANGUE FREDDO NON UN EROE NAZIONALE, LE VOCI DEGLI ESPERTI

Il Governatore della Florida Ron DeSantis, su richiesta del Dipartimento della Giustizia Americana e del Governo Italiano, ha approvato il trasferimento in un carcere italiano del condannato per omicidio Enrico Forti. Un portavoce del Governatore DeSantis ha detto che il trasferimento è stato approvato “in seguito all’assicurazione del governo italiano che il signor Forti servirà tutto il resto della sua pena detentiva in Italia.”

Le Cronache Lucane, 30 dicembre 2020

Il Pubblico Ministero Katherine Fernandez Rundle ha dichiarato di essere “delusa dalla decisione dell’amministrazione” di rimandare Enrico Forti in Italia e ha aggiunto: “A causa della solidità dell’impianto accusatorio contro Forti,12 giurati hanno rimandato al mittente i suoi numerosi egoistici tentativi di dirottare i sospetti su altre persone per l’omicidio di Dale Pike. I suoi numerosi appelli sono falliti per simili ragioni.”

Cronache Lucane ha chiesto un opinione sul caso ad alcuni tra gli esperti protagonisti della cronaca giudiziaria italiana.

Elisabetta Sionis, criminologa: “Ritengo sia abominevole il tentativo di voler far figurare che un assassino, giudicato oltre ogni ragionevole dubbio con prove certe ed inconfutabili, assurga al ruolo di vittima di un sistema giudiziario extra-italiano e di conseguenza sia presentato all’opinione pubblica come un martire che finalmente torna in Patria. Questo sovvertimento della Verità fattuale e giudiziaria danneggia tutte le persone di buona volontà ed avvantaggia chi con alta probabilità potrebbe speculare da una situazione del genere. È oltremodo vergognoso ed oltraggioso, non solo ai danni della vittima e delle vittime collaterali di quell’efferato omicidio, ma anche contro chiunque amministri, creda e si affidi al Sistema Giustizia.  Non è assolutamente accettabile che Chico Forti, assassino che ha barbaramente premeditato un omicidio per  futili ed abietti motivi, (come pure ricordo, accadde nel caso degli efferati  assassini della strage di Erba), possa assurgere al ruolo di vittima solo perché sponsorizzato da soggetti influenti mediaticamente. Stiamo percorrendo da troppo tempo una china di malagiustizia dettata dal mainstream mediatico ed extra-giudiziario al quale mi oppongo con tutte le mie forze. Chico Forti torna in Italia per scontare la sua pena all’ergastolo. Sia chiaro.”

Claudio Giusti, esperto di diritto internazionale: “La notizia che un condannato lwop torni al paesello era incredibile. Mesi fa Wilma Forti, l’unica in grado di intendere e volere, mi propose di unirmi all’allegra brigata. Nel rifiutare le spiegai che io posso essere molto bravo, e lo sono, ma che a loro serviva qualcuno del posto esperto, competente e che conoscesse tutti gli angoli del sistema giudiziario della Florida. Poi scrissi a diversi professori e avvocati americani, e persino all’ex giudice della Florida Supreme Court Raoul Cantero. Nessuno di essi aveva mai sentito parlare del Forti, come nessuno conosceva casi di lwopers graziati e/o rispediti al paesello. L’unico caso di grazia che sono riuscito a rintracciare è quello di Sharanda Jones che però fu condannata all’ergastolo lwop per un reato federale da quattro soldi. Informai, come al solito, Wilma Forti e le passai anche il numero di telefono di un avvocato specializzato in “parole”. Ho anche suggerito di interpellare Reprieve, il Progetto Innocenti, e gli altri che si occupano di innocenti, ma senza fortuna. Oggi, dopo l’incredibile novità dell’invio in Italia, sono caduto dalle nuvole e ovviamente ho ricevuto una quantità di insulti, minacce e derisioni dai soliti analfabeti. Ho iniziato a scrivere di nuovo a tutti quanti gli americani che conosco e sono tutti stupefatti. Mi sono chiesto se il Gov. della Florida si renda conto dell’importanza del precedente che ha appena creato: lui non so, ma gli altri certamente sì e l’articolo comparso ieri sul Miami Herald lo spiega piuttosto bene. Gli Stati Uniti sono un paese di common law dove il precedente ha grandissima importanza e nella sola Florida ci sono centinaia di persone che possono chiedere di essere trattate come il Forti e questo avrebbe effetti devastanti su quel sistema giudiziario.”

Ursula Franco, medico e criminologa: “Forti ha ucciso Dale Pike con premeditazione e non se ne è mai pentito. Dubbi sulla sua colpevolezza non ce ne sono. Forti non è una vittima, è un carnefice, non è un eroe nazionale, è un assassino incapace di provare senso di colpa e rimorso. La campagna diffamatoria nei confronti dei detective che hanno risolto il caso, degli ex avvocati del Forti, del District Attorney e dei giudici americani è inaccettabile e immorale ma ancor di più lo è il tentativo di molti dei sostenitori di Forti di attribuire l’omicidio a Thomas Heinz Knott, un ex amico di Chico e del padre della vittima, Anthony Pike, proprietario del Pike Hotel, che Chico stava cercando di acquisire. Forti è stato riconosciuto colpevole perché è stato lui ad uccidere Dale Pike, non perché i suoi avvocati non abbiano fatto i suoi interessi. Gli avvocati di Chico Forti non avrebbero potuto riscrivere i fatti. Chico ha discusso con loro la strategia difensiva e ha scelto di non testimoniare al processo. A Chico sono stati garantiti tutti i possibili appelli, sei, ma è sempre stato riconosciuto colpevole. Al tempo dell’omicidio Chico Forti viveva in una sorta di “stato di grazia” che gli ha fatto perdere il contatto con la realtà e l’ha indotto a credere di poter uccidere Dale Pike restando impunito. Stiamo parlando di un con man, di un truffatore che ha commesso un omicidio a sangue freddo per appropriarsi di un hotel e che ha poi alterato la scena del crimine nell’errato convincimento di essere più furbo dei detective del Miami Police Department. “E’ la truffa più idiota del mondo, perché stavo truffando me stesso” sono parole di Forti. Lo zio del Forti ha recentemente dichiarato: “Chico ha avuto la sventura di essere raggirato da un truffatore di professione: un tedesco che lo aveva messo in contatto con Anthony Pike, i due volevano vendergli l’albergo di Ibiza. In realtà Pike aveva ceduto l’albergo un anno prima. Ma questo l’ho scoperto io”. In realtà Chico acquistò, per 6000 $, da Anthony Pike il 5% del Pike Hotel ancora in suo possesso e poi falsificò un atto notarile per il restante 95%.”

Roberta Sacchi, psicologa e criminologa: “Dopo la notizia del rientro in Italia, Forti ha scritto una lettera al Ministro Di Maio. La lettera conferma che Forti ha potenti capacità di manipolazione, le stesse che hanno indotto la massa a ritenerlo un beniamino e un martire. Come ha già fatto in altre lettere che sono state scritte per essere rese pubbliche, Forti utilizza una terminologia affascinante, parla di sole, di luna, di alba, termini e immagini evocative che hanno lo scopo di creare intorno a lui un’aurea sentimentale e nobile. L’utilizzo di questo tipo di comunicazione, con il ricorso a termini astratti, parafrasi e figure retoriche è la rete che il manipolatore intesse per catturare le prede. La lettera ci dà anche indicazioni sull’egocentrismo di Forti quando sostiene che L’Italia ha dimostrato di essere cambiata per avergli concesso di rientrare. Un’affermazione che rasenta la megalomania. Forti ha scritto che l’Italia è riuscita in un miracolo, in una missione impossibile. Con il termine “missione impossibile” Forti torna nuovamente a utilizzare espressioni filmiche che stimolano l’immaginario collettivo senza rendersi conto che con questo ammette tra le righe le sue responsabilità nell’omicidio. Se Forti non avesse ucciso Dale Pike non avrebbe bisogno di gridare al miracolo, avrebbe semplicemente detto che il Governo Italiano ha fatto doverosamente la sua parte per riportare a casa un cittadino innocente.”

Marco Strano, ex dirigente della polizia di Stato e psicologo: “Che Chico Forti abbia tentato di tutto in questi anni per tornare in Italia è una cosa abbastanza logica e naturale, atteso che il regime carcerario statunitense è senza dubbio più rigido di quello italiano. Ma che abbia tentato di passare come innocente è veramente un insulto alla nostra intelligenza. Certamente le informazioni che l’opinione pubblica italiana ha a disposizione per farsi un’idea provengono esclusivamente dai documenti rilasciati dai suoi difensori e consulenti, opportunamente “purgati” da tutto ciò che avrebbe potuto far propendere per la colpevolezza del loro assistito. Forti però è colpevole al di la di ogni ragionevole dubbio. Anzi, nel suo caso i dubbi non ci sono mai stati. Forti aveva un fortissimo movente, (visto che la vittima stava per rovinargli un business per lui fondamentale), Forti è stato l’ultimo a vedere in vita la vittima, visto che è andato a prenderla all’aeroporto, Forti era con la vittima sulla scena del crimine nell’orario in cui si è consumato il delitto, Forti aveva acquistato con la sua carta di credito una pistola dello stesso tipo e calibro di quella con è stato compiuto l’omicidio (pistola poi guarda caso misteriosamente sparita), Forti ha tentato di costruirsi un alibi mentendo e tentando di addossare la colpa a un povero disgraziato (Thomas Knott) suo conoscente, Forti si è tradito più e più volte durante il processo e in seguito durante le numerose interviste che ha rilasciato. Insomma qualsiasi giuria popolare del mondo lo avrebbe ritenuto colpevole. E questo è avvenuto, dopo un regolare processo durato più a lungo rispetto agli standard americani e dove l’assassino aveva a disposizione due tra i più validi avvocati di Miami. E allora i difensori di Forti, i suoi consulenti, i suoi familiari e i suoi amici hanno intrapreso una strada quantomai discutibile, sfruttando i loro tanti “agganci” mediatici. Hanno tentato di far passare l’idea che il Procuratore che ha seguito il caso (Reid Rubin) e gli investigatori del Miami Dade Police Department (tra cui Catherine Carter, Confessor Gonzales, John Campbell) hanno volutamente costruito prove false per incastrare Forti. I loro nomi (grazie al web) sono divenuti oramai famosi in Italia e sono sinonimo di scorrettezza e di ignominia. E questo è profondamente ingiusto e a mio avviso situazione che potrebbe giustificare una corposa richiesta di risarcimento danni. Che Reid Rubin, Procuratore famoso in tutta la Florida per la sua battaglia contro ogni forma di corruzione e di illecito tra le forze dell’ordine e i miei colleghi Carter, Gonzales e Campbell vengano così ingiustamente offesi ed umiliati non lo trovo giusto e più volte gli ho espresso la mia solidarietà. Ora, il motivo per cui diversi politici italiani si siano adoperati per perorare la causa di un truffatore ed assassino è qualcosa su cui ci sarebbe da discutere. Qualche maligno ha intravisto nelle decine di migliaia di persone che (irretite dai media) sono presenti nei gruppi di sostegno a Chico Forti un interessante bacino elettorale e questo troverebbe conferma anche nel fatto che per gli altri 67 italiani (soli e sconosciuti) detenuti in carceri americane per reati di vario genere non è stata fatta nessuna richiesta di estradizione. Ma l’interrogativo finale in questa vicenda a mio modesto avviso è un altro: considerando che con il trasferimento in Italia Forti ha rinunciato a ogni possibile revisione del suo processo, le centinaia di migliaia di euro raccolti con donazioni in Italia per il pagamento delle sue spese legali, verranno ora donate dalla famiglia e dai vari gruppi di sostegno alle associazioni che si occupano di detenuti italiani all’estero (come Amnesty International)?”

Laura Volpini, psicologa e criminologa: “Ritengo che la mistificazione più grande rispetto al caso di Chico Forti, di cui si sta discutendo in questi giorni, sia quella di confondere il piano del diritto da quello della responsabilità penale. In altre parole, il suo rientro in Italia non dipende dal fatto che il nostro Paese lo reputi innocente, ma è il risultato dell’applicazione della Convenzione di Strasburgo del 1983 che consente ad un cittadino condannato in un’altra nazione, di scontare la pena nel proprio Paese di origine. Quindi il sig. Chico Forti sconterà il suo ergastolo in Italia. Certamente la mobilitazione del nostro Ministero degli Esteri è avvenuta dopo anni di incalzanti tentativi da parte della famiglia di far rientrare il proprio congiunto in Italia, stimolando anche un certo clamore mediatico sul caso. Chico Forti non ha subito alcuna ingiustizia, di questo sono certi i giudici americani, che hanno raccolto prove dettagliate e circostanziate, dimostrando il reato di “felony murder”, ovvero della commissione di un reato durante l’esecuzione di un altro reato. Infatti Enrico Forti è stato condannato all’ergastolo per aver ucciso il sig. Dale Pike a Miami, figlio di Anthony Pike, proprietario del Pike Hotel, che Chico era convinto di poter acquisire in maniera truffaldina. Nonostante i numerosi appelli, il suo processo non ha mai avuto alcuna revisione, per l’assenza di nuovi elementi probatori. Da 20 anni sta scontando la sua pena presso il Dade Correctional Institution di Florida City. Dobbiamo essere soddisfatti che l’Italia abbia fatto valere un diritto internazionale riconosciuto e ci auguriamo che di questo diritto possano godere anche altri nostri concittadini detenuti all’estero. Per il resto nulla cambia circa la responsabilità penale del sig. Chico Forti, nonostante lui e la sua famiglia abbiano mostrato di saper bene utilizzare i canali istituzionali e mediatici.”

Obiettivo Investigazione: Chico Forti, innocente o colpevole?

Obiettivo Investigazione, 15 dicembre 2020

“L’omicidio di Dale Pike”

Intorno alle ore 16.00 di giovedì 15 giugno 2000, Enrico Forti, detto Chico, un ex campione italiano di windsurf, è stato condannato al carcere a vita per l’omicidio di Dale Pike, 43 anni, figlio di Anthony Pike, proprietario del famoso Pike Hotel di Ibiza, che Chico stava cercando di acquisire.

Dale Pike è stato ucciso il 15 febbraio 1998, poco dopo il suo arrivo a Miami, con due colpi di cal. 22 alla testa, il secondo colpo è stato esploso a distanza ravvicinata.

E’ stato un surfista, David Suchinsky, a trovare il cadavere nudo di Dale Pike a Sewer Beach (o Virginia Beach), una spiaggia di Key Biscayne, verso le 18.00 del 16 febbraio 1998.

Il 19 febbraio 1998, Chico Forti, interrogato come persona informata sui fatti, nonostante avesse fissato un appuntamento con Dale Pike in Aeroporto per il pomeriggio del 15 febbraio, riferì a chi indagava di essere andato in Aeroporto, ma di non aver incontrato Dale.

Il 20 febbraio, dopo che gli investigatori riferirono a Chico di essere a conoscenza del fatto che il 15 febbraio, giorno dell’omicidio, alle 19.16, aveva telefonato a sua moglie da Key Biscayne, Forti ritrattò e disse di aver raccolto Pike in Aeroporto alle 18.15 e di averlo lasciato 25 minuti dopo nel parcheggio del Rusty Pelican, un locale non distante da Sewer Beach, luogo del ritrovamento del cadavere.

Enrico Forti disse anche agli investigatori che Dale aveva effettuato una telefonata da una stazione di servizio, che lo stesso sarebbe dovuto andare ad un party e che erano rimasti d’accordo che si sarebbero incontrati tre giorni dopo, all’arrivo del padre Anthony Pike.

Chico Forti aggiunse inoltre di aver telefonato alla moglie non appena lasciato Dale Pike nel parcheggio del Rusty Pelican e, seppure in ritardo per l’appuntamento delle 19.00 con il suocero, di essersi diretto verso Fort Lauderdale per raccoglierlo in aeroporto.

1) Enrico Forti sostiene di aver inizialmente mentito agli investigatori per paura, in quanto non solo era venuto a conoscenza della morte di Dale ma i detectives gli avevano riferito, mentendo, che pure il padre di Dale, Anthony Pike, era stato ucciso. Questa sua giustificazione non regge, egli infatti, già nella telefonata alla moglie delle 19:16 del giorno dell’omicidio, telefonata che agganciò una cella vicina a Sewer Beach, luogo in cui fu ritrovato il cadavere di Pike, riferì alla donna di non aver incontrato Dale Pike in aeroporto ed in seguito, prima di raccontare questa stessa menzogna agli inquirenti, la raccontò al suo avvocato, a Thomas Knott e ad Anthony Pike, padre di Dale.

La circostanza che, già alle 19:16 del 15 febbraio 1998, Chico Forti negasse con la moglie di aver incontrato Dale Pike in Aeroporto ci permette di inferire che già a quell’ora Chico avesse ucciso Dale.

2) L’aereo con a bordo Dale Pike arrivò a Miami alle 16.30, con un ritardo di mezz’ora rispetto all’orario previsto per l’atterraggio (lo riferì Forti agli investigatori nel suo primo interrogatorio, pag. 54).

A detta di Chico, lo stesso prelevò Dale all’aeroporto di Miami intorno alle 18.15 e impiegò circa 25 minuti per raggiungere Sewer Beach (Key Biscayne), alle 19.16 chiamò sua moglie da Key Biscayne, come risulta dai tabulati. Forti, pertanto, ebbe circa mezzora per uccidere Dale ed alterare la scena del crimine simulando un omicidio in ambito omosessuale. E’ chiaro che solo un conoscente non omosessuale avrebbe avuto interesse a far passare l’omicidio di Dale per un delitto maturato in un contesto omosessuale, non un sicario, né un assassino occasionale.

3) Dale Pike fu ucciso con una pistola cal. 22. Qualche tempo prima dell’omicidio, Thomas Knott e Chico Forti avevano comprato una pistola dello stesso calibro, quella pistola, che Chico aveva pagato con la sua carta di credito e che aveva fatto intestare a Knott, non è mai stata ritrovata.

4) Della fantomatica telefonata che, secondo Forti, Pike fece da una stazione di servizio, non vi è traccia. Viene da chiedersi il perché, avendo fretta di andare a Fort Lauderdale a prendere il suocero che doveva arrivare alle 19.00, Chico non avesse prestato il proprio cellulare a Dale. La risposta è semplice: Dale, che doveva pernottare dal Forti, non doveva fare e non fece nessuna telefonata. Chico non sarebbe andato a prendere Dale Pike in aeroporto se Dale avesse avuto intenzione di passare la notte da qualcun altro.

5) Enrico Forti uccise personalmente Dale Pike e alterò lui stesso la scena del crimine. Se avesse avuto dei complici non sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero, né avrebbe consentito ai sicari di usare un’arma dello stesso calibro della sua.

Forti non fece i nomi di eventuali complici in cambio di una condanna più benevola proprio perché complici non ve ne erano.

6) Una scheda telefonica è stata ritrovata accanto al cadavere di Dale Pike, quella scheda era stata usata per fare tre telefonate, due ad un numero simile a quello di Chico e la terza al suo numero esatto (alla chiamata Chico Forti non aveva risposto). E’ facile inferire che la scheda appartenesse a Dale e che lo stesso avesse tentato di contattare Enrico Forti una volta atterrato a Miami, le telefonate infatti risultarono fatte intorno alle 17:15, ovvero 45 minuti dopo l’atterraggio dell’aereo di Pike (La vera storia di Enrico Chico Forti di Claudio Giusti). Da notare che su quella scheda telefonica non vi è traccia di telefonate ad altri numeri se non a quello di Chico, tantomeno della fantomatica telefonata che, secondo Enrico Forti, Dale avrebbe fatto da una stazione di servizio.

7) Prima di ritrattare, Forti chiese alla moglie di far lavare l’auto con la quale aveva prelevato Dale Pike in aeroporto. E’ Enrico Forti a riferirlo in un’intervista rilasciata dopo la sua condanna: “La macchina… la mia macchina veniva lavata ogni settimana. Circa a metà della settimana. Non fu lavata il giorno dopo, fu lavata…credo tre o quattro giorni dopo…era la domenica e credo che venne lavata o il mercoledì o il giovedì. Ma si trattò di un lavaggio che era un lavaggio di routine, che facevamo ogni settimana. Fu mia moglie che la portò a lavare perché era sempre lei che la portava a lavare”.

8) Sewer Beach, la spiaggia dove venne trovato il cadavere di Pike, non solo era poco fruibile a chi sarebbe dovuto uscire in windsurf perché la strada d’accesso era chiusa a causa dei danni di un recente uragano, ma quel giorno la direzione del vento non era ideale per uscire con la tavola a vela da quello spot, pertanto un esperto di windsurf, un abitué come Chico, sapeva che difficilmente vi avrebbe incontrato qualcuno, in specie dopo le 18.30.

9) Non è vero che Chico Forti si rifiutò di collaborare con i detectives di Miami riguardo alla posizione dell’amico Thomas Knott, Chico, già dal primo interrogatorio, cercò di spostare l’attenzione su Knott, ma nulla permise di collegarlo all’omicidio di Dale perché evidentemente Thomas Knott era estraneo ai fatti.

10) Questo caso è una matrioska: truffe tra truffatori. Chi difende Chico Forti sostiene che non è vero che stesse cercando di appropriarsi del Pike Hotel di Ibiza attraverso una truffa e che invece Anthony Pike e Thomas Knott stavano cercando di truffare Chico rifilandogli un hotel senza valore. Se fosse vero che Pike e Knott stavano cercando di appropriarsi del denaro di Forti, nessuno dei due avrebbe avuto ragione di uccidere Dale per far attribuirne a Chico Forti il suo omicidio.

11) Non è vero che Chico Forti è stato assolto dall’accusa di truffa nei confronti di Anthony Pike; nel caso Forti è stata semplicemente applicata la Felony Murder Rule che prevede la sospensione di un capo di imputazione, in questo caso la truffa, perché movente dell’omicidio (La vera storia di Enrico Chico Forti di Claudio Giusti).

12) Coloro che difendono Chico Forti, in specie l’amico Roberto Fodde, un avvocato che vive a Miami, sostengono che la polizia di Miami lo abbia “incastrato” per il servizio da lui realizzato sulla morte di Andrew Philip Cunanan, una specie di documentario nel quale Enrico Forti metteva in dubbio la versione della polizia di Miami Beach riguardo al suicidio di Cunanan; se davvero questi signori credono a ciò che sostengono, non è paradossale che nessuno di loro tema di venir “incastrato” per aver accusato la polizia di Miami Beach di aver “suicidato” Cunanan e quella di Miami di aver “incastrato” Chico Forti? Tra l’altro, il documentario di Enrico Forti non è mai stato diffuso in America ma solo in Italia ed in Francia, pertanto non ha danneggiato l’onore dei detective di Miami in nessun modo.

Riguardo al suicidio dello spree killer Andrew Philip Cunanan, all’epoca uno degli uomini più ricercati d’America, è difficile credere alle dietrologie sulla sua morte, il suicidio, messo in atto dopo aver portato a termine una serie di omicidi programmati, è un classico tra gli spree killer e la pistola con cui Cunanan si suicidò e che la polizia gli trovò in mano è la stessa Taurus cal. 40 che aveva colpito a morte Gianni Versace.

13) Di seguito un’analisi di uno stralcio di un’intervista tratta da Il caso Forti:

Intervistatore: “(Chico) come mai non sei riuscito ad allontanare questa persona (Thomas Knott) che hai descritto come un parassita e che approfittava in questo modo?”

Chico Forti: “Perché questa persona era eccezionale… io credo che avesse truffato oltre trenta miliardi di lire… all’epoca… in Germania (…)”.

Chico Forti: “Ebbene, dal momento che io e Tony Pike tagliammo Tom Knott fuori dal business, in quel momento, Tom Knott si trasforma in una vipera che è stata calpestata, la persona che è tagliata fuori dalla gallina dalle uova d’oro (…)”.

Durante l’intervista Chico Forti ha mostrato di stimare Tom Knott per le sue capacità e ha definito Tony Pike una “gallina dalle uova d’oro”. Affermazioni particolarmente utili per delineare la personalità dell’ex campione di windsurf. Non è solo la mancanza di disprezzo per le attività illegali di Knott a colpire, ma anche l’assenza di rabbia nei suoi confronti. Chico Forti non ce l’ha con Knott, perché evidentemente mente quando sostiene di credere che sia stato lui ad incastrarlo. Il fatto che abbia definito Tony Pike una “gallina dalle uova d’oro”, ci conferma che era Chico a voler truffare Pike.

Altri stralci provenienti da un’intervista rilasciata da Enrico Forti il 4 novembre 2004 dal carcere (Everglades Correctional Institution, Miami, FL):

Chico Forti: “Tutte le persone che…mi hanno dimostrato che credono nella mia innocenza, il fatto che…credo, meglio di chiunque altro, so che sono innocente, il fatto che, in fondo in fondo, credo che ci sia un fine all’ingiustizia”.

Dirsi innocente non equivale a negare l’azione omicidiaria.

Chico Forti: “Le prove create. La sabbia è una finzione. La mia macchina è stata smontata letteralmente in se…oltre settecento pezzi, è stata tenuta nel deposito della polizia, analizzata da esperti in ogni millimetro, in ogni area, dalla parte sottostante dell’interno alla parte esterna, le gomme, gli ammortizzatori, non hanno trovato nessun tipo di connessione con la spiaggia del morto, due o tre mesi dopo, il giorno prima che devono rilasciarmi la macchina decidono di prendere e guidare la mia macchina…su una spiaggia identica, di composizione identica alla spiaggia dove è stato trovato il morto, smontare dalla macchina e decidere, di punto in bianco, di guardare all’interno del gancio di traino, tolgono l’interno del gancio di traino e trovano tracce solamente della spiaggia del morto, non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio”.

Per due volte Enrico Forti, riferendosi a Dale Pike, evita di chiamarlo per nome, lo definisce semplicemente “il morto”, lo fa per prenderne le distanze.

Non solo Chico prende le distanze dalla vittima ma anche dai fatti evitando ogni riferimento all’omicidio. Enrico Forti evita di dire “il ragazzo ucciso” o “il ragazzo assassinato” o “il ragazzo ammazzato”, ma dice semplicemente “il morto”, Chico non dice né “ucciso”, né “assassinato”, né “ammazzato” per evitare lo stress che gli produrrebbe l’uso di termini tanto evocativi.

Da notare l’ultima frase di Forti, Chico dice “non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio”, “dopo” è una parola chiave, è con quel “dopo” che Chico si tradisce e ci rivela di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio, una pietra tombale.

Chico avrebbe semplicemente potuto dire di non essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio di Dale Pike ed invece, per non mentire, si è incartato in una lunga tirata oratoria durante la quale ci ha rivelato di esserci stato proprio quel giorno.

Giornalista: “Hai ucciso tu Dale Pike?”

Ci aspettiamo da Chico Forti che neghi in modo credibile e che dica che sta dicendo la verità.

Chico Forti: “Assolutamente no”.

Aggiungendo “Assolutamente” a “no”, Forti mostra di aver bisogno di convincere.

Giornalista: “Hai mai considerato la possibilità dell’omicidio?”

Chico Forti: “Assolutamente no. Non c’era motivo per me di togliere la vita al figlio di una persona che consideravo un amico”.

Chico è incapace di rispondere con un semplice “No” e mostra di avere bisogno di convincere. Forti non possiede la protezione del cosiddetto del “muro della verità”, un’impenetrabile barriera psicologica che induce i soggetti che dicono il vero a limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno.

Ci saremmo aspettati che durante l’intervista Chico dicesse “Io non ho ucciso Dale Pike, sto dicendo la verità” e che lo dicesse spontaneamente.

14) Durante le indagini riguardanti l’omicidio di Dale Pike, un informatore della polizia ha riferito a chi indagava che, poco tempo prima, Chico aveva provato ad assoldare un killer per uccidere un avvocato, ciò che colpì gli investigatori furono le indicazioni fornite da Forti al potenziale killer, indicazioni che ricordavano da vicino le circostanze in cui era avvenuto l’omicidio di Pike (Power Privilege And Justice ISLAND OBSESSION – Enrico “Chico” Forti Story).

CONCLUSIONI:

Enrico Forti è un truffatore e un assassino che, finché non è stato inchiodato alle sue responsabilità, ha ritenuto di essere parecchio furbo, un passato di “successi” nel campo della manipolazione del suo prossimo lo ha portato a credere di potersela cavare dopo aver ucciso Dale Pike ed invece si è dovuto confrontare con gente più furba di lui: i detectives e il prosecutor che hanno indagato sull’omicidio.

– Enrico Forti uccise personalmente Dale Pike, se lo avesse consegnato a uno o più complici non sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero.

– Solo Chico Forti, che aveva prelevato la vittima in Aeroporto, aveva interesse a simulare un omicidio in ambito omosessuale per allontanare i sospetti da sé, non certo un soggetto sconosciuto alla vittima.

– Chico, già alle 19:16, mostrò di sapere che Dale era morto in quanto cominciò a prendere le distanze da lui dicendo a sua moglie che non lo aveva trovato in aeroporto. Forti sapeva che Dale Pike era morto perché era stato lui ad ucciderlo poco prima.

– E’ stato Chico a rivelare durante l’intervista rilasciata dal carcere di Everglades il 4 novembre 2004 di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio di Dale.

– Forti non fece i nomi di eventuali complici in cambio di una condanna più benevola proprio perché complici non ve ne erano. Forti, già dal primo interrogatorio, cercò invece di spostare l’attenzione su Thomas Knott ma nulla permise di collegarlo all’omicidio di Dale perché evidentemente Knott era estraneo ai fatti.

– Dale fu ucciso con una pistola cal. 22, Forti possedeva una cal. 22 che scomparve dopo l’omicidio; se Chico avesse chiesto a qualcuno di uccidere Pike, si sarebbe assicurato che non venisse ucciso proprio con una cal. 22., quantomeno non con la sua cal. 22 che, per essere scagionato dalle accuse, avrebbe avuto la premura di consegnare agli investigatori.

– Gli oggetti ritrovati intorno al cadavere di Dale, che riconducevano a Chico Forti, caddero dalle tasche di Dale durante il denudamento del cadavere da parte di Chico, un denudamento che fu messo in atto in un momento in cui c’era pochissima luce. E’ da scartare l’ipotesi che l’assassino avesse apparecchiato la scena con gli effetti personali della vittima per incastrare Forti, in tal caso infatti non si spiegherebbe il denudamento del cadavere allo scopo di simulare un omicidio in ambito omosessuale posto che Forti non è gay. Solo Chico Forti, che aveva prelevato la vittima in aereoporto, aveva interesse ad allontanare i sospetti da sé simulando un omicidio in ambito omosessuale.

– Thomas Knott è una delle tante vittime di Chico Forti. Dopo aver ucciso Pike, Chico Forti raccontò a Thomas Knott che la polizia di Miami lo stava cercando per la truffa dei palloni aerostatici e per la la storia dei soldi sottratti a Anthony Pike, lo fece per spaventarlo e per fargli lasciare Miami in modo da indurre gli inquirenti a sospettare di lui. Riguardo poi alle carte di credito di Anthony Pike, non era il solo Knott ad usarle, anche Chico Forti aveva tentato di acquistare materiali per le riprese video con quelle carte di credito usando però il nome di Thomas Knott. Riguardo al giorno dell’omicidio di Dale Pike, Thomas Knott rimase a casa, ce lo confermano i tabulati telefonici e le testimonianze degli ospiti che raggiunsero il suo appartamento dopo le 19:00. E’ stato Chico Forti a mentire agli investigatori ed è lui ad essere privo di un alibi.

– Durante le indagini riguardanti l’omicidio di Dale Pike, un informatore della polizia riferì a chi indagava che, poco tempo prima, Chico Forti aveva provato ad assoldare un killer per uccidere un avvocato e le indicazioni fornite dal Forti al potenziale killer ricordavano da vicino le circostanze in cui è stato commesso l’omicidio di Dale Pike.

– In un’intervista televisiva, uno dei detective della polizia di Miami, che si è occupato del caso, ha riferito che Enrico Forti fornì un’altra versione, ovvero disse che se avesse detto la verità alla polizia, un tedesco, già condannato per truffa, con cui era in affari, tale Thomas Heinz Knott, si sarebbe vendicato colpendo la sua famiglia, aggiungendo che Knott gli aveva detto che avrebbero dovuto sistemare Dale e che per il bene della sua famiglia, Chico lo avrebbe dovuto prelevare in aeroporto per portarglielo. Forti riferì di aver seguito le indicazioni di Knott non sapendo però che cosa Thomas avesse pianificato (Power Privilege And Justice ISLAND OBSESSION – Enrico “Chico” Forti Story).

Articolo di Ursula Franco

Fonti

chicoforti official site

Foto di copertina: https://it.wikipedia.org/wiki/Chico_Forti

Chico forti wikipedia

Power Privilege And Justice ISLAND OBSESSION – Enrico “Chico” Forti Story (con interviste ai detectives di Miami che si occuparono del caso)

L’incredibile storia di Chico Forti di Roberto Fodde

Il grande imbroglio di Chico Forti di Claudio Giusti

Il caso Forti

La vera storia di Chico Forti di Claudio Giusti

Felony Murder Rule wikipedia

Delitto Versace- il sorriso della medusa documentario

Andrew Cunanan wikipedia

Andrew Cunanan – The Versace Killer (Serial Killer Documentary)

IL CASO DI CHICO FORTI di Manuela Moreno


Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis, si occupa soprattutto di morti accidentali e incidenti scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi.

INTERVISTA DI FINE 2020 ALLA CRIMINOLOGA URSULA FRANCO

– Dottoressa Franco, dopo circa 4 anni e mezzo, la procura di Benevento ha riconosciuto che Maria Ungureanu non è stata uccisa, archiviando definitivamente le posizioni di Daniel e Cristina Ciocan. Insieme all’ottimo avvocato Salvatore Verrillo vi siete battuti portandovi a casa numerose soddisfazioni: il GIP ha sempre rigettato le richieste d’arresto emesse dalla PM Maria Scamarcio, il Riesame e la Cassazione non solo hanno ritenuto inammissibili i ricorsi della procura ma vi hanno dato ragione anche in merito agli abusi cui era sottoposta la bambina e infine è venuta l’archiviazione per omicidio volontario. Al momento l’ipotesi di reato per il proprietario e per la responsabile del resort  dove si trova la piscina nella quale è affogata Maria è l’omicidio colposo. Nonostante tutto la notizia è stata ignorata dai programmi televisivi RAI e Mediaset che si erano occupati del caso, eppure la difesa dei Ciocan ha scongiurato un duplice errore giudiziario, come se lo spiega?

Si aspettava forse che si cospargessero il capo di cenere e ci celebrassero? E’ chiaro che in tanti tacciono per non affossare il sistema al quale appartengono. A noi interessa che la procura abbia riconosciuto il proprio errore e abbia cambiato rotta nonostante le pressioni di un lurido processo mediatico volto a mistificare i fatti. Risuonano nella mia mente le parole di tanti.

– E per quanto riguarda le violenze?

Gli atti parlano forte e chiaro. 

– Lo scorso anno, alla mia domanda: “Che cosa vorrebbe dire al ministro di Grazia e Giustizia?”, lei aveva risposto: “Che è necessario lavorare sulle competenze dei pubblici ministeri, che sono la causa prima degli errori giudiziari e delle emorragie di denaro pubblico che va spesso perso in interminabili indagini inutili”. E’ con malcelato orgoglio ma anche con profondo turbamento che riporto di seguito alcuni stralci di una dichiarazione del 27 novembre scorso dell’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane: 

“IL MAGISTRATO SENZA QUALITÀ

Siamo ormai assuefatti alla lettura, in genere in trafiletti di poche righe, di inchieste penali roboanti e devastanti per gli indagati, svanite anni dopo nel nulla, tra archiviazioni ed assoluzioni variamente motivate. Lo stesso vale per arresti eclatanti (ma anche non eclatanti), poi annullati quando il danno è fatto (…) su questa drammatica questione non si farà mai un passo avanti se non si comprenderà che occorre mettere mano, con urgenza e determinazione, al problema del controllo sulla qualità del magistrato, oggi reso semplicemente impossibile dalla automaticità della progressione in carriera (…) È così oltraggioso ritenere che un magistrato che dimostri per fatti concludenti di non essere all’altezza di svolgere compiti di peculiare delicatezza e difficoltà, debba essere assegnato a compiti meno rischiosi per la comunità sociale?”

Il problema non sono solo i magistrati incompetenti e svogliati ma anche i consulenti partigiani delle procure, le loro menzogne hanno un costo enorme per il paese non solo in termini umani ma anche economici. Uno di questi “consulenti”, un millantatore che si è occupato di migliaia di procedimenti, nonostante sia stato deriso da un pubblico ministero durante un’udienza di un processo per omicidio in cui era consulente della difesa, è stato ritenuto affidabile in un altro procedimento per omicidio nonostante avesse dichiarato il falso al giudice in merito ai propri titoli di studio. Non le sembra paradossale?

– Torniamo ai casi giudiziari: Carlotta Benusiglio, 37 anni, è stata trovata impiccata ad un albero di Piazza Napoli a Milano intorno alle 6.00 del 31 maggio 2016. I familiari non credono che Carlotta si sia suicidata. Dopo una iniziale archiviazione come suicidio, il caso è stato riaperto e il fidanzato di Carlotta, Marco Venturi, 41 anni, è stato indagato per omicidio volontario aggravato. Nell’ottobre scorso, proprio in coincidenza con la chiusura delle indagini, mi pare che i giudici del Tribunale del Riesame di Milano, chiamati dalla procura di a pronunciarsi sulla richiesta della misura cautelare rigettata dal GIP nel luglio scorso, abbiano messo una grossa ipoteca su un eventuale rinvio a giudizio di Marco Venturi. Mi spiego meglio, nell’ordinanza del 15 ottobre scorso c’è scritto:“Il Tribunale del Riesame di Milano ritiene che non vi siano gravi indizi di colpevolezza a carico di Marco Venturi, avendo gli elementi fin qui acquisiti accertato- con rilevante probabilità- che la morte di Carlotta Benusiglio sia avvenuta per suicidio compiuto dalla stessa”. Già nel febbraio 2018, dopo che la Trasmissione “Chi l’ha visto?” aveva diffuso una consulenza delle parti civili, lei aveva dichiarato: “Le conclusioni del consulente della famiglia Benusiglio, Antonio Barili, che ha analizzato le telecamere di piazza Napoli, la piazza di Milano dove si è impiccata Carlotta il 31 maggio 2016, permettono di escludere che Marco Venturi abbia ucciso Carlotta Benusiglio” e ha avuto ragione. Aggiungo che recentemente non le ha mandate a dire a chi si è espresso proprio sul caso Benusiglio. 

Un caso giudiziario è sempre un argomento di studio grossolano, le risultanze autoptiche sono importanti quanto la tempistica, nel caso della Benusiglio sia le risultanze autoptiche che la tempistica ci permettono di concludere che Carlotta si è suicidata. Negli errori giudiziari viene spesso attribuito ad un innocente un omicidio premeditato o commesso in pochi secondi per superare il fatto che abbia un alibi. E’ questo il caso. Mi è bastato studiare la tempistica per capire che Marco Venturi, che pesa solo 68 chili, non può aver strangolato ed impiccato la Benusiglio, che pesava poco meno di lui, in 22 secondi. Aggiungo che lo stato dei luoghi in cui si sono svolti i fatti e quello degli abiti di Carlotta ci confermano che non è stata uccisa. La Benusiglio aveva gli abiti puliti, se fosse stata stordita prima di essere impiccata, si sarebbero sporcati di terra. La sua sciarpa era priva di lacerazioni e/o abrasioni e/o imbrattamenti. Nelle vicinanze del cadavere non vi erano segni a terra compatibili con una colluttazione e/o un trascinamento del corpo. 

– Qual è la sua posizione sul caso Genovese?

Si è trattato di violenza sessuale. Nell’Ordinanza di convalida di fermo e di contestuale applicazione di misura coercitiva nei confronti di Alberto Genovese si legge che quando la ragazza “ha ripreso un barlume di lucidità, iniziando ad opporsi e a manifestare esplicitamente il suo dissenso, fino ad implorare il suo aguzzino di fermarsi, non è stata ascoltata dal carnefice che, imperterrito, ha proseguito nella sua azione violenta, continuando a drogarla e a violentarla”. E’ evidente che non è stato un rapporto consenziente.

– Che cosa caratterizza questo stupro?

Una progettualità che rivela fantasie sessuali complesse. Genovese ha tratto piacere dalle sofferenze inflitte alla vittima e dal compiere atti sessuali con il suo corpo “inanimato”, ha messo in posa la vittima per fotografarla per poi rivivere l’esperienza. Un act out da “sadistic serial rapist”.

– Dottoressa, sono uscite le motivazioni della sentenza dell’Appello bis nel caso dell’omicidio di Marco Vannini, che ne pensa?

“la sua morte, in termini di mera convenienza personale, era preferibile alla sua sopravvivenza” è un’affermazione incompatibile con il fatto che Antonio Ciontoli abbia chiamato i soccorsi con Marco ancora cosciente. In poche parole, Antonio Ciontoli non ha mostrato di temere che Marco raccontasse la dinamica dei fatti ai soccorritori quando, sebbene con ritardo, scelse di farlo soccorrere. Infine, una volta fatta questa scelta, se avesse immaginato che Marco stava rischiando la vita non avrebbe aspettato di riferire al solo medico del PIT la causa del malore del ragazzo. E poi non corrisponde al vero che la morte di Marco “comporta di non essere certi di cosa sia realmente avvenuto tra quelle quattro mura”. L’analisi delle dichiarazioni dei protagonisti e delle intercettazioni permette di ricostruire i fatti alla lettera.

– Dottoressa, sappiamo che lei ha lavorato e vissuto nella piccola Isola Carcere di Gorgona a stretto contatto con agenti di polizia penitenziaria e detenuti, cosa è successo a Sissy Trovato Mazza?

Si è suicidata, una telecamera ha registrato tutto ciò che è successo prima e dopo il colpo di pistola partito dalla pistola d’ordinanza dell’agente stessa, Sissy era sola ed invece di uscire dal nosocomio per raggiungere i colleghi si è diretta altrove, nell’ascensore dove si è sparata, non vedo come si possano formulare altre ipotesi. Lo stesso vale per il caso di Mauro Pamiro, le telecamere hanno ripreso il professore mentre da solo si dirigeva scalzo nel cantiere nel quale è stato ritrovato il suo corpo. Le risultanze autoptiche hanno poi confermato il suicidio per precipitazione. 

– Dottoressa, nel caso della morte di Mattia Mingarelli, sappiamo che è d’accordo con la procura di Sondrio che nel giugno scorso ha chiesto l’archiviazione. Il procuratore di Sondrio Claudio Gittardi ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Riteniamo altamente probabile che la scomparsa di Mattia MIngarelli non sia collegata ad alcuna attività delittuosa. Per una serie di situazioni, forse legate ad uno stato di alterazione, si è allontanato da solo verso dal rifugio “I Barchi”, è stato male, ha perso il telefono, è tornato nella sua abitazione, dove ha lasciato cappello e cappotto, per poi uscire e cadere accidentalmente nel bosco. Non è stato colpito da nessuno, questo è stato accertato, la caduta e il freddo ne hanno causato il decesso. Resta il giallo sul perché si sia inoltrato nel bosco”

E’ logico che sono d’accordo, ho detto da subito che non c’era niente di misterioso nella scomparsa di Mattia Mingarelli, né di strano nella testimonianza del gestore del rifugio “Ai Barchi” dove il ragazzo si recò prima di morire: la presenza del vomito vicino al tavolo del rifugio e il fatto che Mattia abbia perduto il telefono proprio lì, sono la riprova che si sentì male dopo essere uscito dal rifugio. Il racconto del Del Zoppo è credibile e privo di smagliature. Mattia Mingarelli si è sentito male dopo l’ultima bevuta al rifugio “Ai Barchi”, ha urtato il volto contro un ramo, è scivolato, ha battuto la testa producendosi una frattura occipitale ed è morto per assideramento. Non ci sono né lesioni da difesa né segni di una colluttazione sul cadavere. Il cadavere di Mattia si trovava a pochi metri dal rifugio e non era occultato, tutti dati a sostegno di una morte accidentale. Non accredita di certo l’ipotesi omicidiaria il fatto che i soccorritori ed i cani non abbiano trovato il corpo del Mingarelli. I soccorritori non videro il suo corpo in quanto era coperto dalla neve caduta quella notte, mentre le ricerche con i cani da traccia, come sappiamo, non sono infallibili. L’ipotesi che il cadavere sia stato spostato è improponibile, nessuno sposterebbe infatti un corpo dopo aver dato l’allarme e con le ricerche in corso, tantomeno per non occultarlo.

– Dottoressa, nel caso Mario Biondo, la testimonianza dell’ex avvocato spagnolo della famiglia, Daniel Gomez De Arriba, che sostiene di aver visto un “solco profondo” nella parte posteriore del collo del ragazzo, che valore può avere?

Nel 2013 Daniel Gomez De Arriba ha detto ad un giornalista di aver visto “una lesione ben determinata presente nella parte posteriore del collo di Mario Biondo”, nel 2018 ha invece detto di aver visto “una macchia nera con una linea molto marcata nella parte posteriore”. Il cadavere fa testo. Se quella “lesione” o “macchia nera” fosse stata un solco profondo, il professor Procaccianti l’avrebbe rilevato e invece ha attribuito la macchia scura di cui parla Gomez De Arriba a fenomeni putrefattivi, quindi, poiché all’epoca della seconda autopsia il solco non c’era, evidentemente non c’è mai stato. I solchi non vanno e vengono. Mario Biondo si è suicidato e Raqhel Sanchez Silva non ha voluto che venissero resi pubblici i fatti suoi, fatti che nulla hanno a che fare con la morte del marito.  

– Riguardo alla morte di Mattia MIngarelli, in tanti, anche sulla tv pubblica, hanno gettato ombre sul gestore del rifugio e si sono spinti a ipotizzare l’omicidio mentre lei aveva mosso delle critiche a chi si era espresso in tal senso. Inventarsi omicidi chi danneggia?

1) I familiari di chi si è suicidato o è morto in seguito ad un incidente perché li devasta da un punto di vista economico. 

2) I soggetti estranei ai fatti cui vengono “attribuiti” omicidi mai avvenuti. Dall’ingiusta persecuzione mediatica all’errore giudiziario vero e proprio.

3) I contribuenti italiani, i cui soldi vanno persi in indagini inutili che possono durare anche parecchi anni.

– E invece chi favorisce?

1) I familiari di chi si è suicidato o è morto in seguito ad un incidente perché ne annulla il senso di colpa. 

2) Il carrozzone che circonda un caso giudiziario.

– Dottoressa, un suo breve commento sul caso Chico Forti.

Non esiste un caso Chico Forti. Forti non è stato incastrato, è lui l’autore dell’omicidio di Dale Pike. Forti ha ucciso un uomo in un paese straniero ed è stato giudicato secondo le leggi di quel paese, ha poi usufruito degli appelli che aveva a disposizione e ha il diritto di chiedere la grazia al presidente americano, ma le critiche a inquirenti, giudici ed avvocati e le accuse rivolte ad un innocente sono inaccettabili.

– Dottoressa, cosa vorrebbe dire ai suoi detrattori? 

E’ chiaro che è più facile avere ragione quando ci si schiera dalla parte delle procure e dell’opinione pubblica. Io ho scelto di mettere le mie competenze al servizio delle vittime di errore giudiziario e purtroppo non sempre si riesce a far trionfare la verità. 

– Che cosa rende difficile il lavoro della difesa di un innocente?

Il diffuso pregiudizio nei confronti della difesa, un pregiudizio che affligge sia i magistrati che i giornalisti e poi i conflitti interni alla difesa, conflitti che possono risultare fatali per un indagato/imputato. 

– Dottoressa, quante cose avrebbe voluto ancora dirmi?

Tante.

– Dottoressa, Buon 2021.

Buon 2021 a lei ed alla redazione.

OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: ANTONIO LOGLI REGGE UNA PARTE PROPRIO COME CHICO FORTI 

Antonio Logli

Antonio Logli è stato è stato condannato in via definitiva a 20 anni di carcere per l’omicidio di sua moglie Roberta Ragusa.

Le Cronache Lucane, 25 maggio 2020

Qualche settimana fa è stata diffusa un’intercettazione in cui si sente Antonio Logli che parla con Sara Calzolaio di un tombino: “Sì, glieli ho fatti vedere. Li aprì, guardò dentro e mi disse: Cosa c’è lì dentro?”. “C’è l’acqua, ma, se vuoi, guarda dentro. Chiama la botte della Gea, vuotali pian piano, se pensi che possa essere”. Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco che ha diffuso un’accurata ricostruzione dei fatti relativi alla scomparsa della Ragusa

– In tanti hanno pensato che il Logli possa aver nascosto il corpo di Roberta proprio in quel tombino, dottoressa Franco, che ne pensa?

Il Logli non ha ucciso Roberta nei pressi di casa sua, l’ha condotta invece in un luogo isolato dove l’ha colpita a morte e ne ha occultato il corpo. Roberta si lasciò convincere dal marito ed entrò nella C3 perché Antonio, con tutta probabilità, le promise che l’avrebbe portata a casa di Sara per chiarire. Il Logli non minacciò Roberta dopo essere stato scoperto in autoscuola al telefono con Sara. Il Gozi infatti ha sempre detto di aver sentito solo la voce alterata di una donna: “c’erano delle urla, la signora urlava, delle urla strazianti, forti”. Il Logli non aveva infatti interesse ad attirare l’attenzione di nessuno posto che era deciso ad uccidere sua moglie, una decisione che aveva preso mentre si trovava all’interno della sua Ford Escort in via Gigli, macchina che cambiò per un problema al filtro del gasolio e che temeva l’avrebbe lasciato a piedi. 

Chico Forti

– Dottoressa Franco, Antonio Logli è stato riconosciuto colpevole, perché non rivela il luogo dell’occultamento?

Il Logli non ammetterà mai di aver ucciso sua moglie, detesta il fatto di essere stato “smascherato”, preferisce rivendersi come una vittima per non perdere la faccia con familiari ed amici, vale lo stesso per i genitori di Maddie McCann e per Chico Forti, reggono tutti una parte. E’ particolarmente interessante ciò che ha recentemente risposto Chico Forti ad un giornalista che gli chiedeva il perché non si fosse dichiarato colpevole: “Per la gente che mi vuole bene, per la gente che crede in me, che crede nella mia innocenza, che crede nella persona che sono e che sono stata. Sarebbe il momento in cui perdo la mia battaglia”. Voglio farle notare che Chico Forti non ha risposto come avrebbe risposto un innocente “de facto”, ovvero non ha detto: “Non mi sono dichiarato colpevole perché sono innocente, io non ho ucciso Dale Pike”. Peraltro, non solo Chico non ha mai negato di aver ucciso Dale Pike, ma le sue interviste sono ricche di ammissioni incriminanti. In una ha perfino detto di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio, mentre al giornalista de “Le Iene” ha detto: “E’ la truffa più idiota del mondo, perché stavo truffando me stesso”. 

CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: CHICO FORTI E’ UN TRUFFATORE E UN ASSASSINO, IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI MAIO SPIEGHI PERCHE’ VUOLE RIPORTARLO IN ITALIA

Durante le indagini riguardanti l’omicidio di Dale Pike, un informatore della polizia ha riferito a chi indagava che, poco tempo prima, Chico aveva provato ad assoldare un killer per uccidere un avvocato, ciò che colpì gli investigatori furono le indicazioni fornite da Forti al potenziale killer, indicazioni che ricordavano da vicino le circostanze in cui era avvenuto l’omicidio di Pike (Power Privilege And Justice ISLAND OBSESSION – Enrico “Chico” Forti Story).

Le Cronache Lucane, 13 maggio 2020

Intorno alle ore 16.00 di giovedì 15 giugno 2000, Enrico Forti, detto Chico, un ex campione italiano di windsurf, è stato condannato al carcere a vita per l’omicidio di Dale Pike, 43 anni, figlio di Anthony Pike, proprietario del famoso Pike Hotel di Ibiza, che Chico stava cercando di acquisire.

Dale Pike è stato ucciso il 15 febbraio 1998, poco dopo il suo arrivo a Miami, con due colpi di cal. 22 alla testa, il secondo colpo esploso a distanza ravvicinata.

Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

Dale Pike

Criminologa Ursula franco: “Questo caso è una matrioska: truffe tra truffatori. Chi difende Chico Forti sostiene che non è vero che stesse cercando di appropriarsi del Pike Hotel di Ibiza attraverso una truffa e che invece Anthony Pike e Thomas Knott stavano cercando di truffare Chico rifilandogli un hotel senza valore. Se fosse vero che Pike e Knott stavano cercando di appropriarsi del denaro di Forti, nessuno dei due avrebbe avuto ragione di uccidere Dale per far attribuirne a Chico Forti il suo omicidio.  Non è vero che Chico Forti è stato assolto dall’accusa di truffa nei confronti di Anthony Pike; nel caso Forti è stata semplicemente applicata la Felony Murder Rule che prevede la sospensione di un capo di imputazione, in questo caso la truffa, perché movente dell’omicidio (La vera storia di Enrico Chico Forti di Claudio Giusti). Coloro che difendono Chico Forti, in specie l’amico Roberto Fodde, un avvocato che vive a Miami, sostengono che la polizia di Miami lo abbia “incastrato” per il servizio da lui realizzato sulla morte di Andrew Philip Cunanan, una specie di documentario nel quale Enrico Forti metteva in dubbio la versione della polizia di Miami Beach riguardo al suicidio di Cunanan; se davvero questi signori credono a ciò che sostengono, non è paradossale che nessuno di loro tema di venir “incastrato” per aver accusato la polizia di Miami Beach di aver “suicidato” Cunanan e quella di Miami di aver “incastrato” Chico Forti? Tra l’altro, il documentario di Enrico Forti non è mai stato diffuso in America ma solo in Italia ed in Francia, pertanto non ha danneggiato l’onore dei detective di Miami in nessun modo. Riguardo al suicidio dello spree killer Andrew Philip Cunanan, all’epoca uno degli uomini più ricercati d’America, è difficile credere alle dietrologie sulla sua morte, il suicidio, messo in atto dopo aver portato a termine una serie di omicidi programmati, è un classico tra gli spree killer e la pistola con cui Cunanan si suicidò e che la polizia gli trovò in mano è la stessa Taurus cal. 40 che aveva colpito a morte Gianni Versace”

– Dottoressa Franco, cosa vorrebbe chiedere al ministro degli esteri in merito al caso Chico Forti?

Non esiste alcun caso Forti, Chico ha ucciso a sangue freddo Dale Pike, è stato sottoposto ad un giusto processo e gli sono stati garantiti tutti gli appelli. Vorrei sapere da Di Maio il perché voglia riportare a casa un truffatore assassino. 

– Dottoressa, sappiamo che lei ritiene che Chico sia stato l’esecutore materiale, perché?

Se Enrico Forti avesse consegnato Dale Pike a uno o più complici non sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero. Solo lui, che aveva prelevato la vittima in Aeroporto, aveva interesse a simulare un omicidio in ambito omosessuale per allontanare i sospetti da sé, non certo un soggetto sconosciuto alla vittima. E poi Chico, già alle 19.16, mostrò di sapere che Dale era morto in quanto cominciò a prendere le distanze da lui dicendo a sua moglie che non lo aveva trovato in aeroporto. Forti sapeva che Dale Pike era morto perché era stato lui ad ucciderlo poco prima. E’ stato Chico a rivelare durante l’intervista rilasciata dal carcere di Everglades il 4 novembre 2004 di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio di Dale.

Sewer Beach, la spiaggia dove venne trovato il cadavere di Pike, non solo era poco fruibile a chi sarebbe dovuto uscire in windsurf perché la strada d’accesso era chiusa a causa dei danni di un recente uragano, ma quel giorno la direzione del vento non era ideale per uscire con la tavola a vela da quello spot, e un esperto di windsurf, un abitué, come Chico, sapeva che difficilmente vi avrebbe incontrato qualcuno, in specie dopo le 18.30. Enrico Forti non fece i nomi di eventuali complici in cambio di una condanna più benevola proprio perché complici non ve ne erano. Forti, già dal primo interrogatorio, cercò invece di spostare l’attenzione su Thomas Knott ma nulla permise di collegarlo all’omicidio di Dale perché evidentemente Knott era estraneo ai fatti. Dale fu ucciso con una pistola cal. 22, Forti possedeva una cal. 22 che scomparve dopo l’omicidio; se Chico avesse chiesto a qualcuno di uccidere Pike, si sarebbe assicurato che non venisse ucciso proprio con una cal. 22., quantomeno non con la sua cal. 22 che, per essere scagionato dalle accuse, avrebbe avuto la premura di consegnare agli investigatori.

– Dottoressa, come finirono vicino al cadavere di Dale i suoi effetti personali?

Nulla di più semplice: gli effetti personali di Dale caddero dalle sue tasche durante il denudamento del cadavere da parte di Chico, un denudamento che fu messo in atto in un momento in cui c’era pochissima luce. E’ da scartare l’ipotesi che l’assassino avesse apparecchiato la scena con gli effetti personali della vittima per incastrare Forti, in tal caso infatti non si spiegherebbe il denudamento del cadavere allo scopo di simulare un omicidio in ambito omosessuale posto che Forti non è gay.

APPIAPOLIS: IL CASO CHICO FORTI

       –       di Ursula Franco *     –                 NEI LABIRINTI DEL CRIMINE IL CASO CHICO FORTI

“Lei si preoccupa di quello che pensa la gente? Su questo argomento posso illuminarla, io sono un’autorità su come far pensare la gente”. Charles Foster Kane, protagonista di Citizen Kane (Quarto Potere), 1941.

Intorno alle ore 16.00 di giovedì 15 giugno 2000, Enrico Forti, detto Chico, un ex campione italiano di windsurf, è stato condannato al carcere a vita per l’omicidio di Dale Pike, 43 anni, figlio di Anthony Pike, proprietario del famoso Pike Hotel di Ibiza, che Chico stava cercando di acquisire.

Dale Pike è stato ucciso il 15 febbraio 1998, poco dopo il suo arrivo a Miami, con due colpi di cal. 22 alla testa, il secondo colpo è stato esploso a distanza ravvicinata.cadavere Dale Pike IL CASO CHICO FORTI

Un surfista, David Suchinsky, ritrovò il cadavere di Dale su una spiaggia di Key Biscayne, Sewer Beach (Virginia Beach), verso le 18.00 del 16 febbraio 1998. Il corpo di Dale era stato denudato per spostare l’attenzione su una pista omosessuale (staging). E’ escluso che Sewer Beach fosse un luogo d’incontro di omosessuali.

Il 19 febbraio 1998, Chico Forti, interrogato come persona informata sui fatti, nonostante avesse fissato un appuntamento con Dale Pike in Aeroporto per il pomeriggio del 15 febbraio, riferì a chi indagava di essere andato in Aeroporto, ma di non aver incontrato Dale.

Il 20 febbraio, messo di fronte all’evidenza (Chico, il 15 febbraio, giorno dell’omicidio, alle 19.16, aveva telefonato a sua moglie da Key Biscayne) Forti ritrattò e disse di aver raccolto Pike in Aeroporto alle 18.15 e di averlo lasciato 25 minuti dopo nel parcheggio del Rusty Pelican, un locale non distante da Sewer Beach, luogo dove fu poi ritrovato il suo cadavere.

Enrico Forti riferì che Dale aveva effettuato una telefonata da una stazione di servizio, che lo stesso sarebbe dovuto andare ad un party e che erano rimasti d’accordo che si sarebbero incontrati tre giorni dopo, all’arrivo di suo padre, Anthony Pike.

Chico Forti aggiunse inoltre di aver telefonato alla moglie non appena lasciato Dale Pike nel parcheggio del Rusty Pelican e, seppure in ritardo per l’appuntamento delle 19.00 con il suocero, di essersi diretto verso Fort Lauderdale per raccoglierlo in aeroporto.

Thomas Heinz Knott IL CASO CHICO FORTIIn un’intervista televisiva, uno dei detective della polizia di Miami, che si occupò del caso, ha riferito che Enrico Forti fornì un’altra versione, ovvero disse che se avesse detto la verità alla polizia, un tedesco, già condannato per truffa, con cui era in affari, tale Thomas Heinz Knott, si sarebbe vendicato colpendo la sua famiglia, aggiungendo che Knott gli aveva detto che avrebbero dovuto sistemare Dale e che per il bene della sua famiglia, Chico lo avrebbe dovuto prelevare in aeroporto per portarglielo. Forti riferì di aver seguito le indicazioni di Knott non sapendo però che cosa Thomas avesse pianificato (Power Privilege And Justice ISLAND OBSESSION – Enrico “Chico” Forti Story).

1) Enrico Forti sostiene di aver mentito inizialmente agli investigatori per paura, in quanto non solo era venuto a conoscenza della morte di Dale ma i detective gli avevano riferito, mentendo, che pure il padre di Dale, Anthony Pike, era stato ucciso. Questa sua giustificazione non regge, egli infatti, già nella telefonata intercorsa tra lui e la moglie alle 19:16 della sera dell’omicidio, telefonata che agganciò una cella vicina a Sewer Beach, luogo in cui fu ritrovato il cadavere di Pike, riferì alla donna di non aver incontrato Dale Pike in aeroporto ed in seguito, prima di raccontare questa stessa menzogna agli inquirenti, la raccontò al suo avvocato, a Thomas Knott e ad Anthony Pike, padre di Dale. 

La circostanza che, già alle 19:16 del 15 febbraio 1998, Chico Forti negasse con la moglie di aver incontrato Dale Pike in Aeroporto ci permette di inferire senza ombra di dubbio che già a quell’ora Chico aveva ucciso Dale.

2) L’aereo con a bordo Dale Pike arrivò a Miami alle 16.30, con un ritardo di mezz’ora rispetto all’orario previsto per l’atterraggio (lo riferì Forti agli investigatori nel suo primo interrogatorio, pag. 54).

Chico, a suo dire, prelevò Dale all’aeroporto di Miami intorno alle 18.15 e impiegò circa 25 minuti per raggiungere Sewer Beach (Key Biscayne), alle 19.16 chiamò sua moglie da Key Biscayne, come risulta dai tabulati, pertanto ebbe circa mezzora per uccidere Dale e alterare la scena del crimine simulando un omicidio in ambito omosessuale(staging). 

Riguardo allo staging, sia chiaro che solo un conoscente della vittima non omosessuale avrebbe avuto interesse a far passare l’omicidio di Dale per un delitto maturato in un contesto omosessuale, non un sicario né un assassino occasionale.dale pike IL CASO CHICO FORTI

3) Dale Pike fu ucciso con una pistola cal. 22. 

Qualche tempo prima dell’omicidio, Thomas Knott e Chico Forti avevano comprato una pistola dello stesso calibro, quella pistola, che Chico aveva pagato con la sua carta di credito e che aveva fatto intestare a Knott, non è mai stata ritrovata.articolo IL CASO CHICO FORTI

4) Della fantomatica telefonata che, secondo Forti Forti, Pike fece da una stazione di servizio, non vi è traccia. Viene da chiedersi il perché, avendo fretta di andare a Fort Lauderdale a prendere il suocero che doveva arrivare alle 19.00, Enrico non avesse prestato il proprio cellulare a Dale. La risposta è semplice: Dale, che doveva pernottare da Forti, non doveva fare e non fece nessuna telefonata. Ed è anche chiaro che Chico non sarebbe andato a prendere Dale Pike in aeroporto se Dale avesse avuto intenzione di passare la notte da qualcun altro.

5) Enrico Forti uccise personalmente Dale Pike e alterò lui stesso la scena del crimine. Se avesse avuto dei complici non sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero, né avrebbe consentito ai sicari di usare un’arma dello stesso calibro della sua. 

Forti non fece i nomi di eventuali complici in cambio di una condanna più benevola proprio perché complici non ve ne erano.

6) Una scheda telefonica è stata ritrovata accanto al cadavere di Dale Pike, quella scheda era stata usata per fare tre telefonate, due ad un numero simile a quello di Chico e la terza al suo numero esatto (alla chiamata Chico Forti non aveva risposto). E’ facile inferire che la scheda appartenesse a Dale e che lo stesso avesse tentato di contattare Enrico Forti una volta atterrato a Miami, le telefonate infatti risultarono fatte intorno alle 17.15, ovvero 45 minuti dopo l’atterraggio dell’aereo di Pike (La vera storia di Enrico Chico Forti di Claudio Giusti). Da notare che su quella scheda telefonica non vi è traccia di telefonate ad altri numeri se non a quello di Chico, tantomeno della fantomatica telefonata che, secondo Enrico Forti, Dale avrebbe fatto da una stazione di servizio. Chi difende Chico Forti sostiene che il killer di Dale Pike lasciò vicino al cadavere materiale utile ad incastrare Forti. In questo caso, che senso avrebbe avuto spogliare il cadavere di Dale per simulare un omicidio sessuale posto che Forti non è gay? Solo Chico Forti, che aveva prelevato la vittima in aereoporto, aveva interesse ad allontanare i sospetti da sé simulando un omicidio in ambito omosessuale, non certo un soggetto sconosciuto.articolo 2 IL CASO CHICO FORTI

7) Prima di ritrattare, Forti chiese alla moglie di far lavare l’auto con la quale aveva prelevato Dale Pike in aeroporto. E’ Enrico Forti a riferirlo in un’intervista rilasciata dopo la sua condanna: “La macchina… la mia macchina veniva lavata ogni settimana. Circa a metà della settimana. Non fu lavata il giorno dopo, fu lavata… credo tre o quattro giorni dopo… era la domenica e credo che venne lavata o il mercoledì o il giovedì. Ma si trattò di un lavaggio che era un lavaggio di routine, che facevamo ogni settimana. Fu mia moglie che la portò a lavare perché era sempre lei che la portava a lavare”.

Chico Forti uccise Dale Pike domenica 15 febbraio 1998; nei giorni di mercoledì 18 e giovedì 19 febbraio, fu sentito dai detective della polizia di Miami come persona informata sui fatti.articolo 3 IL CASO CHICO FORTI

8) Sewer Beach, la spiaggia dove venne trovato il cadavere di Pike, non solo era poco fruibile a chi sarebbe dovuto uscire in windsurf perché la strada d’accesso era chiusa a causa dei danni di un recente uragano, ma quel giorno la direzione del vento non era ideale per uscire con la tavola a vela da quello spot, e un esperto di windsurf, un abitué, come Chico, sapeva che difficilmente vi avrebbe incontrato qualcuno, in specie dopo le 18.30.

9) Non è vero che Chico Forti si rifiutò di collaborare con i detectives di Miami riguardo alla posizione dell’amico Thomas Knott, Chico, già dal primo interrogatorio, cercò di spostare l’attenzione su Knott, ma nulla permise di collegarlo all’omicidio di Dale perché evidentemente Thomas Knott era estraneo ai fatti.

pike hotel IL CASO CHICO FORTI10) Questo caso è una matrioska: truffe tra truffatori. Chi difende Chico Forti sostiene che non è vero che stesse cercando di appropriarsi del Pike Hotel di Ibiza attraverso una truffa e che invece Anthony Pike e Thomas Knott stavano cercando di truffare Chico rifilandogli un hotel senza valore. Se fosse vero che Pike e Knott stavano cercando di appropriarsi del denaro di Forti, nessuno dei due avrebbe avuto ragione di uccidere Dale per far attribuirne a Chico Forti il suo omicidio. 

11) Non è vero che Chico Forti è stato assolto dall’accusa di truffa nei confronti di Anthony Pike; nel caso Forti è stata semplicemente applicata la Felony Murder Rule che prevede la sospensione di un capo di imputazione, in questo caso la truffa, perché movente dell’omicidio (La vera storia di Enrico Chico Forti di Claudio Giusti).0 0 4733 6766 IL CASO CHICO FORTI

12) Coloro che difendono Chico Forti, in specie l’amico Roberto Fodde, un avvocato che vive a Miami, sostengono che la polizia di Miami lo abbia “incastrato” per il servizio da lui realizzato sulla morte di Andrew Philip Cunanan, una specie di documentario nel quale Enrico Forti metteva in dubbio la versione della polizia di Miami Beach riguardo al suicidio di Cunanan; se davvero questi signori credono a ciò che sostengono, non è paradossale che nessuno di loro tema di venir “incastrato” per aver accusato la polizia di Miami Beach di aver “suicidato” Cunanan e quella di Miami di aver “incastrato” Chico Forti? Tra l’altro, il documentario di Enrico Forti non è mai stato diffuso in America ma solo in Italia ed in Francia, pertanto non ha danneggiato l’onore dei detective di Miami in nessun modo. 

cunanan IL CASO CHICO FORTIRiguardo al suicidio dello spree killer Andrew Philip Cunanan, all’epoca uno degli uomini più ricercati d’America, è difficile credere alle dietrologie sulla sua morte, il suicidio, messo in atto dopo aver portato a termine una serie di omicidi programmati, è un classico tra gli spree killer e la pistola con cui Cunanan si suicidò e che la polizia gli trovò in mano è la stessa Taurus cal. 40 che aveva colpito a morte Gianni Versace.

13) Di seguito un’analisi di uno stralcio di un’intervista tratta da Il caso Forti:

Intervistatore: (Chico) come mai non sei riuscito ad allontanare questa persona (Thomas Knott) che hai descritto come un parassita e che approfittava in questo modo?

Chico Forti: Perché questa persona era eccezionale… io credo che avesse truffato oltre trenta miliardi di lire… all’epoca… in Germania (…).

Chico Forti: Ebbene, dal momento che io e Tony Pike tagliammo Tom Knott fuori dal business, in quel momento, Tom Knott si trasforma in una vipera che è stata calpestata, la persona che è tagliata fuori dalla gallina dalle uova d’oro (…).

Durante l’intervista Chico Forti ha mostrato di stimare Tom Knott per le sue capacità e ha definito Tony Pike una “gallina dalle uova d’oro”. Affermazioni particolarmente utili per delineare la personalità dell’ex campione di windsurf. Non è solo la mancanza di disprezzo per le attività illegali di Knott a colpire, ma anche l’assenza di rabbia nei suoi confronti. Chico Forti non ce l’ha con Knott, perché evidentemente mente quando sostiene di credere che sia stato lui ad incastrarlo. Il fatto che abbia definito Tony Pike una “gallina dalle uova d’oro”, ci conferma che era Chico a voler truffare Pike.

Altri stralci provenienti da un’intervista rilasciata da Enrico Forti il 4 novembre 2004 dal carcere (Everglades Correctional Institution, Miami, FL):

Chico Forti: Tutte le persone che… mi hanno dimostrato che credono nella mia innocenza, il fatto che… credo, meglio di chiunque altro, so che sono innocente, il fatto che, in fondo in fondo, credo che ci sia un fine all’ingiustizia.

Dirsi innocente non equivale a negare l’azione omicidiaria, peraltro Forti indebolisce la sua affermazione facendo precedere “so che” a “sono innocente”.

Chico Forti: Le prove create. La sabbia è una finzione. La mia macchina è stata smontata letteralmente in se… oltre settecento pezzi, è stata tenuta nel deposito della polizia, analizzata da esperti in ogni millimetro, in ogni area, dalla parte sottostante dell’interno alla parte esterna, le gomme, gli ammortizzatori, non hanno trovato nessun tipo di connessione con la spiaggia del morto, due o tre mesi dopo, il giorno prima che devono rilasciarmi la macchina decidono di prendere e guidare la mia macchina… su una spiaggia identica, di composizione identica alla spiaggia dove è stato trovato il morto, smontare dalla macchina e decidere, di punto in bianco, di guardare all’interno del gancio di traino, tolgono l’interno del gancio di traino e trovano tracce solamente della spiaggia del morto, non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio.

Per due volte Enrico Forti, riferendosi a Dale Pike, evita di chiamarlo per nome, lo definisce semplicemente “il morto”, lo fa per prenderne le distanze. Perché dovrebbe prendere le distanze da Dale se non fosse stato lui ad ucciderlo?

Non solo Chico prende le distanze dalla vittima ma anche dai fatti evitando ogni riferimento all’omicidio. Enrico Forti evita di dire “il ragazzo ucciso” o “il ragazzo assassinato” o “il ragazzo ammazzato”, ma dice semplicemente “il morto”, Chico non dice né “ucciso”, né “assassinato”, né “ammazzato” per evitare lo stress che gli produrrebbe l’uso di termini tanto evocativi.  

Da notare l’ultima frase di Forti, Chico dice “non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio”, “dopo” è una parola chiave, è con quel “dopo” che Chico si tradisce e ci rivela di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio, una pietra tombale.

Chico avrebbe semplicemente potuto dire di non essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio di Dale Pike ed invece, per non mentire, si è incartato in una lunga tirata oratoria durante la quale ci ha rivelato di esserci stato proprio quel giorno.  

Giornalista: Hai ucciso tu Dale Pike?

Ci aspettiamo da Chico Forti che neghi in modo credibile e che dica che sta dicendo la verità.

Chico Forti: Assolutamente no.

Aggiungendo “Assolutamente” a “no”, Forti mostra di aver bisogno di enfatizzare la negazione. 

Giornalista: Hai mai considerato la possibilità dell’omicidio?

Chico Forti: Assolutamente no. Non c’era motivo per me di togliere la vita al figlio di una persona che consideravo un amico.

Chico è incapace di rispondere con un semplice “No” e mostra di avere bisogno di convincere. Forti non possiede la protezione del cosiddetto del “muro della verità”, un’impenetrabile barriera psicologica che induce i soggetti che dicono il vero a limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno.

Ci saremmo aspettati che durante l’intervista Chico dicesse “Io non ho ucciso Dale Pike” e che lo dicesse spontaneamente.tony pike IL CASO CHICO FORTI

14) Durante le indagini riguardanti l’omicidio di Dale Pike, un informatore della polizia ha riferito a chi indagava che, poco tempo prima, Chico aveva provato ad assoldare un killer per uccidere un avvocato, ciò che colpì gli investigatori furono le indicazioni fornite da Forti al potenziale killer, indicazioni che ricordavano da vicino le circostanze in cui era avvenuto l’omicidio di Pike (Power Privilege And Justice ISLAND OBSESSION – Enrico “Chico” Forti Story).

CONCLUSIONI:

Enrico Forti è un truffatore e un assassino che, finché non è stato inchiodato alle sue responsabilità, ha ritenuto di essere parecchio furbo, un passato di “successi” nel campo della manipolazione del suo prossimo lo ha portato a credere di potersela cavare dopo aver ucciso Dale Pike ed invece si è dovuto confrontare con gente più furba di lui: i detectives e il prosecutor che hanno indagato sull’omicidio.

– Enrico Forti uccise personalmente Dale Pike, se lo avesse consegnato a uno o più complici non sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero. 

– Solo Chico Forti, che aveva prelevato la vittima in Aeroporto, aveva interesse a simulare un omicidio in ambito omosessuale per allontanare i sospetti da sé, non certo un soggetto sconosciuto alla vittima. 

– Chico, già alle 19.16, mostrò di sapere che Dale era morto in quanto cominciò a prendere le distanze da lui dicendo a sua moglie che non lo aveva trovato in aeroporto. Forti sapeva che Dale Pike era morto perché era stato lui ad ucciderlo poco prima.

– E’ stato Chico a rivelare durante l’intervista rilasciata dal carcere di Everglades il 4 novembre 2004 di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio di Dale.

– Enrico Forti non fece i nomi di eventuali complici in cambio di una condanna più benevola proprio perché complici non ve ne erano. Forti, già dal primo interrogatorio, cercò invece di spostare l’attenzione su Thomas Knott ma nulla permise di collegarlo all’omicidio di Dale perché evidentemente Knott era estraneo ai fatti. 

– Dale fu ucciso con una pistola cal. 22, Forti possedeva una cal. 22 che scomparve dopo l’omicidio; se Chico avesse chiesto a qualcuno di uccidere Pike, si sarebbe assicurato che non venisse ucciso proprio con una cal. 22., quantomeno non con la sua cal. 22 che, per essere scagionato dalle accuse, avrebbe avuto la premura di consegnare agli investigatori.

– Gli oggetti ritrovati intorno al cadavere di Dale, che riconducevano a Chico Forti, caddero dalle tasche di Dale durante il denudamento del cadavere da parte di Chico, un denudamento che fu messo in atto in un momento in cui c’era pochissima luce. E’ da scartare l’ipotesi che l’assassino avesse apparecchiato la scena con gli effetti personali della vittima per incastrare Forti, in tal caso infatti non si spiegherebbe il denudamento del cadavere allo scopo di simulare un omicidio in ambito omosessuale posto che Forti non è gay. FORTI 1200x1200 1 IL CASO CHICO FORTI

ursula franco 1 IL CASO CHICO FORTI* Medico chirurgo e criminologo, allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari

BIBLIOGRAFIA

chicoforti official site

Chico forti wikipedia

Power Privilege And Justice ISLAND OBSESSION – Enrico “Chico” Forti Story (con interviste ai detectives di Miami che si occuparono del caso)

L’incredibile storia di Chico Forti di Roberto Fodde

Il grande imbroglio di Chico Forti di Claudio Giusti

Il caso Forti

La vera storia di Chico Forti di Claudio Giusti

Felony Murder Rule wikipedia

Delitto Versace- il sorriso della medusa documentario

Andrew Cunanan wikipedia

Andrew Cunanan – The Versace Killer (Serial Killer Documentary)

IL CASO DI CHICO FORTI di Manuela Moreno

CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: IN QUESTI 20 ANNI CHICO FORTI HA RILASCIATO INTERVISTE AUTO INCRIMINANTI

La criminologa Ursula Franco è nota soprattutto per le sue competenze in tema di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi. La Franco è consulente della difesa di Paolo Foresta, marito di Annamaria Sorrentino, avvocato Giovanni Pellacchia; è stata la consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita nel caso Ceste; è stata poi consulente degli avvocati Esposito e Martelli, difensori di Stefano Binda. Binda, dopo essere stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi, il 24 luglio scorso è stato assolto per non aver commesso il fatto. La Franco è consulente dell’avvocato Salvatore Nicola Verrillo, difensore di Daniel Petru Ciocan che da più di 3 anni è indagato per violenza e omicidio dalla Procura di Benevento nel caso Ungureanu, nonostante il Tribunale del Riesame di Napoli e i giudici della Suprema Corte di Cassazione abbiano dato ragione alla difesa su tutta la linea ed abbiano soprattutto invitato gli inquirenti ad indagare sui genitori di Maria in merito agli abusi. 

Le Cronache Lucane, 27 gennaio 2020

– Gianni Forti, zio di Chico Forti, sostiene che lei non abbia studiato bene il caso.

Quello di Gianni Forti non è un argomento, come, da parte mia, non sarebbe un argomento mettere in dubbio le competenze in campo criminologico e giuridico dello zio di Chico. Per capire l’inesistente caso Chico Forti sono sufficienti le informazioni disponibili sul web e i contenuti delle auto incriminanti interviste rilasciate in questi 20 anni da Chico Forti. E’ nelle interviste rilasciate da Chico Forti dopo la condanna la conferma del fatto che è lui l’omicida di Dale Pike. Chico è un manipolatore, non ha mai detto di non aver ucciso Dale, sono i suoi sostenitori a dirlo. Dal punto di vista dell’analisi linguistica, se Chico non avesse ucciso Dale, ma anche se fosse solo il mandante dell’omicidio, sarebbe riuscito a dire “io non ho ucciso Dale Pike, sto dicendo la verità”.

 – Che ne pensa dei servizi mandati in onda dalla trasmissione Le Iene?

Sono di nessun valore. È infatti provato che, riguardo ai casi giudiziari, l’interesse primario dello show Le Iene non è la verità. E’ evidente che, allo scopo di sostenere le loro tesi preconcette, Le Iene non solo contaminano le interviste attraverso le domande ma, prima di mandarle in onda, le sottopongono ad un imponente “taglia e cuci”. 

Chico Forti

– Torna a chiarirci il perché lei, a differenza dell’accusa, ritiene che sia stato proprio Chico Forti ad uccidere Dale Pike.

1) Il giorno dell’omicidio, Chico Forti, alle 19.16 chiamò sua moglie da un luogo che si trovava in prossimità della scena del crimine, il suo telefono agganciò infatti la cella che serviva quell’area. E già in quella telefonata, Chico negò di aver incontrato Dale Pike in Aeroporto.
Il fatto che, dalle 19:16 del 15 febbraio 1998, Chico Forti abbia negato alla moglie e, da quel momento in poi a tutti i suoi interlocutori (il suo avvocato, Thomas Knott, il padre di sua moglie, il padre di Dale e la polizia) di aver incontrato Dale Pike ci rivela che, a quell’ora, Dale era già morto.
2) L’assassino, dopo aver sparato a Dale, mise in atto una messinscena, ovvero simulò un omicidio in un contesto omosessuale.
Solo Chico Forti, che aveva prelevato la vittima in Aeroporto, aveva interesse a simulare un omicidio in ambito omosessuale per allontanare i sospetti da sé, non certo un soggetto sconosciuto alla vittima.
3) E’ stato Chico a rivelare durante l’intervista rilasciata dal carcere di Everglades il 4 novembre 2004 di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio di Dale.
4) Se Chico avesse avuto dei complici non sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero alle 19.00.
5) Dale fu ucciso con due colpi di una calibro .22. Un’arma dello stesso calibro di quella a disposizione di Chico Forti e che non fu mai ritrovata. Se Chico avesse avuto dei complici non gli avrebbe consentito di usare un’arma dello stesso calibro di quella a sua disposizione.
6) Se Chico non avesse ucciso personalmente Dale o fosse stato il mandante dell’omicidio, sarebbe riuscito a dire “io non ho ucciso Dale Pike, sto dicendo la verità.”
7) Gli oggetti ritrovati intorno al cadavere di Dale caddero dalle tasche di Dale durante il denudamento del cadavere da parte di Chico, un denudamento che fu messo in atto in un momento in cui c’era pochissima luce. E’ da scartare l’ipotesi che l’assassino avesse apparecchiato la scena con gli effetti personali della vittima per incastrare Forti, in tal caso infatti non si spiegherebbe il denudamento del cadavere allo scopo di simulare un omicidio in ambito omosessuale posto che Forti non è gay.
8)Chico ha raccontato di una fantomatica telefonata di Dale da una cabina telefonica, non solo di quella telefonata non vi è traccia ma Chico era in ritardo, avrebbe dovuto essere a Fort Lauderdale alle 19.00, se Dale avesse dovuto chiamare qualcuno, gli avrebbe fatto usare il suo telefono, avrebbe evitato di fermarsi per non perdere tempo.

Dale Pike

 – Chi è Thomas Knott?

Thomas Knott è una delle tante vittime di Chico Forti. Dopo aver ucciso Pike, Chico Forti raccontò a Thomas Knott che la polizia di Miami lo stava cercando per la truffa dei palloni aerostatici e per la la storia dei soldi sottratti a Anthony Pike, lo fece per spaventarlo e per fargli lasciare Miami in modo da indurre gli inquirenti a sospettare di lui. Riguardo poi alle carte di credito di Anthony Pike, non era il solo Knott ad usarle, anche Chico Forti aveva tentato di acquistare materiali per le riprese video con quelle carte di credito usando però il nome di Thomas Knott. Peraltro, durante un’intervista, Chico Forti ha mostrato di stimare Thomas Knott per le sue capacità e ha definito Anthony Pike una “gallina dalle uova d’oro”, affermazioni particolarmente utili per delineare la personalità dell’ex campione di windsurf. Non è solo la mancanza di disprezzo per le attività illegali di Knott a colpire, ma anche l’assenza di rabbia nei suoi confronti. Chico Forti non ce l’ha con Thomas Knott perché evidentemente mente quando sostiene di credere che sia stato lui ad incastrarlo. 

Riguardo invece al giorno dell’omicidio di Dale Pike, Thomas Knott rimase a casa, ce lo confermano i tabulati telefonici e le testimonianze degli ospiti che raggiunsero il suo appartamento dopo le 19:00. 

E’ Chico Forti ad aver mentito agli investigatori ed è lui ad essere privo di un alibi. Peraltro, durante le indagini riguardanti l’omicidio di Dale Pike, un informatore della polizia riferì a chi indagava che, poco tempo prima, Chico Forti aveva provato ad assoldarlo per uccidere un avvocato e le indicazioni fornite dal Forti al potenziale killer ricordavano da vicino le circostanze in cui è avvenuto l’omicidio di Dale Pike.

– Come fa ad essere sicura che la sabbia ritrovata sull’auto di Chico provenga da Sewer Beach, spiaggia dove venne ucciso Dale Pike?

E’ stato Chico a dirci che il giorno dell’omicidio di Dale Pike si recò a Sewer Beach, lo ha fatto durante l’intervista rilasciata dal carcere di Everglades il 4 novembre 2004: “Le prove create. La sabbia è una finzione. La mia macchina è stata smontata letteralmente in se… oltre settecento pezzi, è stata tenuta nel deposito della polizia, analizzata da esperti in ogni millimetro, in ogni area, dalla parte sottostante dell’interno alla parte esterna, le gomme, gli ammortizzatori, non hanno trovato nessun tipo di connessione con la spiaggia del morto, due o tre mesi dopo, il giorno prima che devono rilasciarmi la macchina decidono di prendere e guidare la mia macchina… su una spiaggia identica, di composizione identica alla spiaggia dove è stato trovato il morto, smontare dalla macchina e decidere, di punto in bianco, di guardare all’interno del gancio di traino, tolgono l’interno del gancio di traino e trovano tracce solamente della spiaggia del morto, non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio.”

“non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio” è un’ammissione involontaria. Con questa frase Chico si è tradito e ha rivelato di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio.

– Dottoressa, vuole aggiungere qualcosa?
Non esiste un caso Chico Forti. A Forti non resta che chiedere la grazia a Donald J. Trump. Nonostante gli appelli, le prove contro di lui hanno tenuto e sono balle le storie che raccontano i sui sostenitori sui fantomatici diritti violati. Infine, il tentativo di incastrare Thomas Knott è una vergogna tutta italiana.

IL CASO CHICO FORTI A CHI L’HA VISTO?, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: MEGLIO SCEGLIERE LA VERITA’ AL CONSENSO

Chico Forti

Enrico detto “Chico” Forti è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Dale Pike. Pike è stato ucciso con due colpi di cal. 22 su una spiaggia di Miami il 15 febbraio 1998. In Italia, ormai da anni, un vasto stuolo di personaggi pubblici esprime dubbi in merito alla sentenza di condanna emessa in USA. Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco che è certa della colpevolezza di Forti.

Dale Pike

Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. La Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

La Franco aveva recentemente dichiarato: “I processi mediatici sono un mezzo utilizzato da sempre per convincere della colpevolezza o dell’innocenza di un soggetto coinvolto in un caso giudiziario. E, come in questo caso, si fondano su dissimulazione e falsificazione. Voglio precisare che non sono contraria alla richiesta di grazia per Forti, non accetto semplicemente che si tenti di riscrivere i fatti relativi all’omicidio di Dale e che si tenti di incastrare un innocente.”

Le Cronache Lucane, 16 dicembre 2019

– Dottoressa Franco, che ne pensa del servizio giornalistico su Chico Forti andato in onda a “Chi l’ha visto?” Mercoledì 11 dicembre?

E’ sempre meglio scegliere la verità al consenso. Il servizio realizzato su Chico Forti da “Chi l’ha visto?” è frutto di una totale mistificazione dei fatti. Ma come si fa a prendere posizione su un caso giudiziario senza conoscerlo, senza competenze in ambito criminologico e ignorando l’ordinamento americano? A RAI3 non si chiedono il perché Chico possa sperare solo nella grazia e non in una revisione?

– Coloro che difendono Chico Forti, in specie l’amico Roberto Fodde, un avvocato che vive a Miami, sostengono che la polizia di Miami abbia “incastrato” Forti per il servizio da lui realizzato sulla morte di Andrew Philip Cunanan, una specie di documentario nel quale Forti metteva in dubbio la versione della polizia di Miami riguardo al suicidio di Cunanan, proprio in merito, durante la trasmissione di RAI3 Ercole Rocchetti ha detto: “Nel documentario viene messa fortemente in dubbio la versione ufficiale della polizia di Miami secondo la quale l’assassino di Versace sarebbe il serial killer Andrew Cunanan, Forti sostiene che il presunto assassino sarebbe stato ucciso 48 ore prima del ritrovamento e solo una volta morto sarebbe stato poi posizionato dentro quella casa galleggiante solo allo scopo di chiudere il caso, una ricostruzione che la polizia di Miami non ha affatto gradito”, può fare chiarezza?

Riguardo al suicidio di Andrew Philip Cunanan, all’epoca uno degli uomini più ricercati d’America, è difficile credere alle dietrologie sulla sua morte, il suicidio, messo in atto dopo aver portato a termine una serie di omicidi programmati, è un classico tra gli spree killer e la pistola con cui Cunanan si suicidò e che la polizia gli trovò in mano è la stessa Taurus cal. 40 che aveva colpito a morte Gianni Versace. Riguardo invece al documentario di Enrico Forti, “Il sorriso della Medusa”, quel documentario non è mai stato diffuso in America ma solo in Italia ed in Francia, pertanto non ha danneggiato l’onore dei detective della polizia di Miami Beach, peraltro, chi difende Forti non dice che Chico è stato arrestato per l’omicidio di Dale Pike dalla polizia di Miami non da quella di Miami Beach, che si era occupata invece dell’omicidio Versace.

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– Dottoressa, Ercole Rocchetti, durante il suo servizio, ha detto che accanto al cadavere di Dale erano “in bella vista tutti i suoi effetti personali” lasciando chiaramente intendere che facessero parte di una messinscena per incastrare Chico, che può dirci in merito?

E’ una sciocchezza, per analizzare correttamente un caso giudiziario servono competenze, in questo caso anche in tema di “staging” della scena del crimine: se Dale non fosse stato ucciso da Chico e l’assassino avesse apparecchiato la scena con gli effetti personali della vittima, non avrebbe avuto senso spogliarne il cadavere per simulare un omicidio sessuale posto che Forti non è gay. Solo Chico Forti, che aveva prelevato la vittima in Aeroporto, aveva interesse ad allontanare i sospetti da sé simulando un omicidio in ambito omosessuale. In ogni caso, Dale sarebbe stato comunque identificato, ciò che ha aiutato a smascherare Forti è stato il fatto che sulla scheda telefonica usata per fare tre telefonate, due ad un numero simile a quello di Chico e la terza al suo numero esatto (alla chiamata Chico Forti non aveva risposto), in quanto Dale aveva tentato di contattare Enrico Forti una volta atterrato a Miami, le telefonate infatti vennero fatte intorno alle 17.15, ovvero 45 minuti dopo l’atterraggio dell’aereo di Pike (La vera storia di Enrico Chico Forti di Claudio Giusti), non vi era traccia di telefonate ad altri numeri, tantomeno della fantomatica telefonata che, secondo Enrico Forti, Dale avrebbe fatto da una stazione di servizio.

– L’inviato di Chi l’ha visto? Ercole Rocchetti ha sostenuto che “la telefonata (di Chico) alla moglie ci consente di localizzare il suo cellulare nel tragitto verso un’altra località dove ha un appuntamento con il suocero”, che ne dice dottoressa?

Che vuole che le dica? Le ripeto: un caso bisogna conoscerlo prima di esprimersi. La telefonata alla moglie ha incastrato Chico perché ha consentito agli inquirenti di localizzare il suo telefono a poca distanza dalla scena del crimine. In quella telefonata Chico disse alla moglie di non aver incontrato Dale.

– Quindi non si trattò di una “stupida bugia che ritratterà a mente fredda il giorno dopo”, come sostenuto da Rocchetti nel servizio?

Evidentemente no, Chico non mentì solo alla polizia riguardo all’incontro con Dale, come da lui sostenuto in un’intervista del 2001, Chico mentì già alla moglie alle 19.16 del giorno dell’omicidio, al suocero, ad Anthony Pike e all’amico tedesco Thomas Knott. Chico, già alle 19.16 del giorno dell’omicidio, cominciò a prendere le distanze da Dale Pike in quanto sapeva che era morto perché era stato lui ad ucciderlo poco prima. Enrico Forti uccise personalmente Dale Pike, se lo avesse consegnato a uno o più complici non sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero.

– Chico sostiene di aver mentito agli investigatori per paura?

E’ vero, Chico temeva di essere incriminato perché era stato l’ultimo a vedere Dale e lo aveva ucciso.

– Perché Chico avrebbe scelto Sewer Beach per uccidere Dale?

Perché sapeva che Sewer Beach, la spiaggia dove venne trovato il cadavere di Pike, non solo era poco fruibile a chi sarebbe dovuto uscire in windsurf perché la strada d’accesso era chiusa per un precedente uragano ma quel giorno la direzione del vento non era ideale per uscire con la tavola a vela da quello spot, pertanto, Chico, in quanto esperto di windsurf ed abitué, sapeva che difficilmente vi avrebbe incontrato qualcuno, in specie dopo le 18.30.

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– Riguardo ai granelli di sabbia ritrovati sul Range Rover di Chico, che può dirci?

E’ stato Chico a dirci che il giorno dell’omicidio di Dale Pike si recò a Sewer Beach, lo ha fatto in un’intervista. “Chico Forti: Le prove create. La sabbia è una finzione. La mia macchina è stata smontata letteralmente in se… oltre settecento pezzi, è stata tenuta nel deposito della polizia, analizzata da esperti in ogni millimetro, in ogni area, dalla parte sottostante dell’interno alla parte esterna, le gomme, gli ammortizzatori, non hanno trovato nessun tipo di connessione con la spiaggia del morto, due o tre mesi dopo, il giorno prima che devono rilasciarmi la macchina decidono di prendere e guidare la mia macchina… su una spiaggia identica, di composizione identica alla spiaggia dove è stato trovato il morto, smontare dalla macchina e decidere, di punto in bianco, di guardare all’interno del gancio di traino, tolgono l’interno del gancio di traino e trovano tracce solamente della spiaggia del morto, non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio.”

Si noti l’ultima frase di Forti, “non delle altre spiagge dove io ho guidato con la macchina dopo… il… il 15 di febbraio”, “dopo” è una parola chiave, è con quel “dopo” che Chico si tradisce e rivela di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio, un’ammissione involontaria, una pietra tombale.

– E’ vero che Forti è stato condannato senza un movente perché era stato assolto dall’accusa di truffa?

E’ un’altra sciocchezza. Nel caso Forti è stata semplicemente applicata la Felony Murder Rule che prevede la sospensione di un capo di imputazione, in questo caso la truffa ai danni di Anthony Pike, perché movente dell’omicidio (La vera storia di Enrico Chico Forti di Claudio Giusti). Chi difende Chico Forti sostiene che non è vero che Chico stesse cercando di appropriarsi del Pike Hotel di Ibiza attraverso una truffa e che erano invece Anthony Pike e Thomas Knott che stavano cercando di truffare Chico rifilandogli un hotel senza valore, se fosse vero che Pike e Knott stavano cercando di appropriarsi del denaro di Forti, nessuno dei due avrebbe avuto motivo di uccidere Dale per incastrare Chico Forti e così veder sfumato il guadagno.

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– Dottoressa, è vero che, come dice Ercole Rocchetti, “sono sparite le registrazioni di quegli interrogatori ma il contenuto finisce comunque nel fascicolo del Prosecutor, il pubblico ministero”?

E’ falso, posseggo anch’io una copia della trascrizione dell’interrogatorio di 85 pagine cui fu sottoposto Chico il 19 febbraio 1998.

– E’ vero che Chico non ha mai parlato al processo?

E’ stata una scelta processuale di Chico e della sua difesa non convocarlo come teste. Per il resto, il processo americano non prevede che un imputato rilasci dichiarazioni spontanee prima della sentenza. Le ricordo che l’ordinamento americano è diverso dal nostro.

– E’ vero che quella riguardante Chico Forti, come dice Rocchetti, “è una delle storie più controverse della giustizia americana, anche a detta dell’opinione pubblica di quel paese, che chiede a gran voce la revisione del processo”?

Esilarante. Che distorsione! Controversa? L’opinione pubblica!? Chiedetevi perché Forti non sia riuscito a vincere un appello e perché non si sia rivolto ad associazioni come “Innocence Project”. A Chico non resta che chiedere la grazia al presidente Donald Trump perché è stato lui ad uccidere il povero Dale Pike.

– Dottoressa, è vero, così come dice Rocchetti, che “in questa vicenda ci sono una serie impressionanti di violazioni del principio del giusto processo e dei diritti di difesa”?

Se vi fossero state le fantomatiche suddette violazioni, Chico sarebbe stato assolto in appello.

– Veniamo a Thomas Heinz Knott, definito da Federica Sciarelli ed Ercole Rocchetti “truffatore”, che vuol dirci?

In primis vorrei ricordare che sia Thomas Knott che Chico Forti sono stati condannati per i reati a loro contestati, il primo per truffa, il secondo per omicidio, pertanto invito chi definisce Knott “truffatore” a chiamare Chico “assassino”. Trovo scorretto e disonorevole l’uso spudorato del cosiddetto criterio dei “due pesi e due misure”. Riguardo al rapporto tra Forti e Knott è utile leggere uno stralcio di un’intervista tratta da Il caso Forti:

“Intervistatore: (Chico) come mai non sei riuscito ad allontanare questa persona (Thomas Knott) che hai descritto come un parassita e che approfittava in questo modo?

Chico Forti: Perché questa persona era eccezionale… io credo che avesse truffato oltre trenta miliardi di lire… all’epoca… in Germania (…).

Chico Forti: Ebbene, dal momento che io e Tony Pike tagliammo Tom Knott fuori dal business, in quel momento, Tom Knott si trasforma in una vipera che è stata calpestata, la persona che è tagliata fuori dalla gallina dalle uova d’oro (…).”

Durante l’intervista Chico Forti ha mostrato di stimare Tom Knott per le sue capacità e ha definito Tony Pike una “gallina dalle uova d’oro”. Affermazioni particolarmente utili per delineare la personalità dell’ex campione di windsurf; non è solo la mancanza di disprezzo per le attività illegali di Knott a colpire ma anche l’assenza di rabbia nei suoi confronti. Chico Forti non ce l’ha con Knott, perché evidentemente mente quando sostiene di credere che sia stato lui ad incastrarlo. Il fatto che abbia definito Tony Pike una “gallina dalle uova d’oro” ci conferma che era Chico a voler truffare Anthony Pike.

– Dottoressa, vuole aggiungere qualcosa?

Durante le indagini riguardanti l’omicidio di Dale Pike, un informatore della polizia ha riferito a chi indagava che, poco tempo prima, Chico aveva provato ad assoldare un killer per uccidere un avvocato, ciò che colpì gli investigatori furono le indicazioni fornite da Forti al potenziale killer, indicazioni che ricordavano da vicino le circostanze in cui era avvenuto l’omicidio di Pike (Power Privilege And Justice ISLAND OBSESSION – Enrico “Chico” Forti Story).

CHICO FORTI, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: FORTI HA UCCISO DALE PIKE

Chico Forti

Enrico detto “Chico” Forti è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Dale Pike. Pike è stato ucciso con due colpi di cal. 22 su una spiaggia di Miami il 15 febbraio 1998. In Italia, ormai da anni, un vasto stuolo di personaggi pubblici esprime dubbi in merito alla sentenza di condanna emessa in USA. Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco che è certa della colpevolezza di Forti.

Le Cronache Lucane, 11 dicembre 2019

Dale Pike

 – Dottoressa Franco, com’è possibile che in tanti prendano posizione a favore di Forti in maniera acritica?

Non c’è nulla di cui meravigliarsi, i processi mediatici sono un mezzo utilizzato da sempre per convincere della colpevolezza o dell’innocenza di un soggetto coinvolto in un caso giudiziario. E, come in questo caso, si fondano su dissimulazione e falsificazione. Voglio precisare che non sono contraria alla richiesta di grazia per Forti, non accetto semplicemente che si tenti di riscrivere i fatti relativi all’omicidio di Dale e che si tenti di incastrare un innocente.

– Chico sostiene di aver mentito agli investigatori per paura?

Certamente, per paura di essere incriminato perché era stato l’ultimo a vedere Dale e lo aveva ucciso. Peraltro, Chico Forti non mentì solo alla polizia, ma in una telefonata, quella delle 19:16 intercorsa tra lui e la moglie la sera dell’omicidio, Forti riferì alla donna di non aver incontrato la vittima in Aeroporto e, in seguito, prima di raccontare questa stessa menzogna agli inquirenti, la raccontò al suo avvocato, al suocero, a Thomas Knott e Anthony Pike. La circostanza che, già alle 19:16 del 15 febbraio 1998, Chico Forti abbia negato alla moglie di aver incontrato Dale Pike in Aeroporto ci permette di inferire senza ombra di dubbio che già a quell’ora Chico aveva ucciso Dale e che, proprio per questo motivo, da quel momento negò a tutti i suoi interlocutori di averlo incontrato. Enrico Forti uccise personalmente Dale Pike e alterò lui stesso la scena del crimine, se avesse avuto dei complici non sarebbe arrivato in ritardo all’aeroporto di Fort Lauderdale dove aveva appuntamento con il suocero, né avrebbe consentito ai sicari di usare un’arma dello stesso calibro della sua. 

– Chi difende Chico Forti sostiene che il killer di Dale Pike abbia lasciato vicino al cadavere materiale utile ad incastrare Forti.

Esilarante. Se questa sciocchezza fosse vera il killer non avrebbe spogliato il cadavere di Dale per simulare un omicidio sessuale posto che Forti non è gay. Solo Chico Forti, che aveva prelevato la vittima in aereoporto, aveva interesse ad allontanare i sospetti da sé simulando un omicidio in ambito omosessuale, non certo un soggetto sconosciuto.

– Secondo Chico Forti, Anthony Pike e Thomas Knott stavano cercando di truffarlo rifilandogli un hotel senza valore.

Se fosse vero che Anthony Pike e Thomas Knott stavano cercando di appropriarsi del denaro di Forti, nessuno dei due avrebbe avuto ragione di uccidere Dale per incastrarlo.

Anthony Pike

– Chi difende Forti dice che manca un movente in quanto Chico è stato assolto dall’accusa di truffa nei confronti di Anthony Pike.

Non è vero che Chico Forti è stato assolto dall’accusa di truffa nei confronti di Anthony Pike, nel caso Forti è stata semplicemente applicata la Felony Murder Rule, che prevede la sospensione di un capo di imputazione, in questo caso la truffa, perché movente dell’omicidio. Vi invito a leggere ciò che ha scritto in merito il dottor Claudio Giusti. Peraltro, l’ultima truffa di Forti è stata quella di dare a bere a molti italiani di non aver ucciso Dale Pike. 

– Che legame c’è tra l’omicidio di Versace e le accuse a Chico Forti?

Nessuno. Coloro che difendono Chico Forti sostengono che la polizia di Miami lo abbia “incastrato” per il servizio da lui realizzato sulla morte di Andrew Philip Cunanan, una specie di documentario nel quale Enrico Forti metteva in dubbio la versione della polizia di Miami Beach riguardo al suicidio di Cunanan; se davvero questi personaggi credono a ciò che sostengono, non è paradossale che nessuno di loro tema di venir “incastrato” per aver accusato la polizia di Miami Beach di aver “suicidato” Cunanan e quella di Miami di aver “incastrato” Chico Forti? Tra l’altro, il documentario di Enrico Forti non è mai stato diffuso in America ma solo in Italia ed in Francia, pertanto non ha danneggiato l’onore dei detective di Miami in nessun modo. Riguardo al suicidio dello spree killer Andrew Philip Cunanan, all’epoca uno degli uomini più ricercati d’America, è difficile credere alle dietrologie sulla sua morte, il suicidio, messo in atto dopo aver portato a termine una serie di omicidi programmati, è un classico tra gli spree killer e la pistola con cui Cunanan si suicidò e che la polizia gli trovò in mano è la stessa Taurus cal. 40 che aveva colpito a morte Gianni Versace.

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