Elena Ceste, 37 anni, è scomparsa da casa il 24 gennaio 2014, il suo corpo è stato ritrovato il 18 ottobre successivo in un canale di scolo a poche centinaia di metri dall’abitazione che condivideva con il marito e i 4 figli. Il 29 gennaio 2015, Michele Buoninconti è stato arrestato con l’accusa di aver ucciso sua moglie Elena. Buoninconti è poi stato condannato a 30 anni in via definitiva e sta scontando la pena nel carcere di Alghero.
Le Cronache Lucane, 26 novembre 2019
Da 5 anni la criminologa Ursula Franco, che è stata consulente della difesa del vigile di Costigliole D’Asti, afferma che Michele Buoninconti è stato condannato a 30 anni di reclusione per un omicidio mai avvenuto. Ursula Franco: “Michele Buoninconti è stato arrestato a fine gennaio 2015 dopo la virata colpevolista dei Media che inizialmente avevano dato in pasto ai telespettatori i messaggi che sua moglie Elena Ceste si scambiava con i suoi amanti, le interviste ad uno di questi e quelle al medico di famiglia, ai vicini ed al prete, interviste dalle quali si evinceva con forza che la donna era affetta da un delirio persecutorio. Nel caso Ceste si è passati dall’ipotesi dell’allontanamento volontario in preda ad una crisi psicotica, sostenuta anche dallo psichiatra consulente della procura di Asti, ad una condanna del marito per omicidio senza che sul cadavere della Ceste fossero rinvenuti i segni di una morte violenta. Peraltro la procura di Asti si è servita di un consulente che ha mentito al giudice del primo grado relativamente ai suoi titoli di studio, ciò ha impedito che Buoninconti venisse sottoposto ad un giusto processo. La genuinità delle dichiarazioni rese dai consulenti è infatti condicio sine qua non per la correttezza e la giustizia della decisione giudiziaria. Il giudice di primo grado Roberto Amerio ha in gran parte fondato la condanna di Michele Buoninconti sulla consulenza informatica di Giuseppe Dezzani, un geometra che, durante l’udienza del processo del 22 luglio 2015, ha sostenuto di essere laureato in Informatica, incorrendo nei reati di falsa testimonianza e falsa attestazione a un pubblico ufficiale sui suoi titoli di studio. Dezzani avrebbe dovuto rispondere al giudice secondo verità, invece ha dichiarato il falso. Ad Asti è stato ritenuto più credibile un geometra che da anni millanta un titolo accademico che l’ingegner Paolo Reale, consulente della difesa, che nella sua consulenza ha fatto emergere la superficialità e la pochezza scientifica della consulenza prodotta dal geometra Dezzani per la procura di Asti. Ed infine, Michele Buoninconti è stato vittima di un processo mediatico foraggiato dalla procura di Asti attraverso la divulgazione di stralci di atti scelti ad hoc, un processo mediatico che ha condizionato quasi tutti gli attori di questo caso giudiziario.”
La Franco, dopo la sentenza della Cassazione: “Siamo di fronte ad un inaccettabile paradosso: la Cassazione ha confermato la condanna di uomo per un omicidio mai avvenuto. Purtroppo, i giudici, invece di rifarsi agli atti d’indagine dove la verità emerge con forza, si sono lasciati condizionare dal processo mediatico. E’ chiaro che questo caso giudiziario non finisce qui ma arriverà presto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Sono serena e sono sicura che lo sia anche Buoninconti, la verità su come sono andati i fatti e su come si è arrivati a queste tre assurde condanne è agli atti ed è immarcescibile, Michele Buoninconti avrà giustizia. Gli italiani, non solo stanno festeggiando qualcosa che va oltre il fallimento della giustizia ma pagheranno di tasca propria i milioni di risarcimento dovuti a Buoninconti che, naturalmente, saranno proporzionali agli anni che passerà in carcere. La massa sottovaluta il fatto che chiunque di noi potrebbe trovarsi un giorno in galera per un omicidio mai avvenuto o di cui non è responsabile“.
– Nonostante le tre condanne e l’impopolarità che le ha portato, lei continua a difendere Michele Buoninconti, perché?
Perché sono dalla parte della verità, una verità che emerge con forza dalle risultanze investigative, una verità che è stata sommersa dal fango. Lo ripeterò finché non ne avrò ragione: Buoninconti è l’unica vera vittima di questo “orrore” giudiziario. Buoninconti è un uomo innocente che è stato prima diffamato e poi privato della libertà e dei propri figli.
– Dottoressa Franco, da qualche tempo si è tornati a parlare del caso Buoninconti Ceste in un’ottica innocentista, che ne pensa?
Sono contenta che si torni a parlare di questo “orrore” giudiziario. Aggiungo che è sufficiente leggere l’Ordinanza di custodia cautelare per rendersi conto del grossolano errore commesso dalla Procura di Asti.
– Dottoressa Franco, eventuali indagini genetiche potrebbero aiutare a risolvere il caso?
Non siamo ridicoli, Elena Ceste non è stata uccisa, di chi dovremmo cercare il DNA? La soluzione del caso Ceste è nella mia consulenza che, nel 2015, è stata depositata dall’avvocato Massimo Tortoroglio: Elena Ceste si è allontanata di casa in preda ad una crisi psicotica ed è morta per ipotermia, non c’è spazio per soluzioni alternative, anzi, eventuali ricostruzioni fantastiche danneggerebbero il povero Buoninconti. Solo un criminologo con competenze in ambito medico legale e psichiatrico è in grado di capire questo caso. Vede, io non solo conosco gli atti d’indagine, che mi permettono di dire senz’ombra di dubbio che nel caso Ceste non è stato commesso un omicidio, ma ho analizzato anche tutto ciò che è venuto dopo la scomparsa di Elena e che ha condotto a questo “orrore” giudiziario. Buoninconti non è stato sottoposto ad un giusto processo, lo ripeterò in eterno: uno dei consulenti chiave della procura di Asti ha dichiarato il falso sui suoi titoli di studio, sia nella consulenza redatta per la procura che durante una delle udienze del processo di primo grado.
– Nel caso Buoninconti, cosa non ha funzionato?
All’errore di giudizio dei carabinieri della stazione di Costigliole D’Asti è seguito l’errore della Procura di Asti, dopodiché non hanno funzionato i salvagenti a tutela di un indagato, il GIP si è inspiegabilmente spalmato sulle richieste dell’accusa accogliendo una richiesta d’arresto che non stava né in cielo né in terra e, ai giudici del Riesame, nonostante le critiche mosse alla procura, è mancato il coraggio e così Buoninconti si è trovato a dover rispondere di un omicidio mai avvenuto.
– Che ruolo ha avuto il processo mediatico nel caso Buoninconti?
Un ruolo di primo piano, la procura, convinta di avere tra le mani un femminicida, pur non avendo né le prove che fosse stato commesso un omicidio né tantomeno che fosse stato il povero Buoninconti a commetterlo, ha optato per il processo mediatico. La procura di Asti ha fornito alla stampa stralci ad hoc degli atti per creare un mostro che non esiste. Solo i non esperti possono pensare che i giudici non si facciano influenzare dal processo mediatico, la storia insegna, il processo mediatico è stato la causa di un’infinità di errori giudiziari, non solo nel nostro paese.
– Dottoressa Franco che merito si riconosce?
Non certo il merito di aver capito un caso semplice come il caso Ceste ma quello di aver trovato la forza di scrivere cose tanto logiche da sembrare scontate.
– Che può dirci delle motivazioni delle sentenze?
Le motivazioni delle sentenze sono la riprova che è stato commesso un errore giudiziario. Nessuno, né la procura né i giudici, sono mai riusciti a ricostruire l’omicidio della Ceste in modo logico e in accordo con la casistica perché Elena non è stata uccisa. Le sembra logico che Buoninconti abbia premeditato l’omicidio e abbia poi gettato il cadavere a pochi metri da casa? Insomma, per i giudici Buoninconti premeditò l’omicidio ma non l’occultamento. E ancora, secondo questa ricostruzione, il pover’uomo, prima di gettare il cadavere della Ceste nel fosso, allertò tutti i vicini, a che scopo? Per farsi prendere con le mani nel sacco? Peraltro, nessuno ha mai saputo giustificare il fatto che i RIS abbiano escluso che un cadavere fosse stato trasportato sulle auto di Buoninconti.
– Dottoressa Franco, perché non ha mai querelato chi non appena lei è stata nominata consulente in questo caso mediatico l’ha diffamata fino ad oggi senza remore?
Chi mi diffama da anni si squalifica ogni volta che si esprime sul mio conto, peraltro mostrando di avere tanto tempo da perdere e di non reggere il confronto.
– Dottoressa Franco, ricostruisca per noi, per l’ennesima volta, le circostanze che condussero alla morte della povera Elena Ceste.
Il 24 gennaio 2014, Elena Ceste, poco dopo le otto del mattino, in preda ad una crisi psicotica, si denudò nel giardino di casa sua, lasciando una maglia e le ciabatte davanti al portone ed il resto dgli indumenti davanti al cancello, si allontanò nei campi e si nascose ai suoi immaginari persecutori, a circa 800 metri di distanza da casa sua, in un tunnel di cemento del Rio Mersa dove trovò la morte per assideramento. Sui resti della Ceste non vennero riscontrate lesioni riconducibili ad una morte violenta e l’autopsia psicologica permise allo psichiatra della procura di Asti di diagnosticarle un disturbo psicotico.
– Dottoressa Franco, perché la Ceste si denudò?
Il denudamento è una tra le anomalie del comportamento che possono manifestarsi nei soggetti psicotici (DSM- 5), il fatto che i carabinieri della stazione di Costigliole d’Asti e la procura di Asti ignorassero questo dato scientifico li condusse a ritenere che il ritrovamento dei resti della Ceste privi degli abiti fosse la prova dell’omicidio mentre non era altro che la conferma della crisi psicotica che aveva colpito la donna il giorno della sua scomparsa.
– Da cinque anni lei sostiene che alle 9.00 del 24 gennaio Buoninconti non poteva essere al Rio Mersa in quanto si trovava davanti a casa di Aldo Rava, il dirimpettaio di Marilena Ceste, e, pertanto, non avendo occultato il suo corpo, non può aver ucciso sua moglie.
Esatto, nell’immediatezza dei fatti la testimone Marilena Ceste riferì agli inquirenti di aver visto Buoninconti di fronte a casa Rava circa 5 minuti dopo le 8.55.04, quindi intorno alle 9.00 e non dieci minuti dopo, come sostenuto dal giudice Amerio, ciò permette di escludere che alle 9.00 Michele fosse al Rio Mersa ad occultare il cadavere della moglie. A conferma di ciò che le sto dicendo è agli atti (motivazioni della sentenza di secondo grado, pag. 6) una dichiarazione di Aldo Rava del 6 febbraio 2014, un’epoca in cui non erano ancora noti agli inquirenti i tabulati telefonici relativi al caso: “verso le 9.05 circa sentivo suonare il campanello di casa con insistenza e sentivo anche suonare il mio telefono di casa”, è chiaro che Rava riferì un orario approssimativo “verso le 9.05 circa” che però venne in seguito smentito dai tabulati che indicano che la telefonata alla quale si riferisce il teste giunse a casa sua alle 8.57.28, un dato scientifico che sposta di alcuni minuti indietro la presenza di Buoninconti di fronte a casa Rava ed è accreditato da ciò che riferì la teste Marilena Ceste, ovvero che Buoninconti si trovava davanti a casa sua intorno alle 9.00 e non alle 9.05. E’ evidente quindi che, se Buoninconti alle 9.00 si trovava davanti a casa Rava, non poteva essere dove l’ha collocato l’accusa attraverso la consulenza del geometra Dezzani, ovvero prossimo al luogo del ritrovamento dei resti della Ceste. Va da sé che se Michele non ha occultato il corpo di Elena, nessun omicidio è stato commesso.
– E’ vero che una crisi matrimoniale aveva preceduto la scomparsa della Ceste e che Michele, ben prima della notte del 23/24 gennaio 2014, era a conoscenza dei tradimenti di sua moglie?
La fantomatica crisi matrimoniale che avrebbe preceduto la scomparsa della Ceste è una fantasia della procura di Asti ed è infondato affermare che Michele fosse venuto a conoscenza dei tradimenti della moglie prima della notte del 23/24 gennaio 2014, tra l’altro, quella notte Michele non credette al racconto di Elena perché la Ceste non era in sé. Non ci sono testimonianze che possano convalidare queste due inverosimili ipotesi utilizzate dagli inquirenti per supportare la loro errata ricostruzione dei fatti e che solo chi non conosce gli atti d’indagine ritiene plausibili.
– L’abbiamo sentita spesso parlare di psicologia della testimonianza, a che sarebbe servita in questo caso?
Non ci vuole un esperto di psicologia della testimonianza per capire che le uniche dichiarazioni di cui la procura avrebbe dovuto servirsi sono quelle rilasciate nelle fasi iniziali delle indagini perché con il passare dei mesi il pensiero dei familiari, degli amici e dei testimoni è stato forgiato dal processo mediatico. Per la cronaca, ecco qualcuna delle dichiarazioni rilasciate dai teste all’indomani della scomparsa della Ceste:
Dai verbali di Daniela Ceste, sorella di Elena: “Mia sorella mi ha chiamato telefonicamente nella mattinata del 23 gennaio, fatto strano in quanto ci sentiamo solitamente in orario serale. Ricordo che le chiedevo come stesse e lei mi rispondeva che stava abbastanza bene ma aveva PROBLEMI ALLA TESTA“. La sorella si stupì per quella chiamata mattutina che le apparve una telefonata di commiato. Infatti Daniela disse a sua sorella che si sarebbero viste nel week end ed Elena le rispose: ‘eh si tantooo’ che Daniela interpretò come: ‘non ci sarò, chissà se ci sarò’.
Dai verbali di Daniela Ceste, sorella di Elena: “Credo comunque mia sorella possa aver compiuto un gesto anticonservativo”.
Dai verbali di Daniela Ceste, sorella di Elena: “(Elena) nel mese di novembre 2013 era caduta in uno stato di depressione…aveva esternato una sua preoccupazione o disagio circa un qualcosa che aveva fatto ma non specificava troppo… che quando lo aveva fatto NON ERA IN SE STESSA e aveva sbagliato. Era preoccupata perché diceva che tanto ormai sapevano tutti di cosa stava parlando e che anche i figli l’avrebbero vista come un mostro… non abbiamo avuto modo di verificare queste presunte cose dette”.
Dai verbali di Daniela Ceste, sorella di Elena: “Michele caratterialmente è una persona buona che si dedica alla famiglia… non ho mai avuto confidenze da mia sorella circa situazioni di violenza o discussioni degenerate in famiglia… (Michele) si preoccupa per il benessere della famiglia e non mi pare abbia mai trascurato i vari componenti. Anche con noi parenti non ha mai avuto discussioni”.
Dai verbali di Lucia Reggio, madre di Elena: “Mia figlia mi ha sempre riferito che era molto contenta di abitare qui a Costigliole d’Asti. Anche Michele, marito di mia figlia è sempre stato disponibile e presente (…) a casa sua non mancava nulla sia nei generi alimentari che nel vestiario ed altre utilità indispensabili. Mia figlia non mi ha mai narrato di alcuna anomalia, mai nessun screzio con Michele, assolutamente tutto andava bene, la vedevo e sentivo realizzata, contenta della sua vita, dei suoi figli e del suo matrimonio (…) non ho sentito alcuna lamentela né ho mai assistito a litigi (…) va tutto bene non ho mai avuto alcuna percezione negativa”.
Da una chat del 12 ottobre 2013 tra Giandomenico a Elena: “Ti mando io la buona giornata, sperando che lo possa essere, perché noto nella tua testa quella CONFUSIONE che ti fa vedere le cose in maniera un po’ anomala (…) Oltre a non aver capito cosa sono prima, continui a non capirlo adesso… sei convinta di qualche cosa… che ti sei creata da sola e che ti crei problemi… come mi sono accorto che qualcosa di STRANO nei tuoi pensieri c’era… fin dall’inizio, ma che ultimamente non ti faceva stare bene”.
Dai verbali della figlia Elisa: “Non l’ho sentita discutere con papà né quel mattino né altri giorni né la sera prima (…) non ho sentito loro bisticciare (…) né ho sentito loro discutere (…) non li ho mai sentiti discutere né di Facebook né di sms sul cellulare (…) la sera prima non ci sono state discussioni tra loro (…) escludo di litigi tra mamma e papà per messaggi di Facebook o di telefonino”.
Il figlio Giovanni ha riferito che la madre, la mattina della scomparsa, mentre lo vestiva, gli disse: “Se mamma scappa voi dovete crescere da soli” (pag 5, annotazioni d’indagine relative alla denuncia di scomparsa di Elena Ceste del 26 gennaio 2014).
E questa è solo una minima parte delle testimonianze che evidentemente sono parecchio “scomode” sia alla Procura di Asti che ai programmi tv.
– Ci chiarisca in merito ai depistaggi attribuiti a Buoninconti.
Buoninconti, nonostante la sera stessa della scomparsa della Ceste, avesse organizzato un gruppo di ricerca, proprio nella zona in cui furono ritrovati i resti di Elena, cui parteciparono il cognato Danilo Pacelli ed il collega Giancarlo Soave con il figlio, è stato accusato di averlo fatto solo per evitare che vi tornassero i soccorritori. Innanzitutto, se lui avesse ucciso Elena e ne avesse occultato il cadavere dove sono stati ritrovati i suoi resti, non avrebbe scelto di cercarla proprio in quella zona per evitare di correre degli inutili rischi; Michele avrebbe invece organizzato un gruppo di ricerca da un’altra parte, anche perché, pur dirigendo lui ogni operazione e fornendo le indicazioni sui percorsi da seguire, non avrebbe potuto impedire agli uomini che partecipavano a quella ricerca di trovare la scomparsa. Infine, le ricerche di quella sera non servirono ad evitare altre ricerche in quel luogo, pochi giorni dopo, il 29 gennaio, i soccorritori tornarono in quella zona ed arrivati al grosso cespuglio al margine del Rio Mersa fecero retromarcia e di certo non a causa di Buoninconti il quale non era con loro durante quelle ricerche
Michele Buoninconti durante una telefonata con una giornalista ha suggerito: “Non controllate quel laghetto ma cercate tra chi inviava messaggi a Elena…Che volevano da una mamma, una moglie, una casalinga?… alle persone bisogna chiedere, non ai luoghi”.
E’ chiaro che questa telefonata, se letta nel modo giusto, più che essere incriminante è a discolpa di Buoninconti, prima di tutto perché Michele invitò a non cercare Elena nel laghetto e, come noto, il cadavere della Ceste lì non era, solo nel caso i resti della donna fossero stati ritrovati nel lago il suo poteva essere considerato un tentativo di depistaggio. Inoltre, se Michele avesse ucciso sua moglie non avrebbe impedito le ricerche di Elena in aree dove lui sapeva che non avrebbero mai trovato i suoi resti, anzi sarebbe stato ben felice che gli inquirenti perdessero tempo a cercarla dove non era.
Buoninconti pensò inizialmente che sua moglie fosse scappata nuda, come in realtà era avvenuto ma dopo le infruttuose ricerche di Elena egli cominciò a sospettare di Damiano Silipo. Michele è un vigile esperto e, all’epoca, era convinto di aver fatto ricerche impeccabili intorno a casa sua pertanto pensò che il corpo di Elena non fosse nei dintorni ma che qualcuno l’avesse aiutata ad allontanarsi da casa.
Infine, Buoninconti è stato accusato di non aver condotto il cane di Elena alla ricerca della padrona scomparsa. Il figlio della vicina, M.C., sentito il 4 aprile 2015, ha riferito agli inquirenti: “Dopo pranzo le ricerche erano proseguite con Michele, il cane ed il figlio Giovanni”, è pertanto falso che lo spaniel Gandalf non abbia partecipato alle ricerche della sua padrona. Michele lo condusse con sé il giorno stesso della scomparsa della Ceste sperando che ritrovasse sua moglie, ma si rese conto che, non essendo addestrato, il cane non era in grado di seguire eventuali tracce e per questo motivo credette fosse una perdita di tempo consegnarlo all’amico Giancarlo Soave successivamente.
– A cosa ascrive il fatto che non sia stata mai riconosciuta l’evidenza che è agli atti?
L’Italia non solo è un paese cattolico ma manca della cultura della verità. Elena Ceste è stata “santificata” per tentare di farla apparire la vittima sacrificale di un orco responsabile dell’ennesimo femminicidio, niente di più lontano dalla realtà, sono agli atti le testimonianze della famiglia Ceste, testimonianze che provano che quell’orco non è mai esistito. Non solo è deplorevole il fatto che sia stata insabbiata la verità riguardo alle relazioni extraconiugali della Ceste ma il goffo tentativo di affrancare la Ceste dalla malattia psichiatrica, che già le era stata diagnosticata dal consulente dell’accusa, è un segnale di un’arretratezza culturale che fa venire i brividi. Lo stigmatizzare la malattia psichica non aiuta a combatterla, la malattia mentale è semplicemente una malattia come un’altra. Ma, soprattutto, il fatto che non si vogliano riconoscere queste due verità, che erano emerse per intero all’indomani della scomparsa della Ceste, ha condotto alla condanna di un innocente per un omicidio mai avvenuto e alla distruzione di una famiglia già colpita da una grave perdita.