Omicidio di Michele Cangialosi: analisi di alcuni degli stralci incriminanti estratti dall’intervista rilasciata da Celeste Saieva a Franca Leosini

Celeste Saieva

Sciacca. Nella notte tra il 20 e il 21 aprile 2009, Michele Cangialosi, 35 anni, venne ucciso da sua moglie Celeste Saieva, 23 anni, Nicola Piazza, 23 anni, Paolo Naro, 20 anni, e Giuseppe Bono, 15 anni.

Proprio il giovane Giuseppe Bono condfessò l’omicidio, fece arrestare i suoi complici e condusse gli inquirenti sul luogo dell’occultamento del cadavere del Cangialosi, un terreno di proprietà del padre del Piazza. Al momento del ritrovamento, il cadavere era avvolto in un lenzuolo, indossava i pantaloni del pigiama e il filo metallico usato per strangolarlo gli serrava ancora il collo.

Nel 2012, Nicola Piazza, Paolo Naro e Celeste Saieva sono stati condannati in via definitiva a 30 anni di reclusione. Giuseppe Bono, minorenne all’epoca dei fatti, è stato condannato a 9 anni e 4 mesi.

A sei anni dai fatti, dal carcere di Bollate, Celesta Saieva ha rilasciato un’intervista a Franca Leosini. Da quell’intervista sono tratti gli stralci analizzati.

Poiché Franca Leosini ha affermato che Celeste Saieva sostiene di essere innocente, l’analisi si baserà sul confronto tra ciò che ci si aspetta che un  innocente dica e ciò che la Saieva dice.

Ci aspettiamo che Celeste Saieva:

  1. mostri di possedere il cosiddetto “muro della verità”, che è una potente ed impenetrabile barriera psicologica che permette a coloro che dicono il vero di rispondere con poche parole alle domande relative al caso giudiziario in cui sono coinvolti, in quanto non hanno la necessità di convincere nessuno di niente;
  2. neghi in modo credibile di aver ucciso suo marito Michele ovvero dica “Non ho ucciso mio marito Michele, sto dicendo la verità”. 

Franca Leosini: (…) il 21 aprile del 2009 scompare suo marito, Michele Cangialosi, e con lei vorrei ricostruire anzitutto le ore che hanno preceduto la scomparsa di suo marito e faccio riferimento alla sera precedente, al 20 aprile sera, lei ha raccontato agli inquirenti che quella sera lei e Michele, come sempre, avevate litigato violentemente (…) e poi lei ricorda com’è proseguita la serata?

Celeste Saieva: E poi io non ho neanche dormito nel letto con lui, sono andata a dormire in cameretta con i miei figli.

Ci saremmo aspettati che la Saieva dicesse “E poi siamo andati a dormire” e invece ha anticipando una possibile domanda della giornalista mostrandoci di essere in stato dall’allerta e di avere in progetto di condurre la giornalista sulla sua strada.

Si noti che la Saieva prende le distanze dal marito, non dice “Michele” o “mio marito” ma “lui”. 

Franca Leosini: A che ora è andato a letto Michele?

Celeste Saieva: Non mm… saranno state le dieci, dieci e mezzo, perché era quello l’orario.

Si noti il riferimento alla routine.

Franca Leosini: L’indomani mattina quando lei si sveglia, Celeste, quando si alza, ecco, suo marito dov’è? E’ ancora a letto? E’ sveglio? E’ in piedi? Che ricordi ha?

E’ un errore porre domande multiple, quando ad un soggetto viene posta più di una domanda, lo stesso sceglie a quale rispondere.  

Ed è un errore anche porre una domanda relativa ad un fatto accaduto usando il verbo al presente perché induce l’intervistato a rispondere al presente. In Statement Analysis analizziamo i tempi verbali utilizzati da un soggetto invitato a rievocare un evento accaduto, eventuali dichiarazioni in cui il verbo venga coniugato al presente sono da considerarsi non credibili, chi falsifica infatti usa il verbo al presente perché parla di fatti che non ha vissuto. Se la giornalista avesse chiesto alla Saieva “Che cosa è successo al mattino?”, avremmo potuto analizzare i tempi dei verbi utilizzati dall’intervistata.

Celeste Saieva: E’ sveglio… è svegliooo co… come ogni mattina… faceva il suo… il suo caffè, io non amo fare il caffè quindi io non… e io gli dissi come… come dovevamo organizzarci perché avevamo soltanto una macchina che a me serviva… per portare i bambini a scuola e lui quel giorno aveva… un’udienza pre… presso il tribunaleee… il giudice di pace, per un’aggressione che aveva subito lui, sì, quindi doveva andar lì che eraa… poco distante da dove… da dove abitavamo, allora gli dissi “Dico, guarda già che lascio i bambini a scuola ti do… ti do un passaggio” (…).

Si noti che la Saieva risponde al presente “E’ sveglio… è sveglio…”.

Pause e ripetizioni servono alla Saieva per prendere tempo per pensare a cosa dire.

Dicendo “come ogni mattina… faceva il suo… il suo caffè”, la Saieva torna a fare riferimento alle abitudini del maritoFare riferimento alla routine è un escamotage usato da chi non dice il vero per non raccontare i fatti relativi al giorno sul quale viene sentito.

Celeste Saieva spera che sia la giornalista a concludere che anche quel giorno il Cangialosi si fosse fatto il caffè. Peraltro, quando la Saieva dice “io non amo fare il caffè quindi io non…” rivela di avere bisogno di convincere fornendo un perché (reason why), un classico di chi non pesca nella propria memoria esperenziale. Chi non racconta il vero infatti sente il bisogno di dare un senso alle proprie parole e lo fa cercando di convincere, giustificando e spiegando il perché.

Franca Leosini: Lei e Nicola sapevate che, per la scomparsa di suo marito, polizia e carabinieri stavano indagando precipuamente su di voi?

Celeste Saieva: Assolutamente no.

L’uso di “Assolutamente” rivela ancora un bisogno di convincere.

Franca Leosini: E’ per questo che continuavate a vedervi tranquillamente, a farvi vedere in giro? 

Celeste Saieva: (fa cenno di sì col capo) 

Franca Leosini: E’ per questo che continuavate a parlare, a straparlare sul cellulare?

Celeste Saieva: (fa cenno di sì col capo) Cioé, poi, vedi, è un controsenso perché se… come… come è stato detto, ipotizziamo, no?, che realmente io e Piazza abbiamo fatto una cosa del genere e poi ci… ci perdiamo in telefonate dove diciamo la qualunque… cioè… parliamo della qualunque.

E’ la Saieva ad aprire alla possibilità di aver ucciso il proprio marito quando dice “se… come… come è stato detto, ipotizziamo, no?, che realmente io e Piazza abbiamo fatto una cosa del genere”.

Celeste Saieva, per evitare di confrontarsi con lo stress che gli indurrebbe l’usare termini come “ucciso”, “ammazzato”, minimizza defininendo l’omicidio “una cosa del genere” e, per questo stesso motivo, evita di fare il nome della vittima. Un classico di chi ha commesso il reato.

Franca Leosini: Eh, difatti avete parlato, straparlato, il cellulare è stato uno dei grandi nemici.

Celeste Saieva: Sì, ma questo voglio dire, le intercettazioni stesse dimostrano che… cioè, non sapevamo niente.

“non sapevamo niente” è un’affermazione vaga, non è certo un modo credibile di negare di aver commesso un omicidio. 

Franca Leosini:  (…) Celeste, l’avete ucciso voi Michele Cangialosi?

Celeste Saieva: No… no… inoltre… eh… è praticamente da… da quando è successo tutto quanto che aspetto… la… il mio momento, e questo è il mio momento (…)

“No” sarebbe stata una buona risposta ma la Saieva l’ha indebolita con una tirata oratoria che purtroppo sembra essere stata tagliata da chi ha montato l’intervista.

Si noti che la Saieva, invece di dire “da quando Michele è stato ammazzato (ucciso)” dice “da quando è successo tutto quanto”.

Celeste Saieva: (…) l’incidente probatorio, è questo che ho sempre fisso nella mente, è questo che ogni mattina mi… quando mi sveglio mi… mi provoca rabbia perché questo ragazzino (Giuseppe Bono) ha detto testualmente ed è agli atti, cioè: “Mi è stato detto di dire che la Saieva lo ha narcotizzato”. Non ha mai detto: “La Saieva l’ha ucciso”. “Mi è stato detto di dire che la Saieva…”, già “Mi è stato detto di dire” non va bene.

La Saieva sta cercando di screditare il teste o vuole che si sappia che ha partecipato all’omicidio solo narcotizzando il Cangialosi?

I tabuli telefonici rivelarono agli inquirenti che erano intercorse alcune telefonate tra Nicola Piazza e Celeste Saieva tra le 20.00 e le 22.43 del 20 aprile, che alle 3.19 la Saieva aveva ricevuto una breve telefonata da una cabina telefonica e che i due si erano parlati dalle 6.58 alle 7.33 del 21 aprile.

Franca Leosini: (…) Cosa avevate da dirvi voi alle sei del mattino?

Celeste Saieva: Metterci d’accordo dove vederci, cosa fare, cosa non farecome era solito fare perché… le telefonate delle… dalle 7 del mattino in poi, ci sono sempre state (…).

Perché due soggetti estranei all’omicidio, poche ore dopo i fatti, avrebbero dovuto mettersi d’accordo su “cosa non fare”?

“come era solito fare perché… le telefonate delle… dalle 7 del mattino in poi, ci sono sempre state” è un altro riferimento alla routine. La Saieva mostra di avere bisogno di normalizzare quel giorno perché evidentemente un giorno normale non è stato.

Franca Leosini: (…) i giudici, consapevoli di quanto fosse geloso, anche burrascoso suo marito, hanno ritenuto strano che lei, Celeste, parlasse ripetutamente con Nicola Piazza e parlasse così a lungo nelle ore in cui suo marito era ancora a casa, perché avrebbe potuto sentirla, avrebbe potuto accorgersene, lei che risposta ha dato su questo?

Celeste Saieva: Io ho risposto che abitavo al piano terra, ci stava un attimo ad uscire e ad allontanarmi. Non è poi così… impossibile.

Si noti che la Saieva non dice di essere uscita ed essersi allontanata e quando dice “Non è poi così… impossibile” parla al presente perché evidentemente era invece impossibile.

Franca Leosini: (…) dopo il ritrovamento di Michele (…) ognuna di queste persone che va a testimoniare dice di aver saputo da subito dell’omicidio di suo marito ma di aver taciuto per la serie “io mi faccio i fatti miei, se la vedano gli inquirenti se c’arrivano”.

Celeste Saieva: Poi lì mi viene da dire, da aggiungere, qualora fosse vero, allora queste persone sono colpevoli tanto quanto me perché lo sapevano, è tutto lì, capisci quello che voglio dire?

Dicendo “qualora fosse vero” è sempre la Saieva ad aprire alla possibilità di aver commesso l’omicidio.

“allora queste persone sono colpevoli tanto quanto me perché lo sapevano” è un’ammissione tra le righe. 

Celeste Saieva: (…) sono stata penalizzata non una volta, due volte, una dall’uomo che amavo con cui ho messo al mondo due figli e la seconda dalle persone che hanno emesso una condanna di 30 anni (…) alla fine cosa mi resta, quindi chi è realmente la vittima e chi è il carnefice? (…) 

“quindi chi è realmente la vittima e chi è il carnefice?” è un’altra ammissione tra le righe.

Celeste Saieva: (…) io son lì da sola e vado avanti però ho bisogno di di sapere, di credere che in qualche modo ci sia un barlume di luce, di speranza, perché veramente è incredibile, cioè io trent’anni mi… mi vengono i brividi. Trent’anni a dei ragazzini. Ammesso e non concesso tutto quanto, volete un colpevole? Non il colpevole, attenzione. Prendi in considerazione tutto, tutto, non guardare la Saieva che è stata definita come la mantide religiosa che… capace di ammaliare gli uomini, io se devo definirmi con 3 parole: non sono una persona cattiva che porta odio e rancore, sono una persona fin troppo tranquilla, amo la vita nonostante sono in queste quattro mura, io la amo la vita, vivo di musica perché mi aiuta… a spaziare con la mente, cioè io non porto rancore, non ho odio, io vorrei solo capire qual’è la… la… la prova regina, cioè la prova provata che dica: la Saieva ha ucciso il marito, non mi basta il Bono che dice… ehm…  piuttosto che quello… quell’alt… non… non p… non mi basta, non è una giustif… cioè non mi può bastare. (…) E non… non mi… non può bastare, né a me né a Piazza non può bastare, cioè trent’anni signori son trent’anni… attenzione.

Si noti che la Saieva non dice “Trent’anni a chi non ha ucciso il Cangialosi” ma “Trent’anni a dei ragazzini”, in poche parole non si lamenta del fatto che sia stata riconosciuta la colpevolezza sua e dei suoi complici, si lamenta dell’entità della pena.

Dicendo“Ammesso e non concesso tutto quanto” è ancora la Saieva ad aprire alla possibilità di aver commesso l’omicidio.

Celeste Saieva, invece di cogliere l’occasione per negare in modo credibile di aver ucciso suo marito, si chiede pubblicamente quale sia la prova regina che ha indotto i giudici ad emettere una condanna a 30 anni. 

“la Saieva ha ucciso il marito” è lei a dirlo.

Celeste Saieva: Vedi, adesso, a distanza di 6 anni, iooo… sono convinta di una cosa, che se vengaa… che se il processo fosse stato fatto in modo diverso, magari, anzi, senza il magari, senza usare il rito abbreviato, fare il dibattimento, sarebbe andata diversamente e adesso so che tantissima gente vedrà questa intervista ma siamo io e te, occhi negli occhi e ti dico, che senso avrebbe me… mentire adesso che mi sono persa gli anni migliori della mia vita, che i miei figli sono grandi e mi chiamano per nome, che i miei genitori stanno invecchiando e io non m… me li posso godere, non me li sono potuti godere da ragazzina e neanche adesso. Che senso ha mentire e dirti: No, non sono stata io. Sarebbe più facile e più giusto e più sensato prendersi le proprie colpe e dire “Sì sono stata io, mia culpa (leggi “mea culpa”), mi dispiace, ho sbagliato”, ma non è così e credimi, me ne sbatto di chi crede e di chi non ci crede ma non ho mai neanche minimamente pensato di fargli del male, mai, guai anzi se qualcuno osava toccarlo, guai chi me lo toccava perché lui era mio marito, era il padre dei miei figli, sì, mi ha fatto del male ma n… ripeto non… non… non avrebbe più senso dire… dire ‘na bugia, ‘na fesseria, perché? La verità è una: Non sono stata io.

E’ stata brava la Leosini a non interrompere la Saieva, dalle tirate oratorie si possono estrapolare informazioni importanti ma soprattutto, a chi si esibisce in lunghe tirate oratorie spesso sfuggono delle ammissioni, come è accaduto in questo caso. 

“che senso avrebbe me… mentire adesso (…) che senso ha mentire e dirti: “No, non sono stata io”, sarebbe più facile e più giusto e più sensato prendersi le proprie colpe e dire “Sì sono stata io, mia culpa (leggi “mea culpa”), mi dispiace, ho sbagliato” è uno stralcio incriminante. In poche parole la Saieva dice alla Leosini che se negasse di aver commesso l’omicidio mentirebbe e che “sarebbe più facile e più giusto e più sensato prendersi le proprie colpe e dire “Sì sono stata io, mia culpa (leggi “mea culpa”), mi dispiace, ho sbagliato”. La Saieva, dopo essersi incartata, aggiunge un debole “ma non è così”.

“non ho mai neanche minimamente pensato di fargli del male, mai” non è una negazione credibile. Con l’uso dell’avverbio “mai” la Saieva non fa riferimento al momento preciso dell’omicidio ma ad un lasso di tempo indeterminato e poi, per non mentire, sostituisce “ucciso” con “fargli del male”.

In finale, la Saieva dice: “La verità è una: Non sono stata io”. “Non sono stata io” a far cosa? “Non sono stata io” non è una negazione credibile, peraltro poco prima di pronunciare queste parole la Saieva ha detto: “Che senso ha mentire e dirti: No, non sono stata io”.

CONCLUSIONI

Celeste Saieva

  1. ha dissimulato;
  2. ha falsificato; 
  3. non ha mai negato in modo credibile di aver ucciso suo marito Michele Cangialosi;
  4. ha anzi aperto più volte alla possibilità di averlo ucciso;
  5. ha preso le distanze dalla vittima non facendo mai il suo nome;
  6. ha dimostrato di non possedere il cosiddetto “muro della verità”;
  7. ha fatto una serie di ammissioni incriminanti.

Celeste Saieva non è vittima di un errore giudiziario. 

Durante l’intervista, la Saieva ha mostrato di essere una manipolatrice, l’omicidio del marito è stato premeditato e non una reazione alle violenze che dice di aver subito e che probabilmente subiva. Celeste avrebbe avuto un’altra via d’uscita che purtroppo però non ha preso in considerazione.

Questo articolo è stato pubblicato su Le Cronache Lucane.