STATEMENT ANALYSIS, ROBERTA SACCHI INTERVISTA URSULA FRANCO

PAROLA AL COLPEVOLE, LinkedIn, 28 maggio 2020

STATEMENT ANALYSIS, ROBERTA SACCHI* INTERVISTA URSULA FRANCO, Le Cronache Lucane, 28 maggio 2020

*Roberta Sacchi è Psicologa giuridica – Criminologa – Consulente Tecnico di Parte in procedimenti civili e penali

la dottoressa Roberta Sacchi

Sapevate che le parole di un sospettato, di un indagato e di un testimone sono una fonte inesauribile di informazioni per ricostruire un caso giudiziario? Forse sì. E non si tratta di intuito. Esiste una tecnica che può aiutare inquirenti, magistrati e avvocati a non incappare nell’errore giudiziario. Questa tecnica si chiama Statement Analysis.

Ne ho parlato con l’amica e collega dr.ssa Ursula Franco, medico e criminologo. Ursula è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis. La dottoressa Franco si occupa soprattutto di morti accidentali, incidenti scambiati per omicidi e di errori giudiziari.

Che cos’è la Statement Analysis?

La Statement Analysis è una tecnica di analisi del linguaggio che permette di ricostruire i fatti relativi ad un caso giudiziario attraverso lo studio di ogni parola presente nelle dichiarazioni di sospettati, indagati e testimoni. E’ una scienza complessa che si basa sul principio che le dichiarazioni veritiere differiscono da quelle false in alcune parti del linguaggio. Ad esempio: è logico aspettarsi che un soggetto racconti fatti accaduti nel passato usando il verbo al passato, pertanto quando, dopo aver parlato al passato, parla al presente, è alquanto probabile che non stia pescando nella memoria.

Quanto è sottovalutata l’analisi delle dichiarazioni?

Purtroppo molti tra gli addetti ai lavori ritengono che sia una perdita di tempo interrogare coloro che non intendono dire la verità invece l’analisi delle dichiarazioni di un soggetto che non dice il vero è comunque utile per ricostruire i fatti. 

Un luogo comune da sfatare?

In molti ritengono che la gente che non dice il vero falsifichi; in realtà, il 90% dei soggetti che non raccontano la verità dissimulano, ovvero non raccontano menzogne ma semplicemente nascondono volontariamente alcune informazioni senza dire nulla di falso. Non solo tacciono l’informazione vera ma presentano un’informazione falsa come fosse vera. Solo il 10% di coloro che non dicono il vero falsificano. Falsificare è infatti molto impegnativo in quanto costringe a ripetere all’infinito la prima bugia e a far ricorso a superfetazioni sempre più articolate per tenerla in piedi. Inoltre, la dissimulazione è considerata meno riprovevole della falsificazione perché, essendo un comportamento passivo, fa sentire meno in colpa. Peraltro, chi dissimula può giustificarsi più facilmente di chi falsifica, ad esempio sostenendo di non aver detto tutto a causa di una dimenticanza.

Come possiamo capire che le informazioni mancano?

Da alcuni indicatori che rileviamo nelle dichiarazioni quali auto censure, lacune temporali, frasi che iniziano con “E”.

Simone Santoleri

Che cos’è il “Leakage”?

E’ un fenomeno che si manifesta in tutti noi, ma che è particolarmente interessante quando si interroga l’autore di un omicidio. Il “Leakage” consiste nel rilascio involontario di informazioni che stazionano nella mente del soggetto interrogato e che sono rilevanti per la ricostruzione dei fatti sui quali si esprime, dalla dinamica omicidiaria all’occultamento. Faccio un esempio. Due settimane prima del ritrovamento del corpo di Renata Rapposelli, il figlio Simone Santoleri, durante un’intervista rilasciata alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, disse:

“Ero qui… stavo qui chiamano… chiama il numero di telefono, è un numero strano 0773 che è il prefisso di… 071 è Ancona quindi 07 è le Marche, qua intorno è sempre le Marche: e che cazzo di numero è? Pronto? Pronto! Buongiorno, sono il maresciallo della caserma di Cingoli, mi viene Chienti, non so perchè, ma invece è Cingoli […]”.

Incredibilmente Simone Santoleri citò il Chienti, il fiume dove dopo due settimane venne ritrovato il corpo della madre Renata. Questo naturalmente è un caso eclatante, in altri casi in Leakage è più sfumato ma con un’attenta analisi possiamo cogliere molte informazioni.

Che importanza ha l’analisi di una telefonata di soccorso?

Una telefonata di soccorso è equiparabile ad un interrogatorio, anzi è da considerarsi il primo interrogatorio. C’è di più, l’analisi della telefonata di soccorso spesso permette di individuare la strategia d’indagine perché le parole di chi chiama ci rivelano se il soggetto è coinvolto o meno.

Alberto Stasi

Può farci un esempio di telefonata di soccorso incriminante?

La telefonata di Alberto Stasi che ha ucciso la fidanzata Chiara Poggi.

Durante tutta la telefonata l’operatore è a pesca di informazioni che inaspettatamente Stasi non gli rivela spontaneamente.

Il tono della voce non è in accordo con i fatti descritti. Mancano l’enfasi e la modulazione del tono della voce, mancano i picchi sulle parole chiave e non traspare alcun coinvolgimento emotivo.

Stasi richiede un’ambulanza fornendo un indirizzo mancante del numero civico, numero del quale Alberto avrebbe potuto rapidamente accertarsi; non solo, Alberto Stasi non informa il telefonista del 118 che il corpo di Chiara si trova sulle scale che conducono nella cantina della villetta. Tra l’altro Stasi è a conoscenza che il cancello di casa Poggi è chiuso e che, inevitabilmente, tale circostanza rallenterà i soccorsi, ma non si preoccupa di tornare indietro per aprirlo e per riferire il numero civico; un comportamento che ci indica che Stasi non ha urgenza che Chiara venga soccorsa.

Stasi, secondo quanto riferito all’operatore, comunica la probabile morte di Chiara senza avere le competenze mediche per farlo. Comunicare la morte di un soggetto per il quale si stanno chiamando i soccorsi, non è certamente un invito rivolto ai soccorritori a recarsi rapidamente sulla scena. La reazione di un innocente che scopre la vittima di un omicidio o di un incidente è generalmente opposta, soprattutto i familiari negano nell’immediatezza la morte di un loro caro per l’incapacità di metabolizzare un’informazione così sconvolgente, anzi chiedono ai soccorritori di praticare sul corpo del defunto ogni misura medica possibile per resuscitarlo, anche quando questi appare “irrimediabilmente” morto.

Alberto non fa alcun riferimento alla vittima, solo in seguito alle domande dell’operatore del 118, ne parla come di una estranea, affermando: “credo che abbiano ucciso una persona” e “lei è sdraiata per terra”; infine, e solo in risposta ad una domanda dell’operatore, la definisce “la mia fidanzata”.  Stasi, non introducendo, come avrebbe dovuto, la vittima, ovvero con nome, cognome e tipo di relazione che aveva con lei, ci informa della qualità del loro rapporto. Non fare il suo nome gli permette, inoltre, di depersonalizzarla in modo da ridurre lo stress che gli provoca il dover parlare di lei.

Che significa “contaminare” un’intervista o un interrogatorio?

Significa introdurre, attraverso le domande, termini diversi da quelli usati dall’interrogato, termini che entreranno nel suo linguaggio e lo aiuteranno a mentire. Un interrogatorio contaminato non è analizzabile, va escluso dagli atti.

Quali sono le negazioni credibili?

Gli esseri umani parlano per essere compresi ed in economia di parole. Chi dissimula si affida all’interpretazione delle proprie parole da parte di interlocutori inesperti e lo fa fornendo risposte che si avvicinano soltanto a negazioni credibili. Le negazioni credibili hanno una struttura precisa. Da un soggetto “innocente de facto”, accusato di aver commesso un omicidio, ci aspettiamo come priorità una negazione credibile in risposta ad una domanda aperta, “Io non ho ucciso tizio”, e ci aspettiamo che il soggetto accompagni alla negazione le seguenti parole “sto dicendo la verità”. Esiste una regola in Statement Analysis, “No man can lie twice”: se un soggetto nega in modo credibile di aver commesso un omicidio, ovvero dice “Io non ho ucciso tizio”, ma nella realtà l’ha uccisa, non sarà in grado di riferirsi alla sua menzogna dicendo “sto dicendo la verità” ma dirà invece frasi come “io non dico bugie” o “io non mento”.

Che cos’è il “muro della verità”?

Gli innocenti “de facto” possiedono la protezione del cosiddetto “muro della verità” (wall of truth), ovvero un’impenetrabile barriera psicologica che gli permette di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto non hanno necessità di convincere nessuno di niente. Al contrario, i colpevoli si perdono in lunghe tirate oratorie e sermoni finalizzati alla persuasione dei propri interlocutori.

Perché “Sono innocente” non è considerata una negazione credibile?

Perché dirsi innocenti non equivale a negare l’azione omicidiaria. L’unica negazione credibile che inglobi la parola “innocente” è la seguente: “Io non ho ucciso tizio. Sto dicendo la verità. Sono innocente”. Solo un soggetto innocente “de facto” è capace di dire “Io non ho ucciso tizio. Sto dicendo la verità”. Un innocente “de iure” ma non “de facto” è capace di dire solo “Sono innocente”.

Può farci alcuni esempi concreti di Statement Analysis?

Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi:

“Io non ho fatto niente a Chiara, non ho fatto assolutamente nulla” e “Non ho… non ho fatto nulla alla Chiara, non ho fatto nulla alla Chiara” e “Non sono stato io”.

“Io non ho fatto niente a Chiara”, “non ho fatto assolutamente nulla” e “Non sono stato io” non sono negazioni credibili. Peraltro, quando Stasi ha detto “non ho fatto assolutamente nulla”, attraverso l’uso dell’avverbio “assolutamente”, ha mostrato di avere bisogno di convincere, un bisogno che gli innocenti non hanno.

Francesco Furchì, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Alberto Musy:

“Non solo vi dico che sono innocente ma credo che, voi, se sarete giusti… se sarete giusti, dimostrerete che una Corte non possa condannare una persona che non ha assolutamente fatto niente, perché potrei avere tutti i difetti di questo mondo, ma non ho assolutamente sparato a Musy, io non ho mai sparato contro nessuno, non ho mai preso una pistola in mano e credo che arrivare a 51 anni e fare un atto del genere piuttosto mi sarei s… ucciso direttamente io in… in carcere”

Furchì, invece di dire “Io non ho sparato a Musy, sto dicendo la verità, sono innocente”, si una tirata oratoria di 85 parole durante la quale ha provato a negare e ad ingraziarsi la Corte.

Dirsi innocente non equivale a negare l’azione omicidiaria. Peraltro, all’epoca di queste dichiarazioni, Furchì era ancora innocente “de iure”. Se fosse stato innocente “de facto” avrebbe negato in modo credibile di aver ucciso Musy.

“Una persona che non ha assolutamente fatto niente” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica.

“Non ho assolutamente sparato a Musy” non è una negazione credibile per la presenza dell’avverbio “assolutamente”. Peraltro proprio l’uso di “assolutamente” rivela un bisogno di convincere.

“io non ho mai sparato contro nessuno” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica e lascia aperta la porta alla possibilità che Furchì non abbia sparato contro nessuno finché non l’ha fatto.

“Non ho mai preso una pistola in mano” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica e lascia aperta la porta alla possibilità che Furchì non abbia preso una pistola in mano finché non l’ha fatto.

Alessandro Cozzi, condannato a 24 anni per l’omicidio di Alfredo Cappelletti: “va da sé che io non sono stato”.

“va da sé che io non sono stato” non solo non è una negazione credibile ma è anche un tentativo di ridicolizzare le accuse. Alessandro Cozzi è imputato in un processo per omicidio, non c’è nulla di scontato, nulla che vada “da sé”. Un innocente “de facto” avrebbe colto l’occasione per negare in modo credibile di aver commesso l’omicidio del quale è accusato.

Ringrazio Ursula per il suo prezioso lavoro, per la stima e l’amicizia che ci lega e per avermi concesso questa intervista.

Omicidio di Alberto Musy: analisi delle dichiarazioni di Francesco Furchì

Alberto Musy, la vittima

Il 21 marzo 2012, un uomo, che indossava un casco da moto per fingersi un pony express, è entrato nel cortile di un palazzo di via Barbaroux a Torino e ha ferito a colpi di pistola l’avvocato Alberto Musy, docente universitario e consigliere comunale di 45 anni. Quattro dei cinque colpi esplosi dall’attentatore hanno attinto Alberto Musy alla testa e alla schiena. Musy ha poi perso conoscenza ed è morto il 23 ottobre 2013, 19 mesi dopo il ferimento.

Frame da un filmato di una videocamera di sorveglianza che ha ripreso l’attentatore

Il 30 gennaio 2013, Francesco Furchì, un conoscente della vittima, è stato arrestato e accusato di essere l’autore del tentato omicidio. 

Francesco Furchì, l’omicida

Nel maggio 2013 è iniziato il processo a suo carico. Il 23 ottobre 2013, giorno in cui era prevista la deposizione di Furchì, Musy è morto e il dibattimento è stato sospeso. Francesco Furchì è stato condannato in via definitiva al carcere a vita.

Analisi delle dichiarazioni rilasciate dall’imputato Francesco Furchì durante il processo di primo grado per l’omicidio di Alberto Musy

In Statement Analysis partiamo dal presupposto che chi parla sia “innocente de facto” e che parli per essere compreso. Pertanto” ci aspettiamo che un “innocente de facto” neghi in modo credibile e che lo faccia spontaneamente. Ci aspettiamo anche che nel suo linguaggio non siano presenti indicatori caratteristici delle dichiarazioni di coloro che non dicono il vero. 

Un “innocente de facto” non ci sorprenderà, negherà in modo credibile già dalle prime battute.

Un “innocente de facto” mostrerà di possedere la protezione del cosiddetto “muro della verità” (wall of truth), un’impenetrabile barriera psicologica che permette ai soggetti che dicono il vero di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno di niente.

Da Francesco Furlì ci aspettiamo che neghi in modo credibile di aver sparato ad Alberto Musy e che possegga il cosiddetto “muro della verità”. 

Una negazione credibile è composta da tre componenti:

  1. il pronome personale “io”;
  2. l’avverbio di negazione “non” e il verbo al passato “ho”, “non ho”;
  3. l’accusa “ucciso tizio”.

Una negazione è credibile non solo quando è composta da queste tre componenti ma anche quando è spontanea, ovvero non è pronunciata ripetendo a pappagallo le parole dell’interlocutore.

La frase “io non ho sparato ad Alberto Musy”, seguita dalla frase “ho detto la verità” o “sto dicendo la verità” riferita a “io non ho sparato ad Alberto Musy”, è una negazione credibile. Anche “io non ho sparato ad Alberto Musy, sto dicendo la verità, sono innocente” è da considerarsi una negazione credibile. 

Alla notizia della morte di Musy, Furchì ha dichiarato ai giornalisti: “Più che dirvi che sono dispiaciuto non posso dire altro”

Furchì ha detto “non posso dire altro” per non mentire. 

“sono dispiaciuto” equivale a dire “mi dispiace”. In Statement Analysis, a prescindere dal contesto in cui vengono pronunciate, notiamo sempre le parole “mi dispiace” perché è estremamente frequente che vengano emesse da chi ha commesso il reato di cui parla. Le parole “mi dispiace” sono da considerarsi una sorta di “Leakage”. 

Francesco Furchì: Allora presidente, io sono daa… circa, anzi senza circa, 22 mesi che sono… in carcere perr… con un’accusa gravissima, prima di tentato omicidio e poi di omicidio. Sono una persona incensurata e mi trovo… in una condizione di essere… un killer che ha voluto attentare alla vita di Musy. Io posso guardare tutti negli occhi, ma tutti veramente, e per prima la moglie di Musy con tutto il rispetto per una signora e di quello che gli è successo e tutti quanti, perché io non ho assolutamente fatto… un gesto del genere, perché non è in me una cosa del genere, potrei avere 1000 difetti, come tutte quante le persone di questo mondo, anzi magari io forse ne ho di più degli altri, però… a 50 anni, eh 50 anni compiuti in carcere l’anno scorso, non… non… m… non… non posso neanche… non potrei neanche pensare come si fa… a… ad attentare alla vita di una persona. Mi sono ritrovato… su tutti i giornali come il mostro, il killer, la persona senza… addirittura, detta dal pubblico ministero, di una capacità estremamente fredda e una persona quasi di ghiaccio e con tutto quello che hanno ricamato i giornali… Io profondamente eee… ho fiducia nella giustizia, come ho sempre avuto, eee… anche se anche la giustizia alle volte magari possa anche sbagliare, come sbagliano tutti, perché è interpretata dagli uomini. 

Francesco Furchì, invece di dire “Signor Presidente, io non ho sparato ad Alberto Musy, sto dicendo la verità, sono innocente”, si è esibito in un sermone di 224 parole durante il quale:

– Ha cercato di dipingersi come un “Good Guy” per ingraziarsi gli interlocutori: “Sono una persona incensurata”.

– Si è rivelato un manipolatore: “Io posso guardare tutti negli occhi, ma tutti veramente, e per prima la moglie di Musy con tutto il rispetto per una signora e di quello che gli è successo e tutti quanti […] perché non è in me una cosa del genere”.

– Ha ammesso di essere l’attentatore: “mi trovo… in una condizione di essere… un killer che ha voluto attentare alla vita di Musy”.

– Ha tentato di negare per indurre chi ascoltava a inferire ciò che è incapace di affermare. “io non ho assolutamente fatto… un gesto del genere”, “non posso neanche… non potrei neanche pensare come si fa… a… ad attentare alla vita di una persona” non sono negazioni credibili.

– Ha giocato la carta della vittima per ingraziarsi gli interlocutori: “50 anni compiuti in carcere l’anno scorso”, “Mi sono ritrovato… su tutti i giornali come il mostro, il killer, la persona senza… addirittura, detta dal pubblico ministero, di una capacità estremamente fredda e una persona quasi di ghiaccio e con tutto quello che hanno ricamato i giornali…”.

Francesco Furchì: Allora molti hanno scritto che MMM…. Musy… i… io avrei usato Musy per… per miei scopi personali e per entrare in lista per poter eh fare chissà quali cose, non me ne fregava nulla, non me ne fregava nulla. Io non ho mai, tra l’altro, cosa molto importante per cui mi si viene accusata dal pubblico ministero, avuto la ripicca nei confronti di Musy per chiedere posti. E’ demenziale una cosa del genere, perché altrimenti tutti quelli che non vengono eletti che sono praticamente su circa 1000 candidati ne vengono tolti 950, anche di più, eh allora che cosa dovrebbero fare? E ad ogni elezione cosa succederebbe? Una carneficina ogni volta.

Un altro sermone di 109 parole. Si noti che Furchì non dice “Io non ho usato Musy per miei scopi personali”.

Ed infine, invece di negare di aver sparato a Musy, prova a ridicolizzare le accuse.

Francesco Furchì: Guardi io non ho rancore con nessuno. Io sono una persona che se devo mandare a stendere qualcuno, lo guardo negli occhi, lo mando a stendere e poi dopo ci vado anche a prendere il caffè, che non ho person… non ho problema, perché le persone, se tu hai coraggio di dirgli le cose in faccia, dietro puoi dirgli tutto quello che vuoi, ma prima devi avere il coraggio di dire le cose in faccia. Per me la politica non è per forza che ti devi sedere su una sedia e poi metterci la colla, il vynavil… e poi dopo non toglierti più di lì. Puoi fare tranquillamente politica in modo tranquillamente chiaro, perfetto, occupandoti di alcune cose, ma senza quale fine e di chissà quali cose.

Ancora un sermone di 127 parole durante il quale Furchì si è incartato e ha ammesso di essere capace di “mandare a stendere qualcuno”. 

Francesco Furchì: Credo che per fare il percorso dell’attentatore, vedendo come sono andati i filmati, dove… l’accusa… mi accusa dicendo, da via Garibaldi che poi verificherete voi, valuterete, o lo fa l’uomo ragno, di andando, passando attraverso i tetti per trovarsi… in un lasso così di tempo, dall’altra parte, oppure minimo minimo deve essere il mago Copperfield per andare a “Striscia la Notizia” perché non si può in quel tempo fare una cosa del genere.

Se Furchì non fosse l’attentatore non avrebbe avuto ragione di contestare la ricostruzione della procura ed invece lo ha fatto tentando perfino di ridicolizzarla. 

Francesco Furchì: Non sono quell’attentatore per un semplice motivo… io cammino… in modo diverso per un semplice motivo, non lo so, magari qualcuno qui avrà sofferto come me, io ho avuto due operazioni di una apicetomia radicale che praticamente è l’unghia dell… dell’alluce alla destra è totalmente tolta e da… dalla sinistra mi è rimasto questo problema… dii appoggio, perché mi ricordo che quando mi tolsero l’unghia, me la tolsero praticamente quasi senza anestesia, che è stata una cosa atroce, e quindi cammino con questo piede girato a sinistra, per cui per certe cose me ne vergognavo pure perché sembro una papera ma… ho sempre camminato così, cammino in qualsiasi modo, voi potete farmi camminare qui, anche in piedi in qualsiasi posto, cammino sempre così e l’attentatore cammina, come aver potuto vedere, in modo… diverso dal mio. Io tutte le volte che guardo quel… quel… quel video e tra l’altro mi chiedo come mai chi… fa… vedere il video in televisione non mette mai neanche una volta la mia camminata, quantomeno per dovere di correttezza.

Un’altra tirata oratoria, peraltro particolarmente controproducente.

Francesco Furchì: Credo che… il pubblico ministero… mi voglia cucire addosso un abito, l’abito anzi dell’attentatore, del killer come lo… l’hanno chiamato alcuni giornali e me lo voglia cucire addosso però senza ago e senza filo, perché quell’abito a me non sta, non starà mai, perché non sono io quella persona, non mi stancherò mai di dirlo e non potete condannare una persona che non lo è. Il vero attentatore è ancora in giro, ha attentato alla vo… alla vita di Musy e non sono io.

“Credo” indebolisce le dichiarazioni che seguono. Furchì è incapace di dire “io non ho sparato a Musy, sto dicendo la verità”.

Si noti che, secondo Furchì, esistono un “attentatore” e un “vero attentatore”.

Francesco Furchì: Sfido chiunque a mettersi nei miei panni essendo dentro accusato di omicidio quando vedo in carcere persone che veramente hanno… ucciso due, tre persone, li vedo quando sono lì, non lo so, cioè, li vedi spenti. Io non ho da vergognarmi di niente, perché non ho fatto niente e non mi sarei mai e poi mai permesso di fare una cosa del genere. Quindi invito la polizia ad andare a cercare il vero colpevole. In questo modo protrete portare il rispetto alla persona che è stata uccisa e forse il rispetto alla legge, se è vera che quella frase: “La legge è uguale per tutti”, perché la cost… la nostra costituzione i padri costituenti l’hanno… l’hanno basata sull’eguaglianza e sul diritto. Un magistrato e un giudice si esprime sul diritto, non su quello che scrivono i giornali oo… su quello che possono essere le apparenze.

Si noti che Francesco Furchì non fa riferimento a chi, come lui, è in carcere per aver ucciso una persona sola, ma parla di “persone che veramente hanno… ucciso due, tre persone”.

“Io non ho da vergognarmi di niente”, “non ho fatto niente e non mi sarei mai e poi mai permesso di fare una cosa del genere” non sono negazioni credibili.

Si noti che, sempre secondo Furchì, esistono un “colpevole” e un “vero colpevole”.

Francesco Furchì: Non solo vi dico che sono innocente ma credo che, voi, se sarete giusti… se sarete giusti, dimostrerete che una Corte non possa condannare una persona che non ha assolutamente fatto niente, perché potrei avere tutti i difetti di questo mondo, ma non ho assolutamente sparato a Musy, io non ho mai sparato contro nessuno, non ho mai preso una pistola in mano e credo che arrivare a 51 anni e fare un atto del genere piuttosto mi sarei s… ucciso direttamente io in… in carcere.

Furchì, invece di dire “Io non ho sparato a Musy, sto dicendo la verità, sono innocente”, si esibisce nell’ennesima tirata oratoria di 85 parole durante la quale prova a negare e ad ingraziarsi la Corte.

Dirsi innocente non equivale a negare l’azione omicidiaria. Peraltro, all’epoca di queste dichiarazioni, Furchì era ancora innocente “de iure”. Se fosse stato innocente “de facto” avrebbe negato in modo credibile di aver ucciso Musy. 

“una persona che non ha assolutamente fatto niente” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica.

Furchì ha detto “perché potrei avere tutti i difetti di questo mondo” per ingraziarsi la Corte, cosa che ha fatto anche quando si è dipinto come un uomo capace di provare senso di colpa e rimorso, quindi come un “Good Guy”: “fare un atto del genere piuttosto mi sarei s… ucciso direttamente io in… in carcere”.

“non ho assolutamente sparato a Musy” non è una negazione credibile per la presenza dell’avverbio “assolutamente”. Peraltro proprio l’uso di “assolutamente” rivela un bisogno di convincere.

“io non ho mai sparato contro nessuno” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica.

“non ho mai preso una pistola in mano” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica.

CONCLUSIONI

Deception Indicated

Furchì non solo non ha mai negato in modo credibile di aver sparato a Musy ma ha da subito ammesso di essere “un killer che ha voluto attentare alla vita di Musy”. Facendo ricorso a sermoni e tirate oratorie ha poi mostrato di non possedere il cosiddetto “muro della verità”. Il “sermone” è una lezione morale non necessaria rivelatrice di una proiezione della colpa e di disprezzo nei confronti degli interlocutori. E’ vero che Furchì non ha “mai sparato contro nessuno” finché non ha sparato contro Alberto Musy ed è anche vero che Furchì non ha mai “preso una pistola in mano” finché non l’ha fatto.