Obiettivo Investigazione: La ricostruzione dell’omicidio di Roberta Ragusa

 

“La ricostruzione dell’omicidio di Roberta Ragusa

Obiettivo Investigazione, 30 gennaio 2023

di Ursula Franco

Roberta Ragusa è scomparsa dalla sua casa di Gello di San Giuliano Terme, Pisa nella notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012. In quei giorni l’Italia era stata colpita da un’ondata di freddo.

Il 10 luglio 2019 il marito di Roberta Ragusa, Antonio Logli, è stato condannato in via definitiva a 20 anni di carcere per omicidio volontario e distruzione di cadavere. La Corte di Appello di Genova ha recentemente giudicato inammissibile l’istanza di revisione del processo presentata il 5 dicembre 2022 dalla sua difesa.

In questo lavoro, andremo a ricostruire i drammatici fatti della notte tra il 12 e il 13 gennaio a cominciare dal dopocena.

Le telefonate a Sara Calzolaio

Il Logli fece tre telefonate all’amante Sara Calzolaio:

a) una prima telefonata di 42 minuti che iniziò alle 23.08 e terminò alle 23.50;

b) una seconda telefonata di 20 minuti che iniziò alle 23.56 e terminò alle 00.16;

c) una terza telefonata di 17 secondi che iniziò alle 00.17.

Il Logli fece la prima telefonata all’amante mentre si trovava in soffitta. È stata la stessa Sara Calzolaio a riferire agli inquirenti di aver sentito le voci dei bambini durante quella prima telefonata e che il Logli le aveva confidato di essere in soffitta.

Al termine di questa telefonata, Antonio Logli prelevò sua figlia dal letto matrimoniale e la mise nel lettino della sua cameretta, dopodiché si recò nell’adiacente autoscuola di sua proprietà dall’interno, ovvero attraversando una sorta di magazzino che mette in comunicazione la sua abitazione con il piazzale dell’autoscuola. Mentre si trovava all’interno dell’autoscuola, il Logli fece le altre due telefonate a Sara, ovvero la chiamò alle 23.56 e, infine, alle 00.17 per un ultimo saluto affettuoso.

Una ricostruzione confermata dal Logli in un’intervista: “Abbiamo cenato eeee i bambini sono andati a lettooo un po’ più tardi del solito, verso le undici, ioooo ho fatto… mmm… delle cose che avevo da fare qui, ho messo a posto della roba in soffitta, sono andato all’autoscuola”.

Quando il Logli scese dalla soffitta e prelevò sua figlia dal letto matrimoniale, Roberta Ragusa si trovava nel letto al fianco della bambina, lo prova il fatto che il mattino seguente il suo telefonino venne ritrovato sul comodino.

In una delle sue prime interviste a ”Chi l’ha visto?” Antonio Logli riferì alla giornalista che, come le altre sere, Roberta era andata a letto prima di lui, per poi autocensurarsi e correggere il tiro, peraltro lasciando intendere di essere a conoscenza dell’orario e del fatto che Roberta andò a letto quella sera, cosa da lui sempre negata: “e poi la sera siamo andati in casa, abbiamo mangiato e come le altre sere… no, veramente, no, come le altre sere, sono andato a letto un pochino prima io di lei.”

La scoperta del tradimento

Dunque, dopo le 23.50 e dopo aver messo sua figlia a letto, Antonio Logli andò in autoscuola per poter parlare con Sara liberamente.

Roberta, che era a letto con sua figlia, si svegliò nel momento in cui Antonio prelevò la piccola per condurla in camera sua e, non vedendo tornare il marito, si alzò, si mise una giacca e le scarpe da tennis che usava in palestra, che non furono mai ritrovate e, lo seguì di nascosto. Fu proprio nei locali dell’autoscuola che Roberta sentì suo marito Antonio chiudere l’ultima telefonata con Sara con un “Ti amo, buonanotte”, una frase che il Logli pronunciò perché credeva di essere solo.

Roberta affrontò Antonio verbalmente, uscì dall’autoscuola, percorse pochi metri, raggiunse la staccionata che delimita il piazzale dell’autoscuola, la scavalcò e si incamminò nei campi, con tutta probabilità per dirigersi a casa dell’amante del marito, la quale abitava poco distante.

È stato Antonio Logli a riferire l’orario in cui Roberta scavalcò la staccionata durante uno “sfortunato” scambio con il padre registrato da una giornalista di “Chi l’ha visto?”:

Valdemaro Logli: “Secondo me è improbabile a scavalca di notte a buio qui dove va uno qui è veramenteee impossibile, no?”

Antonio Logli: “Ora, però c’è da dire che a quell’ora poteva co…, ah già mezzanotte, no, no, è buio, però, insomma, i lampioni sono accesi.”

Valdemaro Logli: “Sì, vabbè, ma, insomma, ma dove vai? Dove vai?”

Antonio Logli: “Non so se c’era…”

Valdemaro Logli: “Qui ‘un c’è nulla, la strada è laggiù dove c’è quelle case. La strada si ricongiunge a quella di sopra, quindi per me è più razionale uscì di sopra, dai cancelli lungo la strada via Ulisse Dini.”

Antonio Logli: “Avrebbe fatto prima…”

Giornalista: “Lei è perplesso su questo percorso?”

Valdemaro Logli: “Sì, sì.”

Peraltro il Logli non solo ha riferito l’orario in cui Roberta scavalcò la staccionata, orario che non poteva conoscere se fosse stato a letto, ma ha aggiunto “Avrebbe fatto prima…”, lasciando intendere, nonostante l’autocensura, di conoscerne le intenzioni.

Non solo, il Logli ha riferito in un’altra intervista che i cani da traccia che cercarono Roberta dopo la scomparsa seguirono la strada giusta quando si diressero nei campi: Infatti io credevo, quando son partiti, dico: “Ora entrano dentro, magari hanno sbagliato strada perché la sera (prima della chiusura dell’autoscuola ndr) era uscita eee da lì era entrata e uscita più d’una volta” ed invece no, la porta era aperta, non sono entrati ma sono andati a dritto”, confermandoci che era presente nel momento in cui Roberta scavalcò la staccionata.

È un errore pensare che Roberta abbia sentito il Logli parlare con l’amante mentre si trovava in casa e che, per paura del marito, fosse fuggita nei campi. Roberta intraprese la via dei campi non perché fosse in preda al panico o per fuggire al Logli, ma perché era intenzionata a raggiungere l’abitazione dell’amante del marito. Roberta si avviò a piedi proprio perché si trovava in autoscuola e non ebbe accesso alle chiavi della propria auto che erano rimaste in casa. Ella, infatti, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe usato la sua auto per le temperature particolarmente basse di quella notte, l’orario e la fretta che aveva di chiarire con la Calzolaio.

Dunque la discussione iniziale tra Antonio e Roberta ebbe luogo dopo l’ultima chiamata del Logli a Sara in autoscuola e nel piazzale della stessa e non nell’abitazione dei due coniugi nella quale si trovavano i loro due figli. Per questo motivo i bambini non li sentirono discutere.

Purtroppo, neanche il titolare della scuola di ballo, che aveva sede sopra l’autoscuola, udì i due coniugi discutere in quanto, a quell’ora, non si trovava più lì. Ho scritto “purtroppo” perché se il titolare della scuola di ballo fosse stato presente e si fosse palesato il Logli non avrebbe ucciso sua moglie, quantomeno non quella notte.  La certezza che un testimone li avesse uditi discutere avrebbe rappresentato, infatti, un deterrente.

Aggiungo che proprio il fatto che Roberta si sia allontanata a piedi a quell’ora e in una notte così fredda, è la riprova che la discussione tra lei e il marito si consumò in autoscuola e non in casa dove si trovavano i figli e le chiavi della sua auto.

La sosta in auto in via Gigli

In seguito alla fuga di Roberta tra i campi, il Logli salì sulla propria Ford Escort station wagon e si diresse in via Gigli, dove parcheggiò il veicolo al margine della strada nella speranza di intercettarla. Via Gigli è la strada che delimita il campo nel quale Roberta si era avventurata.

Tra le 00.30 e le 00.40, mentre il Logli era fermo sul ciglio della strada all’interno della sua Ford a fari spenti, sopraggiunsero in auto Loris Gozi e sua moglie. Loris vide il Logli, in quanto lo illuminò involontariamente con i fari della propria autovettura.

Poco dopo Antonio Logli, resosi conto di un malfunzionamento del contenitore del filtro del gasolio della propria auto, tornò a casa, parcheggiò la Ford nel vialetto, un luogo nel quale non era solito lasciarla e cambiò macchina. Antonio Logli tornò in via Gigli a bordo della Citroen C3 di sua moglie Roberta e la intercettò.

In via Gigli una seconda discussione impegnò i due coniugi, in quell’occasione Loris Gozi, che una volta tornato a casa era uscito a piedi con il cane, li udì.

Sia chiaro che, una volta intercettatala in via Gigli, il Logli non minacciò sua moglie, la convinse, invece, con le buone ad entrare nella C3, probabilmente dopo averle promesso che l’avrebbe portata a casa di Sara Calzolaio per chiarire. Antonio non aveva alcun interesse a richiamare l’attenzione dei vicini avendo già maturato il proposito di uccidere sua moglie. Il fatto che nessuna traccia di sangue sia stata repertata in auto ci conferma questa ricostruzione. Il Gozi, infatti, sentì la voce di Roberta e non quella del Logli.

Fu dunque Roberta ad alzare la voce e a sbattere con forza le portiere dell’auto per la rabbia. È stato Loris Gozi a confermarcelo durante un’intervista: “Perché c’erano delle urla, la signora urlava, delle urla strazianti, forti. (…) Ho sentito solo urlare, ma forte, come una donna che urla fo… che urla forte”.

In seguito a questa seconda discussione, cui assistette Loris Gozi, Antonio Logli condusse la moglie in una zona isolata dove, dopo averla uccisa, ne occultò il corpo.

È utile precisare che Antonio Logli cambiò auto perché si rese conto che la sua Ford Escort era danneggiata e non perché fu visto all’interno della Ford Escort da Loris Gozi, come sostenuto dai giudici nelle motivazioni della sentenza d’appello, non ne avrebbe, infatti, tratto alcun beneficio, anzi, il fatto che, quella notte, Loris Gozi abbia potuto identificare non una ma due delle auto appartenenti alla famiglia Logli/Ragusa ha aiutato ad inchiodare Antonio Logli alle sue responsabilità.

La sabbia è la chiave del caso 

La notte tra il 13 e il 14 gennaio la collaboratrice domestica di Roberta, Margherita Latona, notò la Ford Escort del Logli parcheggiata in un luogo dove il Logli non era solito parcheggiarla ovvero nel vialetto di casa. La mattina del 13 gennaio la stessa Latona vide Antonio Logli mentre puliva la pavimentazione di quel vialetto. Un’altra testimone vide il Logli pulire la strada nel punto dove era stato visto all’interno della sua Escort dal Gozi, fermo e a fari spenti, la notte della scomparsa della Ragusa.

In un’intervista, nel tentativo di sminuire il valore della dichiarazione della Latona agli inquirenti, il Logli ha detto: “Margherita Latona fece una telefonata, l’ho letto nelle carte, era affacciata allo stanzino del… dove io ho la lavatrice di casa e sotto di lei c’è uno stanzino dove tengo, diciamo, un ripostiglio, all’interno avevo una busta con della sabbia che uso per mettere nei commenti del piazzale dell’autoscuola, mentre prendo questa busta e giro per andare verso il piazzale, in terra, dei ragazzini avevano fatto quei disegni per fare il gioco che ci si salta dentro e mi sembravano brutti e io ho preso qualcosa e ho cominciato a grattare per vedere se lo potevo togliere, in realtà, dopo poco, mi so accorto che non ci facevo nulla, le strisce, le righe che erano in terra son rimaste tali e quali”.

Il Logli ha aggiunto un tassello cruciale alla ricostruzione dei fatti quando ha affermato di aver preso la busta con la sabbia che teneva nel ripostiglio. Si noti che il Logli ha riferito che era solito usare la sabbia per riempire i commenti del piazzale dell’autoscuola, ma non ha detto di averlo fatto anche quella mattina.

È logico inferire che il Logli non avrebbe perso tempo a riempire con la sabbia i commenti del piazzale dell’autoscuola se fosse stato preoccupato per la scomparsa di Roberta e neanche se l’avesse uccisa. E allora che uso fece della sabbia la mattina del 14 gennaio? Il giorno dopo l’omicidio Antonio Logli versò la sabbia sulle macchie di gasolio che la sua auto aveva lasciato sul vialetto di casa sua e su via Gigli, lo fece per nascondere le tracce del fatto che la sua macchina, la notte precedente, aveva stazionato in quei due luoghi.

L’ideazione omicidiaria

In sintesi: la notte tra il 13 e il 14 gennaio Antonio Logli maturò l’idea di uccidere sua moglie mentre si trovava in Via Gigli all’interno della sua Ford Escort station wagon e, una volta resosi conto che l’auto perdeva gasolio, la sostituì con la C3 di Roberta per non rischiare che l’auto danneggiata lo lasciasse a piedi in una delle fasi del delitto. E poi, il 14 gennaio asciugò il gasolio colato dalla sua auto sulla pavimentazione del vialetto e in strada per evitare che la perdita di gasolio lo tradisse, posto che era la riprova che la sera della scomparsa della moglie lui si trovava in via Gigli in auto e non a letto.

Infine, il 14 gennaio, al mattino, finse di cercare Roberta in compagnia di un ignaro amico e lo fece a bordo della Ford Escort pur sapendola danneggiata, auto che poi lasciò al cimitero. È chiaro che il Logli si mosse con la Ford Escort per lasciarla a debita distanza da casa in modo da evitare che qualcuno notasse che perdeva gasolio e che la perdita di gasolio accreditasse il racconto dei testimoni, racconti avvalorati dalla presenza di chiazze di gasolio nei luoghi dove la sua auto era stata ferma quella notte, il vialetto e via Gigli.

Nelle motivazioni della sentenza d’appello si legge: “A tale proposito vengono citate le dichiarazioni rese da un amico dell’imputato (…) propose di fare un giro in macchina transitando dai due cimiteri ove erano seppelliti i genitori della Ragusa. Saliti sulla Ford di proprietà dell’imputato e giunti al cimitero di Pisa, si constatò tuttavia che il motore dell’auto non si avviava, nonostante l’imputato provasse a caricare il circuito di alimentazione del gasolio con l’apposita pompa del vano motore.  A quel punto veniva chiamato il padre dell’imputato che giungeva dopo circa 15/20 minuti e li riaccompagnava a casa (…) A tale proposito affermava che la problematica al motore dell’auto, a dire dell’imputato si verificava frequentemente e che egli stesso, guardando il vano motore, notava che il contenitore del filtro del gasolio era avvolto in una pellicola trasparente del tipo da cucina”.

È in questo stralcio di motivazioni la conferma del fatto che il Logli si era accorto che il contenitore del filtro del gasolio era rotto ben prima di raggiungere con l’amico il parcheggio del cimitero, lo aveva, infatti, già rivestito con la pellicola da cucina.

Infine, il Logli pensò al luogo dove avrebbe potuto occultare il corpo di sua moglie, lo stesso luogo nel quale la uccise, mentre si trovava all’interno della sua Ford Escort quella stessa notte.

In precedenza, aveva infatti pensato di sopprimerla simulando un incidente in casa e quindi non avrebbe avuto bisogno di occultarne il corpo. In altre parole: Antonio Logli non era preparato al susseguirsi degli eventi della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012.

Articolo di Ursula Franco

Fonti:

Foto Roberta Ragusa https://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/ragusa-forno-crematorio-suicida/


Ursula Franco è Medico Chirurgo, Criminologo e Statement Analyst, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis, una tecnica di analisi di interviste e interrogatori. Si occupa soprattutto di errori giudiziari.

 

QUARTO GRADO, OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: LORIS GOZI E ANTONIO LOGLI NON SONO DUE DUELLANTI, RAPPRESENTAZIONE DI UN TESTE DISEDUCATIVA

Roberta Ragusa

Dopo la puntata di ieri di Quarto Grado abbiamo contattato la criminologa Ursula Franco. La settimana scorsa si era così espressa sulla credibilità del testimone Loris Gozi: “Loris Gozi ha riferito lucidamente i fatti osservati senza ricamarci sopra; non ha mai inteso compiacere nessuno, né gli inquirenti, né i giornalisti. Gozi, nonostante l’improvvisa ed involontaria notorietà, non ha mai cercato di stupire infiocchettando la sua testimonianza con dettagli aggiuntivi; quando è stato imboccato, non ha confermato i dettagli suggeriti dai giornalisti ma ha ripetuto sempre e solo la descrizione dei fatti di cui è stato testimone. Loris Gozi ha risposto alle domande prendendo possesso delle risposte e lo ha fatto secondo la formula che caratterizza una risposta credibile: prima persona singolare, verbo al passato, nessuno avverbio o aggettivo qualificativo. Chi non ha detto il vero è il signor Antonio Logli”

Le Cronache Lucane, 7 novembre 2020

– Dottoressa Franco, in un servizio di Francesca Carollo andato in onda ieri sera, la voce narrante ha detto: “È una battaglia senza esclusione di colpi quella tra Loris e Antonio, duellanti da oltre otto anni, portatori di due opposte verità sulla notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, la notte in cui Roberta Ragusa sparì”, “Antonio, marito di Roberta e padre dei suoi figli, è stato condannato a 20 anni di carcere per averla uccisa ma si è sempre dichiarato innocente. Loris è stato il suo più grande accusatore, l’uomo che ha dichiarato di averlo visto in macchina, nella sua Ford Escort la notte della scomparsa della moglie, mentre Logli affermava di essere stato a letto”, “Loris contro Antonio, Antonio contro Loris”, che ne pensa?

Non “è una battaglia” quella tra un testimone e l’autore di un omicidio. E’ diseducativo rappresentarli come “duellanti”. Loris non “è stato il più grande accusatore” di Antonio Logli. Loris Gozi ha raccontato alcune cose ai magistrati ed è stato giustamente ritenuto credibile. Il racconto di Gozi si colloca perfettamente nella ricostruzione dei fatti della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012. Ad onor del vero, aggiungo che, in nessun caso giudiziario, esistono “due opposte verità”, la verità è una sola ed è immarcescibile. In questo caso la verità è che Antonio Logli ha convinto sua moglie Roberta a salire sulla C3, l’ha condotta in un luogo isolato dove l’ha uccisa e ne ha occultato il corpo.

– E delle parole di Antonio Logli “lo ripeto, sono una brava persona n… non ho mai preso una multa, non ho mai fatto niente di male” e “Dalla documentazione è talmente evidente che io non ho commesso assolutamente niente per cui la verità deve uscire fuori”, che può dirci?

Antonio Logli non ha mai negato in modo credibile di aver ucciso sua moglie. Solo chi è a digiuno di Statement Analysis può farsi manipolare da lui. Se Antonio Logli non avesse ucciso sua moglie avrebbe detto “Io non ho ucciso Roberta, sto dicendo la verità” ed invece, poiché è incapace di negare in modo credibile, non gli resta che spacciarsi per “una brava persona”, per uno che non ha “mai preso una multa”, una frase che, se non fossimo qui a parlare di un omicidio, sarebbe esilarante. Anche “non ho mai fatto niente di male” e “io non commesso assolutamente niente” non sono negazioni credibili perché si riferiscono ad un lasso di tempo indefinito e lasciano spazio alla possibilità che il Logli abbia commesso l’omicidio. A differenza sua, Loris Gozi ha detto “Gli ho detto la verità”, what else?  

– La voce narrante ha anche detto “La difesa di Logli ha sempre cercato di screditare il testimone che ha parlato solo 10 mesi dopo la notte della scomparsa contraddicendosi sul modello dell’auto vista e sugli orari”, “E come mai Loris si confonde sul dettaglio fondamentali dei fari dell’auto quando viene contro interrogato dal legale di Logli?”, può risponderci lei?

Nessun teste è capace di rievocare i fatti di cui è stato testimone sotto forma di riproduzioni fotografiche, il dettaglio dei fari è irrilevante. 

– Dottoressa Franco, vuole aggiungere qualcosa?

Soffermiamoci sulla dichiarazione di Antonio Logli a chiusura del servizio: “Eh, io penso proprio che non sia avvenuto quello che è stato descritto e tra l’altro so che il Gozi non è mai stato riscontrato dove si trovasse quella sera“

Una negazione non credibile, peraltro indebolita da “penso” e forse un tentativo di addossare la colpa a Gozi, che non stupisce. 

Omicidio Roberta Ragusa, criminologa Franco: Loris Gozi è un testimone esemplare, Antonio Logli ha ucciso sua moglie e sta bene dove si trova

Criminologa Franco:Cercare innocenti dove non ci sono, danneggia le vittime di errore giudiziario”

Le Cronache Lucane, 31 ottobre 2020

Dopo la puntata di ieri di Quarto Grado abbiamo chiesto un commento alla criminologa Ursula Franco in merito a certe dichiarazioni riguardanti la testimonianza di Loris Gozi:

“Loris Gozi, sentito dagli inquirenti sugli episodi di cui è stato suo malgrado testimone, si è attenuto a ciò che ha visto e sentito; ha riferito lucidamente i fatti osservati senza ricamarci sopra; non ha mai inteso compiacere nessuno, né gli inquirenti, né i giornalisti. Gozi, nonostante l’improvvisa ed involontaria fama, non ha mai cercato di stupire infiocchettando la sua testimonianza con dettagli aggiuntivi; non si è lasciato prendere dalla notorietà; se imboccato o provocato, non ha confermato eventuali dettagli suggeriti dai giornalisti ma ha ripetuto sempre e solo la descrizione dei fatti di cui è stato testimone. Loris Gozi ha sempre risposto alle domande prendendo possesso delle risposte e lo ha fatto secondo la formula che caratterizza una risposta credibile: prima persona singolare, verbo al passato, nessuno avverbio o aggettivo qualificativo. ll Gozi  non si mai perso in tirate oratorie; né ha fornito informazioni estranee ai fatti che, in caso di dichiarazioni menzognere, sono il tentativo di condurre il proprio interlocutore altrove rispetto alla verità. Loris Gozi è un uomo intelligente, obiettivo, aderente alla realtà, credibile, è un testimone esemplare. C’è poco da fare. Chi non ha detto il vero è il signor Antonio Logli. E sta bene dove si trova. Cercare innocenti dove non ci sono, danneggia le vittime di errore giudiziario”

Roberta Ragusa/ Antonio Logli pronto a dimostrare la sua innocenza? Mosse difesa

Roberta Ragusa, il caso a Quarto Grado: la difesa di Antonio Logli pronta a dimostrare l’innocenza dell’uomo? Le ultime novità sul giallo

roberta ragusa antonio logli
Roberta Ragusa e Antonio Logli

Nella nuova puntata di Quarto Grado, i riflettori saranno ancora accesi su un caso che continua a far discutere e a spaccare l’opinione pubblica: la misteriosa fine di Roberta Ragusa. La trasmissione ripercorrerà le tappe salienti del giallo iniziato da Gello di San Giuliano Terme il 14 gennaio 2012 con la scomparsa della donna. Il 10 luglio dello scorso anno il marito Antonio Logli è stato condannato in via definitiva a 20 anni di carcere con l’accusa di omicidio e distruzione di cadavere ma la difesa dell’uomo non si arrende. Logli ha sempre respinto con forza un suo coinvolgimento nella morte della moglie. Adesso la sua difesa ha intenzione di giocarsi una nuova carta al fine di dimostrare la sua innocenza. “Non ho mai fatto del male a nessuno. Tutto inventato. Tanto la verità verrà fuori…”, aveva già commentato Antonio in una vecchia intercettazione del 13 ottobre 2012 ripresa dal settimanale Giallo e relativa ad una conversazione avvenuta in auto con il figlio Daniele. Quella intercettazione fu captata otto mesi dopo la sparizione misteriosa di Roberta e rimase inedita per molti anni. Gli inquirenti riuscirono a registrarla piazzando una microspia nell’auto dell’uomo dove si lasciò andare poi ad alcune confidenze con il figlio maggiore. L’intercettazione pubblicata dal settimanale specializzato in cronaca nera, scrive Blastingnews, offrirebbe l’idea del rapporto tra Logli ed i figli ed i suoi tentativi di convincerli della sua innocenza.

ROBERTA RAGUSA, DIFESA ANTONIO LOGLI PRONTA A DIMOSTRARE INNOCENZA

Con il passare degli anni, anche i figli di Roberta Ragusa, Daniele e Alessia Logli, avrebbero creduto sempre di più all’innocenza del padre Antonio, tanto da difenderlo. Al tempo stesso però il dolore per la perdita della madre è sempre rimasto inalterato. Durante tutti questi anni però hanno sempre supportato le tesi del genitore che ancora oggi intende dimostrare la sua innocenza esattamente come otto anni fa. A dire la sua su Antonio Logli, di recente, è stata anche la criminologa Ursula Franco, intervistata da Le Cronache Lucane. Perchè, a suo dire, pur essendo stato riconosciuto colpevole Logli non ha mai rivelato il luogo del presunto occultamento del cadavere della moglie Roberta Ragusa? “Il Logli non ammetterà mai di aver ucciso sua moglie, detesta il fatto di essere stato “smascherato”, preferisce rivendersi come una vittima per non perdere la faccia con familiari ed amici”. A suo dire, “reggerebbe una parte” come Chico Forti. Adesso però la difesa di Antonio Logli avrebbe tra le mani delle carte inedite con le quali poter dimostrare l’innocenza del proprio assistito.

OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: ANTONIO LOGLI REGGE UNA PARTE PROPRIO COME CHICO FORTI 

Antonio Logli

Antonio Logli è stato è stato condannato in via definitiva a 20 anni di carcere per l’omicidio di sua moglie Roberta Ragusa.

Le Cronache Lucane, 25 maggio 2020

Qualche settimana fa è stata diffusa un’intercettazione in cui si sente Antonio Logli che parla con Sara Calzolaio di un tombino: “Sì, glieli ho fatti vedere. Li aprì, guardò dentro e mi disse: Cosa c’è lì dentro?”. “C’è l’acqua, ma, se vuoi, guarda dentro. Chiama la botte della Gea, vuotali pian piano, se pensi che possa essere”. Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco che ha diffuso un’accurata ricostruzione dei fatti relativi alla scomparsa della Ragusa

– In tanti hanno pensato che il Logli possa aver nascosto il corpo di Roberta proprio in quel tombino, dottoressa Franco, che ne pensa?

Il Logli non ha ucciso Roberta nei pressi di casa sua, l’ha condotta invece in un luogo isolato dove l’ha colpita a morte e ne ha occultato il corpo. Roberta si lasciò convincere dal marito ed entrò nella C3 perché Antonio, con tutta probabilità, le promise che l’avrebbe portata a casa di Sara per chiarire. Il Logli non minacciò Roberta dopo essere stato scoperto in autoscuola al telefono con Sara. Il Gozi infatti ha sempre detto di aver sentito solo la voce alterata di una donna: “c’erano delle urla, la signora urlava, delle urla strazianti, forti”. Il Logli non aveva infatti interesse ad attirare l’attenzione di nessuno posto che era deciso ad uccidere sua moglie, una decisione che aveva preso mentre si trovava all’interno della sua Ford Escort in via Gigli, macchina che cambiò per un problema al filtro del gasolio e che temeva l’avrebbe lasciato a piedi. 

Chico Forti

– Dottoressa Franco, Antonio Logli è stato riconosciuto colpevole, perché non rivela il luogo dell’occultamento?

Il Logli non ammetterà mai di aver ucciso sua moglie, detesta il fatto di essere stato “smascherato”, preferisce rivendersi come una vittima per non perdere la faccia con familiari ed amici, vale lo stesso per i genitori di Maddie McCann e per Chico Forti, reggono tutti una parte. E’ particolarmente interessante ciò che ha recentemente risposto Chico Forti ad un giornalista che gli chiedeva il perché non si fosse dichiarato colpevole: “Per la gente che mi vuole bene, per la gente che crede in me, che crede nella mia innocenza, che crede nella persona che sono e che sono stata. Sarebbe il momento in cui perdo la mia battaglia”. Voglio farle notare che Chico Forti non ha risposto come avrebbe risposto un innocente “de facto”, ovvero non ha detto: “Non mi sono dichiarato colpevole perché sono innocente, io non ho ucciso Dale Pike”. Peraltro, non solo Chico non ha mai negato di aver ucciso Dale Pike, ma le sue interviste sono ricche di ammissioni incriminanti. In una ha perfino detto di essere stato a Sewer Beach il giorno dell’omicidio, mentre al giornalista de “Le Iene” ha detto: “E’ la truffa più idiota del mondo, perché stavo truffando me stesso”. 

APPIAPOLIS, OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA: ANALISI CRITICA DELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA DI ANTONIO LOGLI

       –       di Ursula Franco *     –                

1 6 OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA: ANALISI CRITICA DELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA DI ANTONIO LOGLILa ricostruzione dei fatti è il fulcro sul quale ruota un caso giudiziario, una ricostruzione senza smagliature dovrebbe essere la priorità di una procura che intenda identificare il responsabile di un delitto, degli avvocati di parte civile e dei giudici che emettono una sentenza ed invece, purtroppo, nel nostro paese manca la cultura della verità. Nel caso una procura si trovi a perseguire un colpevole, le falle nella ricostruzione dei fatti lasciano spazio alla sua difesa.

Di seguito un’analisi critica delle motivazioni della sentenza di condanna di Antonio Logli emessa dalla Corte d’Appello di Firenze nel maggio 2018.

Secondo i giudici: “La notte della scomparsa la donna (Roberta Ragusa) è in tenuta da notte, intenta a sbrigare incombenze ordinarie, pronta ad andare a letto, il Logli è invece in soffitta a parlare con l’amante impegnato in tre successive conversazioni telefoniche l’ultima delle quali iniziata alle ore 00:17, si interrompe in pochi secondi”.

E’ vero che il Logli la notte della scomparsa di sua moglie Roberta fece tre telefonate all’amante, Sara Calzolaio:

a) una prima telefonata di 42 minuti che iniziò alle 23.08 e terminò alle 23.50;

b) una seconda telefonata di 20 minuti che iniziò alle 23.56 e terminò alle 24.16;

c) una terza telefonata di soli 17 secondi che iniziò alle 00.17,

ma non corrisponde al vero che Antonio Logli abbia fatto tutte e tre le telefonate a Sara dalla soffitta.

Di sicuro il Logli fece la prima telefonata all’amante mentre lo stesso si trovava in soffitta, è stata la stessa Sara Calzolaio a riferire agli inquirenti di aver sentito le voci dei bambini durante quella prima telefonata e che il Logli le aveva confidato di essere in soffitta. Dopo la fine di quella telefonata però, ovvero dopo le 23.50, Antonio Logli prelevò sua figlia dal letto matrimoniale e la mise nel lettino e poi lo stesso si recò in autoscuola e da lì fece le altre due telefonate. Chiamò nuovamente Sara alle 23.56 e infine alle 00.17 per un’ultimo saluto affettuoso.

Una ricostruzione confermata dal Logli in un’intervista: “Abbiamo cenato eeee i bambini sono andati a lettooo un po’ più tardi del solito, verso le 11.00, ioooo ho fatto… mmm… delle cose che avevo da fare qui, ho messo a posto della roba in soffitta, sono andato all’autoscuola”.

Inoltre, non è vero ciò che sostengono i giudici, ovvero che Roberta, intorno alle 23.50, al termine della prima telefonata, fosse “intenta a sbrigare incombenze ordinarie, pronta ad andare a letto”; la Ragusa, quando il Logli scese dalla soffitta e prelevò sua figlia dal letto matrimoniale, si trovava nel letto al fianco della bambina, lo prova il fatto che il suo telefonino, al mattino dopo, venne ritrovato sul comodino.

Il Logli, su questo punto, in una delle prime interviste, si è tradito: “(…) e poi la sera siamo andati in casa, abbiamo mangiato e come le altre sere, no, veramente, no, come le altre sere, sono andato a letto un pochino prima io di lei”, in pratica ha riferito alla giornalista che, come le altre sere, Roberta era andata a letto prima di lui e poi si è corretto dicendo che, a differenza dal solito, era andato a letto “un pochino prima” della moglie, peraltro lasciando intendere di essere a conoscenza dell’orario e del fatto che Roberta andò a letto quella sera.

Sempre secondo i giudici: “Il Logli quindi non è a letto, come da lui falsamente dichiarato, è sveglio, ha contezza di dove sia la moglie e assiste anche alla sua fuga, avvenuta in prossimità di questo orario: da tali fatti si evince con chiarezza che la donna si è allontanata in tenuta da notte sotto l’influsso di un’enorme emozione e paura che non può che essere dipesa dalla scoperta definiva dell’identità dell’amante con la qual il marito si intratteneva. Ad avviso di questa Corte la Ragusa, resa più sospettosa e guardinga dagli eventi dei giorni precedenti aveva cercato di comprendere, forse spiando, come aveva fatto già nella precedente occasione, con chi il marito si intrattenesse, finendo viceversa con l’essere essa stessa scoperta. In altri termini la Ragusa, allarmata, in stato di allerta ma ansiosa di raggiungere la verità fino ad allora sfuggita, deve essersi posta in stato di vigilanza, spiando le mosse del marito e cercando di carpirne i dialoghi, fino ad essere essa stessa scoperta: una reciproca sorpresa in flagranza con un istantaneo e terribile faccia a faccia tra i coniugi, rivelatore della scoperta della reciproca raggiunta, consapevolezza”.

Nella ricostruzione dei giudici manca un passaggio cruciale, il Logli, dopo le 23.50, dopo aver messo sua figlia a letto, andò in autoscuola; Roberta, che era a letto, si alzò, si mise le scarpe da tennis che usava in palestra e che non furono mai ritrovate e una giacca e seguì di nascosto il marito. Fu proprio nei locali dell’autoscuola che Roberta sentì parlare suo marito Antonio con l’amante, ma soprattutto lo sentì chiudere l’ultima telefonata a Sara con un “Ti amo, buonanotte”, una frase che il Logli pronunciò perché credeva di essere solo, ne nacque logicamente una discussione e la povera Ragusa, decisa ad affrontare la rivale, uscì dall’autoscuola, percorse pochi metri, raggiunse la staccionata, la scavalcò e si incamminò nei campi per dirigersi a casa di Sara Calzolaio che abitava poco distante.

Secondo i giudici: “La sorpresa e il terrore alimentati dalla recente esperienza, vissuta dalla donna come un tentativo di omicidio, non hanno consentito ad avviso di questa Corte che si sviluppasse tra i due alcuna discussione: non vi è stato alcun alterco, alcun litigio, alcun clamore, tanto è vero che neppure i figli sono stati svegliati o hanno percepito alcunché”. 

Non corrisponde al vero ciò che hanno scritto i giudici su questo punto, il Logli e sua moglie Roberta discussero per ben due volte quella notte:

a) la discussione iniziale tra Antonio e Roberta ebbe luogo dopo le 00.17 in autoscuola, per questo motivo i bambini non sentirono niente e come loro neanche il titolare della scuola di ballo che si trova sopra l’autoscuola perché se n’era andato poco prima. 

b) una seconda discussione impegnò i due coniugi in via Gigli, in quell’occasione un testimone, Loris Gozi, li udì. 

Il Logli non minacciò mai di morte sua moglie, una volta intercettatala in via Gigli, la convinse con le buone ad entrare in auto (la C3 di Roberta). Probabilmente il Logli le promise che l’avrebbe portata a casa di Sara Calzolaio per chiarire.

Fu Roberta ad alzare la voce e a sbattere con forza le portiere dell’auto per la rabbia. E’ Loris Gozi a confermarcelo in un’intervista: “Perché c’erano delle urla, la signora urlava, delle urla strazianti, forti. (…) Ho sentito solo urlare, ma forte, come una donna che urla fo… che urla forte”. Il Gozi sentì la voce di Roberta e non quella del Logli perché Antonio cercò di abbassare i toni, cercò di calmare sua moglie per convincerla a salire in auto in moda da condurla in una zona isolata e ucciderla, il Logli, infatti, non aveva alcun interesse a richiamare l’attenzione dei vicini proprio perché aveva deciso di uccidere la povera Roberta.

Sempre secondo i giudici: “La Ragusa, in preda al panico percependo il grave pericolo per la propria incolumità è semplicemente e istintivamente scappata, così come si trovava, senza mettere niente altro addosso, senza portare niente con sé, e proprio attraverso i campi, come indicato dalle tracce fiutale dai cani, per sottrarsi alla vista e al prevedibile inseguimento del marito di cui aveva paura. Una fuga per la strada pubblica non sarebbe stata funzionale a detto scopo, poiché sarebbe stata visibile e raggiungibile e quanto al chiamare i suoceri, si trattava di persone che la donna sentiva distanti, fredde e non tutelanti”.

E’ un errore grossolano pensare che Roberta abbia sentito il Logli parlare con l’amante mentre si trovava in casa e che, per paura del marito, fosse fuggita tra i campi. Roberta intraprese la via dei campi non perché in preda al panico o per fuggire al Logli ma perché era intenzionata a raggiungere l’abitazione dell’amante del marito, Sara Calzolaio, e proprio perché si trovava in autoscuola, peraltro a pochi passi dalla staccionata che divide il parcheggio dell’autoscuola dai campi, non ebbe accesso alle chiavi della propria auto, che erano rimaste in casa. Ella infatti, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe usato l’auto a causa delle temperature particolarmente basse di quella notte, dell’orario e della fretta che aveva di chiarire con la Calzolaio. 

Il fatto che Roberta si sia allontanata a piedi è la riprova che la discussione tra lei e il marito si consumò in autoscuola e non in casa dove si trovavano le chiavi della sua C3.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati, ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa (…) e poi cambiando macchina Roberta, che è stata minacciata di morte, sta lì e m’aspetta cioè mmm è inverosimile, io credo che cosa più incredibile di questa non… non ci sia”. 

Secondo i giudici: “In concomitanza con tale sequenza temporale si colloca la formidabile deposizione del Gozi che inizialmente e consequenzialmente vede il Logli in posizione statica di attesa, circa nel luogo dal quale secondo la direzione intrapresa dalla fuggitiva, la donna avrebbe dovuto prima o poi sbucare dal campo. Questa prima scena così come descritta dai testi Loris Gozi e Anita Gombi, assume il valore di conferma e di decisivo significato indiziario: i testi descrivono una situazione insignificante e di per sé non allarmante, anzi neutra, ma probatoriamente preziosa, perché strettamente complementare e reattiva per tempistica e luogo ad eventi che si erano poco prima consumati tra altre persone, in altra sede e per ragioni a loro estranee. Il Logli ha consapevolezza di essere stato notato dal teste, che aveva un’auto vistosa a lui nota, per tale motivo rientra e cambia auto, che verrà notata dalla Latona posteggiala davanti a casa, in orario che, per quanto sopra detto trattando specificamente di tale indizio, non è affatto incompatibile con la deposizione Gozi, considerando la stretta prossimità dell’abitazione e il fatto che l’avvistamento successivo del Gozi è da collocarsi a circa venti minuti o mezz’ora dopo”.

Il Logli non cambiò auto perché fu visto all’interno della sua Ford Escort da Loris Gozi, come affermato dai giudici, non ne avrebbe infatti tratto alcun beneficio. Anzi, il fatto che il Gozi abbia potuto identificare non una ma due delle auto appartenenti alla famiglia Logli/Ragusa, in strada, quella sera, ha danneggiato Antonio Logli. 

Purtroppo però inquirenti e magistrati hanno ignorato due fatti di rilievo:

a) una testimone vide il Logli pulire la strada nel punto dove aveva temporaneamente parcheggiato la sua Escort la notte della scomparsa della Ragusa e dove era stato notato dal Gozi;

b) la collaboratrice domestica di Roberta, Margherita Latona, ha sostenuto di aver visto il Logli pulire il vialetto di casa sua e proprio nel punto in cui la notte stessa della scomparsa di Roberta era parcheggiata la sua Escort.

In un’intervista, nel tentativo di sminuire il valore della dichiarazione della Latona agli inquirenti, il Logli ha detto: “Margherita Latona fece una telefonata, l’ho letto nelle carte, era affacciata allo stanzino del… dove io ho la lavatrice di casa e sotto di lei c’è uno stanzino dove tengo, diciamo, un ripostiglio, all’interno avevo una busta con della sabbia che uso per mettere nei commenti del piazzale dell’autoscuola, mentre prendo questa busta e giro per andare verso il piazzale in terra dei ragazzini avevano fatto quei disegni per fare il gioco che ci si salta dentro e mi sembravano brutti e io ho preso qualcosa e ho cominciato a grattare per vedere se lo potevo togliere, in realtà dopo poco mi so accorto che non ci facevo nulla le strisce, le righe che erano in terra son rimaste tali e quali”.

Con questa dichiarazione, il Logli ha aggiunto un tassello cruciale alla ricostruzione dei fatti della notte della scomparsa di Roberta Ragusa, ha affermato di aver usato la sabbia il giorno seguente.

Loris Gozi vide Antonio Logli, in via Gigli, fermo dentro la sua Ford Escort station wagon a fari spenti tra le 00.30 e le 00.40.

La notte del 13 gennaio 2012 la domestica vide la Ford Escort del Logli parcheggiata nel vialetto poco dopo le 00.40.

La sabbia è la chiave del caso. 

La notte dell’omicidio, Antonio Logli danneggiò il contenitore del filtro del gasolio della sua Ford Escort station wagon ed il giorno dopo pulì sia la strada che il vialetto per nascondere le tracce del fatto che la sua macchina la notte precedente aveva stazionato in quei due luoghi.foto 2 OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA: ANALISI CRITICA DELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA DI ANTONIO LOGLI

Il Logli, la notte dell’omicidio, maturò l’idea di uccidere sua moglie mentre si trovava in strada all’interno della sua Ford Escort station wagon e cambiò macchina non perché lo vide il Gozi, come erroneamente affermato dai giudici nelle motivazioni della sentenza, ma per non rischiare che l’auto danneggiata, ovvero la sua Escort, lo lasciasse a piedi in una delle fasi dell’omicidio e dell’occultamento del corpo di Roberta. 

Antonio Logli, dopo essersi accorto del guasto, riportò a casa la Ford Escort, la parcheggiò nel vialetto, dove non era solito lasciarla e dove la vide la collaboratrice domestica, Margherita Latona, e uscì di nuovo, questa volta con la Citroen (C3) di Roberta. 

E’ logico inferire che il Logli non avrebbe perso tempo a riempire con la sabbia i commenti del piazzale dell’autoscuola sia nel caso fosse stato preoccupato per la scomparsa di Roberta sia nel caso l’avesse uccisa, pertanto si può concludere che abbia usato la sabbia per asciugare il gasolio colato dalla sua auto sulla pavimentazione del vialetto. 

Il Logli pulì la strada ed il vialetto di casa sua per il timore che la perdita di gasolio lo tradisse, posto che era la riprova che la sera della scomparsa della moglie lui si trovava in via Gigli in auto e non a letto. Per questo stesso motivo, pur sapendola danneggiata, usò la propria auto per raggiungere il cimitero al mattino dopo, lo fece per lasciare la Ford Escort a debita distanza da casa, per evitare che qualcuno notasse che perdeva gasolio e che quindi quella perdita accreditasse il racconto dei testimoni per la presenza di chiazze di gasolio nei luoghi dove la sua auto era stata ferma quella notte.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati, ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa, poi dopo, siccome io sarei stato visto, ho cambiato macchina, cioè cosa sarebbe cambiato cambiando macchina? Se m’hai visto, m’hai visto”. 

Secondo i giudici: “A tale proposito vengono citate le dichiarazioni rese da un amico dell’imputato (…) propose di fare un giro in macchina transitando dai due cimiteri ove erano seppelliti i genitori della Ragusa. Saliti sulla Ford di proprietà dell’imputato e giunti al cimitero  di Pisa, si constatò tuttavia che il motore dell’auto non si avviava, nonostante l’imputato provasse a caricare il circuito di alimentazione del gasolio con l’apposita pompa del vano motore.  A quel punto veniva chiamato il padre dell’imputato che giungeva dopo circa 15/20 minuti e li riaccompagnava a casa (…) A tale proposito affermava che la problematica al  motore dell’auto, a dire dell’imputato si verificava frequentemente e che egli stesso, guardando il  vano motore, notava che il contenitore del filtro del gasolio era avvolto in una pellicola trasparente del tipo da cucina”.

E’ in questo stralcio di motivazioni la conferma del fatto che il Logli si era accorto, ben prima di giungere al cimitero, che il contenitore del filtro era rotto, lo aveva infatti già rivestito con la pellicola da cucina. foto 3 OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA: ANALISI CRITICA DELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA DI ANTONIO LOGLI

Secondo i giudici: “Il delitto non era certo stato programmato per quella data e in quella occasione, come attestano le circostanze accertate e finanche la mancanza da parte del Logli della possibilità di approntare e addurre più adeguate e logiche circostanze della scomparsa della moglie e di costruire un albi più solido a suo favore, ma tuttavia proprio dal mancato ritrovamento del corpo si deve escludere che si sia trattalo di dolo d’impeto.
In qualunque modo ne abbia cagionato la morte, il mancato rinvenimento del corpo nonostante le già illustrate massicce ricerche, e a prescindere dalla circostanza tecnica che non sia stata contestata la premeditazione, indica chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie, significativamente e a ragion veduta temuta dalla povera Ragusa, ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi. La notte dei fatti invece la situazione è precipitata, con la scoperta da parte della Ragusa, sorpresa a sua volta dal marito e la immediata resa dei conti culminata nel terrore e nella fuga della donna raggiunta e coattivamente trattenuta, e nella sua soppressione. Insomma la mancata scoperta del corpo e delle modalità esecutive dell’omicidio qualificano in modo vieppiù negativo la personalità dell’autore e la sua capacità criminosa, la freddezza nell’ideazione, la precisione nell’esecuzione, e infine l’efficacia nella soppressione del corpo”.

I cadaveri si trovano più spesso per caso che durante le ricerche, pertanto è proprio la casistica ad indurci a dubitare che il fatto che il corpo di Roberta Ragusa non sia stato ritrovato indichi “chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie (…) ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi”

Ed è proprio il modo in cui il Logli tentò di uccidere Roberta, ovvero facendola cadere dalle scale, che ci permette di escludere che, prima della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, lo stesso avesse pensato ad un luogo dove occultarne il corpo. 

Il Logli pensò al luogo dove avrebbe potuto occultarne il corpo (lo stesso luogo dove la uccise) mentre si trovava all’interno della sua Ford Escort quella stessa notte, in precedenza aveva pensato di sopprimerla simulando un incidente. In altre parole, il Logli non era preparato al susseguirsi degli eventi della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012.  

ursula franco 1 OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA: ANALISI CRITICA DELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DI CONDANNA DI ANTONIO LOGLIMedico chirurgo e criminologo, allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari

CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: IN UN CASO GIUDIZIARIO LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI E’ TUTTO, NON UN MERO ESERCIZIO DI STILE

“La ricostruzione dei fatti è il fulcro sul quale ruota un caso giudiziario, una ricostruzione senza smagliature dovrebbe essere la priorità di una procura che intenda identificare il responsabile di un delitto, degli avvocati di parte civile e dei giudici che emettono una sentenza. Solo ricostruendo i fatti in modo capillare si possono attribuire le giuste responsabilità e si riduce in modo drammatico il rischio di commettere un errore giudiziario”

Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

Le Cronache Lucane, 29 marzo 2020

Michele Buoninconti

– Dottoressa Franco, in un caso giudiziario, quanto è importante ricostruire i fatti in modo capillare e perché?

La ricostruzione dei fatti è il fulcro sul quale ruota un caso giudiziario, una ricostruzione senza smagliature dovrebbe essere la priorità di una procura che intenda identificare il responsabile di un delitto, degli avvocati di parte civile e dei giudici che emettono una sentenza ed invece, purtroppo, nel nostro paese manca la cultura della verità. Solo ricostruendo i fatti in modo capillare si possono attribuire le giuste responsabilità e si riduce inoltre in modo drammatico il rischio di commettere un errore giudiziario. Faccio un esempio: se la procura di Asti e tutti i giudici che hanno giudicato il povero Michele Buoninconti avessero provato a ricostruire i fatti che condussero alla morte di Elena Ceste si sarebbero resi conto che non era stato commesso un omicidio. 

– E in caso invece sia stato commesso un omicidio?

In caso di omicidio, una capillare ricostruzione dei fatti tutela i familiari della vittima perché non lascia spazio alla difesa. 

– In quali casi noti gli inquirenti ed i giudici hanno commesso degli errori nella ricostruzione dei fatti?

In moltissimi. 

– Ci faccia alcuni esempi.

Sono stati commessi errori nella ricostruzione degli omicidi di Matilda Borin, Lidia Macchi, Yara Gambirasio, Roberta Ragusa e Maria Sestina Arcuri e in tanti altri casi.

Matilda Borin

– Com’è morta la piccola Matilda Borin?

Matilda è morta in seguito ad uno shock emorragico da emoperitoneo secondario ad un trauma dorsale che le produsse multiple lacerazioni del fegato, la sezione del rene destro e una lesione del sinistro. L’errore è stato credere che quel trauma dorsale fosse stato prodotto da un calcio sferratole.

La piccola Matilda è morta invece in seguito ad un trauma da schiacciamento causato dalla pressione di un ginocchio sul suo dorso. 

All’esame autoptico furono riscontrate una lesione ecchimotico escoriativa complessa in sede dorsale, due ecchimosi grossolanamente simmetriche sulle spine iliache antero superiori, multiple escoriazioni sul lato sinistro del corpo, sulla bozza frontale sinistra, sul gomito sinistro, sul braccio e sull’avambraccio sinistro, la frattura della VII costa destra sulla linea ascellare posteriore con consensuale minima lacerazione pleurica ed intensa infiltrazione emorragica e un traumatismo delle coste dalla IX alla XII sinistre. 

La “lesione ecchimotico escoriativa complessa in sede dorsale” è compatibile con l’impronta di un ginocchio e non con quella di una scarpa o di un piede. E le “due ecchimosi grossolanamente simmetriche sulle spine iliache antero superiori” provano che la forza lesiva scaricata su Matilda non la spinse nel vuoto ma la schiacciò contro una superficie semirigida.

In poche parole, chi uccise Matilda le appoggiò il proprio ginocchio sul dorso e la schiacciò contro una superficie semirigida, poi la bambina cadde sul pavimento e si produsse “multiple escoriazioni sul lato sinistro del corpo, sulla bozza frontale sinistra, sul gomito sinistro, sul braccio e sull’avambraccio sinistro”. Subito dopo, l’omicida raccolse da terra la piccola prendendola sotto il braccio destro con la sola mano destra e, con la pressione del proprio pollice, le produsse “la frattura della VII costa posteriore destra sulla linea ascellare posteriore e la consensuale minima lacerazione pleurica”. La frattura costale non fu contestuale alla lesione dorsale che danneggiò gli organi addominali, né secondaria alle manovre rianimatorie, ma fu la conseguenza di un secondo fatto traumatico che seguì allo schiacciamento dorsale. All’esame autoptico si rilevò intorno alla frattura costale la presenza di una intensa infiltrazione emorragica, prova che il trauma precedette lo shock ipovolemico e l’arresto cardiaco e che quindi non fu causata dalle manovre rianimatorie che seguirono invece lo shock.

Lidia Macchi

 – Che errori hanno commesso gli inquirenti nel caso dell’omicidio di Lidia Macchi?

Una volta riaperto il caso Macchi, l’errore più grossolano fatto dagli inquirenti è stato quello di aver preso per buona la ricostruzione della dinamica omicidiaria elaborata da chi per primo si occupò del delitto. L’errata ricostruzione dei fatti ha viziato il caso perché ha condotto gli inquirenti ad attribuire all’assassino la lettera-poesia “IN MORTE DI UN’AMICA” recapitata ai familiari di Lidia il giorno del suo funerale e perché ha lasciato spazio all’ipotesi che l’aggressore si trovasse alla guida dell’auto di Lidia e che, quindi, fosse un suo conoscente. L’ipotesi più plausibile, che non solo si confà a tutte le risultanze investigative, ma che ricalca anche la casistica in tema di omicidi di questo tipo, è che Lidia e il suo assassino non si conoscessero e che fossero rimasti insieme pochissimi minuti, il tempo impiegato per raggiungere il bosco di Sass Pinin e quello della commissione del delitto. Chi uccise Lidia Macchi non si intrattenne con lei né per consumare un rapporto sessuale consenziente, né per violentarla sotto minaccia, né per agire atti sessuali post mortem. Lidia incontrò il suo assassino per caso e nulla lascia pensare che lo conoscesse. La Macchi fece sedere quello che si sarebbe poi rivelato il suo assassino sul sedile del passeggero, lo provano la posizione avanzata del sedile del guidatore e la dinamica dell’aggressione. Riguardo alla lettera poesia “IN MORTE DI UN’AMICA”, l’autore anonimo non solo non ha fornito informazioni riguardanti l’omicidio che non fossero note a tutti, ma ha mostrato di non conoscere né la dinamica omicidiaria, né il movente. Chi scrisse la lettera infatti, riguardo al movente, riportò l’ipotesi della prima ora diffusa dai familiari di Lidia e dai giornali, un’ipotesi errata.

Yara Gambirasio

 – E in quello di Yara Gambirasio?

E’ vero, come affermato dall’accusa, che il movente dell’omicidio di Yara Gambirasio è sessuale, ma Massimo Giuseppe Bossetti non si è mai sognato di avere un rapporto sessuale vero e proprio con la sua vittima. Bossetti non si esibì in avances sessuali e l’omicidio non seguì ad un rifiuto di Yara. Massimo Giuseppe Bossetti non si trovò a dover affrontare una situazione inaspettata, aveva infatti programmato, chissà da quanto tempo, ciò che mise in pratica il giorno in cui uccise la Gambirasio. Nessuna avance respinta scatenò l’omicidio, il vero movente fu il desiderio di seviziare la giovane Yara, un desiderio maturato nelle fantasie di Massimo Giuseppe Bossetti ed agito in un momento di stress dovuto ai suoi problemi lavorativi e al conflitto con sua moglie Marita. Una riprova della premeditazione è il fatto che Bossetti condusse con sé un coltello che usò solo nella seconda fase dell’omicidio e che non lasciò sulla scena criminis. 

Roberta Ragusa

– Nel caso Ragusa? 

Nella ricostruzione dei giudici manca un passaggio cruciale, il Logli, dopo le 23.50, dopo aver messo sua figlia a letto, andò in autoscuola, Roberta, che era a letto, si alzò, si mise le scarpe da tennis che usava in palestra e che non furono mai ritrovate e una giacca e seguì di nascosto il marito. Fu proprio nei locali dell’autoscuola che Roberta sentì parlare suo marito Antonio con l’amante, ma soprattutto lo sentì chiudere l’ultima telefonata a Sara con un “Ti amo, buonanotte”, una frase che il Logli pronunciò perché credette di essere solo, ne nacque logicamente una discussione e la povera Ragusa, decisa ad affrontare la rivale, uscì dall’autoscuola, percorse pochi metri, raggiunse la staccionata, la scavalcò e si incamminò nei campi per dirigersi a casa di Sara Calzolaio, che abitava poco distante.

Secondo i giudici: “La sorpresa e il terrore alimentati dalla recente esperienza, vissuta dalla donna come un tentativo di omicidio, non hanno consentito ad avviso di questa Corte che si sviluppasse tra i due alcuna discussione: non vi è stato alcun alterco, alcun litigio, alcun clamore, tanto è vero che neppure i figli sono stati svegliati o hanno percepito alcunché”. 

Non corrisponde al vero ciò che hanno scritto i giudici su questo punto, il Logli e sua moglie Roberta discussero per ben due volte quella notte:

a) la discussione iniziale tra Antonio e Roberta ebbe luogo dopo le 00.17 in autoscuola, per questo motivo i bambini non sentirono niente e come loro neanche il titolare della scuola di ballo che si trova sopra l’autoscuola perché se n’era andato poco prima. 

b) una seconda discussione impegnò i due coniugi in via Gigli, in quell’occasione un testimone, Loris Gozi, li udì. 

Il Logli non minacciò mai di morte sua moglie, una volta intercettatala in via Gigli, la convinse con le buone ad entrare in auto (la C3 di Roberta) probabilmente promettendole che l’avrebbe portata a casa di Sara Calzolaio per chiarire.

Fu Roberta ad alzare la voce e a sbattere con forza le portiere dell’auto per la rabbia. E’ Loris Gozi a confermarcelo in un’intervista: “Perché c’erano delle urla, la signora urlava, delle urla strazianti, forti. (…) Ho sentito solo urlare, ma forte, come una donna che urla fo… che urla forte”. Il Gozi sentì la voce di Roberta e non quella del Logli perché Antonio cercò di abbassare i toni, cercò di calmare sua moglie per convincerla a salire in auto in moda da condurla in una zona isolata e ucciderla, il Logli, infatti, non aveva alcun interesse a richiamare l’attenzione dei vicini proprio perché aveva deciso di uccidere la povera Roberta.

Sempre secondo i giudici: “La Ragusa, in preda al panico percependo il grave pericolo per la propria incolumità è semplicemente e istintivamente scappata, così come si trovava, senza mettere niente altro addosso, senza portare niente con sé, e proprio attraverso i campi, come indicato dalle tracce fiutale dai cani, per sottrarsi alla vista e al prevedibile inseguimento del marito di cui aveva paura. Una fuga per la strada pubblica non sarebbe stata funzionale a detto scopo, poiché sarebbe stata visibile e raggiungibile e quanto al chiamare i suoceri, si trattava di persone che la donna sentiva distanti, fredde e non tutelanti”.

E’ un errore pensare che Roberta abbia sentito il Logli parlare con l’amante mentre si trovava in casa e che, per paura del marito, fosse fuggita tra i campi. Roberta intraprese la via dei campi non perché era in preda al panico o per fuggire al Logli ma perché era intenzionata a raggiungere l’abitazione dell’amante del marito, Sara Calzolaio, e proprio perché si trovava in autoscuola, peraltro a pochi passi dalla staccionata che divide il parcheggio dell’autoscuola dai campi, non ebbe accesso alle chiavi della propria auto, che erano rimaste in casa. Ella infatti, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe usato l’auto a causa delle temperature particolarmente basse di quella notte, dell’orario e della fretta che aveva di chiarire con la Calzolaio. 

Il fatto che Roberta si sia allontanata a piedi è la riprova che la discussione tra lei e il marito si consumò in autoscuola e non in casa dove si trovavano le chiavi della sua C3.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa (…) e poi cambiando macchina Roberta, che è stata minacciata di morte, sta lì e m’aspetta cioè mmm è inverosimile, io credo che cosa più incredibile di questa non… non ci sia”. 

Secondo i giudici: “In concomitanza con tale sequenza temporale si colloca la formidabile deposizione del Gozi che inizialmente e consequenzialmente vede il Logli in posizione statica di attesa, circa nel luogo dal quale secondo la direzione intrapresa dalla fuggitiva, la donna avrebbe dovuto prima o poi sbucare dal campo. Questa prima scena così come descritta dai testi Loris Gozi e Anita Gombi, assume il valore di conferma e di decisivo significato indiziario: i testi descrivono una situazione insignificante e di per sé non allarmante, anzi neutra, ma probatoriamente preziosa, perché strettamente complementare e reattiva per tempistica e luogo ad eventi che si erano poco prima consumati tra altre persone, in altra sede e per ragioni a loro estranee. Il Logli ha consapevolezza di essere stato notato dal teste, che aveva un’auto vistosa a lui nota, per tale motivo rientra e cambia auto, che verrà notata dalla Latona posteggiala davanti a casa, in orario che, per quanto sopra detto trattando specificamente di tale indizio, non è affatto incompatibile con la deposizione Gozi, considerando la stretta prossimità dell’abitazione e il fatto che l’avvistamento successivo del Gozi è da collocarsi a circa venti minuti o mezz’ora dopo”.

Il Logli non cambiò auto perché fu visto all’interno della sua Ford Escort da Loris Gozi, come affermato dai giudici, non ne avrebbe infatti tratto alcun beneficio. Anzi, il fatto che il Gozi abbia potuto identificare non una ma due delle auto appartenenti alla famiglia Logli/Ragusa, in strada, quella sera, ha danneggiato Antonio Logli.

Purtroppo però inquirenti e magistrati hanno ignorato due fatti di rilievo:

a) una testimone vide il Logli pulire la strada nel punto dove aveva temporaneamente parcheggiato la sua Escort la notte della scomparsa della Ragusa e dove era stato notato dal Gozi;

b) la collaboratrice domestica di Roberta, Margherita Latona, ha sostenuto di aver visto il Logli pulire il vialetto di casa sua e proprio nel punto in cui la notte stessa della scomparsa di Roberta era parcheggiata la sua Escort.

In un’intervista, nel tentativo di sminuire il valore della dichiarazione della Latona agli inquirenti, il Logli ha detto: “Margherita Latona fece una telefonata, l’ho letto nelle carte, era affacciata allo stanzino del… dove io ho la lavatrice di casa e sotto di lei c’è uno stanzino dove tengo, diciamo, un ripostiglio, all’interno avevo una busta con della sabbia che uso per mettere nei commenti del piazzale dell’autoscuola, mentre prendo questa busta e giro per andare verso il piazzale in terra dei ragazzini avevano fatto quei disegni per fare il gioco che ci si salta dentro e mi sembravano brutti e io ho preso qualcosa e ho cominciato a grattare per vedere se lo potevo togliere, in realtà dopo poco mi so accorto che non ci facevo nulla le strisce, le righe che erano in terra son rimaste tali e quali”.

Con questa dichiarazione, il Logli ha aggiunto un tassello cruciale alla ricostruzione dei fatti della notte della scomparsa di Roberta Ragusa, ha affermato di aver usato la sabbia il giorno seguente. La sabbia è infatti la chiave di questo caso.

Loris Gozi vide Antonio Logli, in via Gigli, fermo dentro la sua Ford Escort station wagon a fari spenti tra le 00.30 e le 00.40.

La notte del 13 gennaio 2012 la domestica vide la Ford Escort del Logli parcheggiata nel vialetto poco dopo le 00.40.

La notte dell’omicidio, Antonio Logli danneggiò il contenitore del filtro del gasolio della sua Ford Escort station wagon ed il giorno dopo pulì sia la strada che il vialetto per nascondere le tracce del fatto che la sua macchina la notte precedente aveva stazionato in quei due luoghi.

Il Logli, la notte dell’omicidio, maturò l’idea di uccidere sua moglie mentre si trovava in strada all’interno della sua Ford Escort station wagon e cambiò macchina non perché lo vide il Gozi, come erroneamente affermato dai giudici nelle motivazioni della sentenza, ma per non rischiare che l’auto danneggiata, ovvero la sua Escort, lo lasciasse a piedi in una delle fasi dell’omicidio e dell’occultamento del corpo di Roberta.

Antonio Logli, dopo essersi accorto del guasto, riportò a casa la Ford Escort, la parcheggiò nel vialetto, dove non era solito lasciarla e dove la vide la collaboratrice domestica, Margherita Latona, e uscì di nuovo, questa volta con la Citroen (C3) di Roberta. 

E’ logico inferire che il Logli non avrebbe perso tempo a riempire con la sabbia i commenti del piazzale dell’autoscuola nel caso fosse stato preoccupato per la scomparsa di Roberta tantomeno nel caso l’avesse uccisa, pertanto si può concludere che abbia usato la sabbia per asciugare il gasolio colato dalla sua auto sulla pavimentazione del vialetto. 

Il Logli pulì la strada ed il vialetto di casa sua per il timore che la perdita di gasolio lo tradisse, posto che era la riprova che la sera della scomparsa della moglie lui si trovava in via Gigli in auto e non a letto. Per questo stesso motivo, pur sapendola danneggiata, usò la propria auto per raggiungere il cimitero al mattino dopo, lo fece per lasciare la Ford Escort a debita distanza da casa, per evitare che qualcuno notasse che perdeva gasolio e che quindi quella perdita accreditasse il racconto dei testimoni per la presenza di chiazze di gasolio nei luoghi dove la sua auto era stata ferma quella notte.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati, ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa, poi dopo, siccome io sarei stato visto, ho cambiato macchina, cioè cosa sarebbe cambiato cambiando macchina? Se m’hai visto, m’hai visto”. 

Secondo i giudici: “A tale proposito vengono citate le dichiarazioni rese da un amico dell’imputato (…) propose di fare un giro in macchina transitando dai due cimiteri ove erano seppelliti i genitori della Ragusa. Saliti sulla Ford di proprietà dell’imputato e giunti al cimitero  di Pisa, si constatò tuttavia che il motore dell’auto non si avviava, nonostante l’imputato provasse a caricare il circuito di alimentazione del gasolio con l’apposita pompa del vano motore.  A quel punto veniva chiamato il padre dell’imputato che giungeva dopo circa 15/20 minuti e li riaccompagnava a casa (…) A tale proposito affermava che la problematica al  motore dell’auto, a dire dell’imputato si verificava frequentemente e che egli stesso, guardando il  vano motore, notava che il contenitore del filtro del gasolio era avvolto in una pellicola trasparente del tipo da cucina”.

E’ in questo stralcio di motivazioni la conferma del fatto che il Logli si era accorto, ben prima di giungere al cimitero, che il contenitore del filtro era rotto, lo aveva infatti già rivestito con la pellicola da cucina. 

Secondo i giudici: “Il delitto non era certo stato programmato per quella data e in quella occasione, come attestano le circostanze accertate e finanche la mancanza da parte del Logli della possibilità di approntare e addurre più adeguate e logiche circostanze della scomparsa della moglie e di costruire un albi più solido a suo favore, ma tuttavia proprio dal mancato ritrovamento del corpo si deve escludere che si sia trattalo di dolo d’impeto.

In qualunque modo ne abbia cagionato la morte, il mancato rinvenimento del corpo nonostante le già illustrate massicce ricerche, e a prescindere dalla circostanza tecnica che non sia stata contestata la premeditazione, indica chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie, significativamente e a ragion veduta temuta dalla povera Ragusa, ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi. La notte dei fatti invece la situazione è precipitata, con la scoperta da parte della Ragusa, sorpresa a sua volta dal marito e la immediata resa dei conti culminata nel terrore e nella fuga della donna raggiunta e coattivamente trattenuta, e nella sua soppressione. Insomma la mancata scoperta del corpo e delle modalità esecutive dell’omicidio qualificano in modo vieppiù negativo la personalità dell’autore e la sua capacità criminosa, la freddezza nell’ideazione, la precisione nell’esecuzione, e infine l’efficacia nella soppressione del corpo”.

I cadaveri si trovano più spesso per caso che durante le ricerche, pertanto è proprio la casistica ad indurci a dubitare che il fatto che il corpo di Roberta Ragusa non sia stato ritrovato indichi “chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie (…) ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi”. 

Ed è proprio il modo in cui il Logli tentò di uccidere Roberta, ovvero facendola cadere dalle scale, che ci permette di escludere che, prima della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, lo stesso avesse pensato ad un luogo dove occultarne il corpo.

Il Logli pensò al luogo dove avrebbe potuto occultarne il corpo (lo stesso luogo dove la uccise) mentre si trovava all’interno della sua Ford Escort quella stessa notte, in precedenza aveva pensato di sopprimerla simulando un incidente. In altre parole, il Logli non era preparato al susseguirsi degli eventi della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012.

Ronciglione. Le scale esterne d’accesso alla casa della nonna materna di Andrea Landolfi Cudia

 – Nel caso dell’omicidio di Maria Sestina Arcuri?

Lo abbiamo trattato di recente. Maria Sestina non è caduta dalle scale interne dell’appartamento di Mirella Iezzi ma da quelle esterne. Le lesioni che ha riportato (ferita dall’occipite fino alla sommità del capo causata dall’impatto con una superficie piatta e lesione estesa sulla schiena) sono compatibili con l’impatto del suo corpo con il suolo o con il pianerottolo che si trova tra le due rampe di scale esterne con il corrimano in ferro, corrimano contro il quale, dopo la caduta di Maria Sestina, Andrea Landolfi scaraventò sua nonna procurandole la frattura di 3 coste. Peraltro, subito dopo la caduta di Maria Sestina, proprio perché i fatti si consumarono all’esterno dell’appartamento della Iezzi, i vicini sentirono Andrea Landolfi dire: “Zitta, stai zitta, ti ho detto. Stronza, piantala”.

– Dottoressa Franco, perché la maggior parte della gente si affeziona alle sciocchezze divulgate da stampa e tv spazzatura e snobba la verità anche quando i fatti parlano chiaro?

Perché la gente è incapace di ammettere di essersi lasciata intortare e desidera salvare l’onore del proprio “infallibile intuito” e così, invece di riconoscere i propri limiti, si ingegna su come ridicolizzare la verità e chi se ne fa portavoce. E vissero tutti felici e contenti… Ah, a proposito, per ricostruire i fatti e risolvere un caso servono competenze, non un “infallibile intuito”. L’intuito è il paravento di chi non ha investito nella propria formazione ed è equiparabile alle capacità che millantano di avere i cosiddetti “sensitivi”. Buon lockdown a tutti.

CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: INDIZI E PROVE NON SI TROVANO SOTTO L’ALBERO DI NATALE

Mohammed Barbri e sua moglie Samira

Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. La Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

Le Cronache Lucane, 3 gennaio 2020

– Dottoressa Franco, che cosa manca a molte procure italiane?

Mancano pubblici ministeri competenti, che sappiano interrogare, che conoscano la casistica, che abbiano come unico goal la verità e che sappiano ammettere i propri errori.

– Dottoressa Franco, se le procure si servissero di esperti in Statement Analysis, che vantaggi ne avrebbero?

Se i magistrati si servissero di esperti capaci di condurre ed analizzare gli interrogatori, le procure saprebbero chi indagare, avrebbero materiale utile per ricostruire i fatti ed acquisire le prove. I costi delle indagini (che gravano sui contribuenti) si ridurrebbero enormemente e si eviterebbero grossolani errori giudiziari.

– Ci spieghi meglio.

Un esperto in Statement Analysis è capace di individuare i soggetti che non non dico il vero e, quand’anche dissimulino, di ricostruire i fatti. Solo ricostruendo i fatti relativi ad un caso giudiziario si possono individuare indizi e prove. Le faccio un esempio: analizzando le interviste di Antonio Logli, la procura di Pisa avrebbe potuto ricostruire senza smagliature i fatti che hanno condotto all’omicidio di Roberta Ragusa e invece gli errori nella ricostruzione commessi dall’accusa e dai giudici hanno dato spazio alla difesa. L’errore più grosso è stato quello di ignorare le dichiarazioni dell’amico del marito che disse che a poche ore dalla scomparsa di Roberta si era accorto che il filtro del gasolio della Ford Escort del Logli era foderato di pellicola da cucina. La notte dell’omicidio, Antonio Logli danneggiò il contenitore del filtro del gasolio della sua Ford Escort station wagon ed il giorno dopo pulì sia la strada che il vialetto per nascondere le tracce del fatto che la sua macchina la notte precedente aveva stazionato in quei due luoghi. Per questo stesso motivo, pur sapendola danneggiata, usò la propria auto per raggiungere il cimitero al mattino dopo; lo fece per lasciare la Ford Escort a debita distanza da casa, per evitare che qualcuno notasse che perdeva gasolio e che quindi quella perdita accreditasse il racconto dei testimoni. Se la procura avesse ricostruito a dovere gli eventi di quella notte avrebbe potuto indagare sull’eventuale acquisto di un filtro del gasolio e sulla sua sostituzione.

 – Samira El Attar, una badante marocchina di 43 anni è scomparsa da casa a metà ottobre, la donna ha lasciato una bimba di 4 anni all’asilo poco prima di svanire nel nulla, dal primo gennaio, di suo marito, Mohammed Barbri, 39 anni, un bracciante agricolo, anch’egli marocchino, già indagato per l’omicidio di sua moglie si sono perse le tracce, c’è chi dice che la procura non fosse in possesso di indizi tali da poter richiedere la misura cautelare in carcere, lei che ne pensa?

In generale, indizi e prove vanno cercati dopo aver ricostruito i fatti, non si trovano per caso sotto l’albero di Natale. Non esistono delitti perfetti, esistono soltanto indagini mal condotte.

Riguardo a questo caso in particolare, non ho abbastanza materiale per esprimermi, le interviste rilasciate da Mohammed Barbri sono difficilmente analizzabili in quanto sono andate in onda in maniera frammentata, ma posso garantirle che il primo errore è stato commesso nel momento in cui sono state trascritte le parole del Barbri nella denuncia di scomparsa di Samira. Quelle agli atti non possono essere le sue precise parole, eppure, la registrazione di una telefonata di soccorso, la denuncia di scomparsa, le intercettazioni e gli interrogatori di un indagato sono tutti egualmente utili per individuarne eventuali responsabilità.

– Dottoressa, vogliamo ricordare ai lettori le sue parole di un anno fa su un caso che sta per essere archiviato come morte accidentale: “Smettete di speculare su una morte accidentale. Non ci si inventa criminologi, servono competenze e conoscenza della casistica per esprimersi su un caso giudiziario. Non solo certe inferenze da profani espongono i loro autori al ridicolo ma danneggiano la vita del signor Giorgio Del Zoppo e impediranno ai familiari di Mattia Mingarelli di farsi una ragione della morte accidentale del loro caro”.

Certi conduttori e certi opinionisti non solo non sanno di non sapere ma odiano il loro prossimo e, poi, è allo share che guardano certe trasmissioni televisive, non alla verità.

OMICIDIO DI ROBERTA RAGUSA, MOTIVAZIONI CASSAZIONE, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: ANTONIO LOGLI COLPEVOLE, MA ERRORI NELLA RICOSTRUZIONE DEI FATTI

Dr. Ursula Franco

Le Cronache Lucane, 4 dicembre 2019

– Dottoressa Franco, ha letto le motivazioni della sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, che ne pensa?

Certamente e sono d’accordo con le conclusioni, Antonio Logli ha ucciso sua moglie, ma non posso non notare che i fatti che condussero all’omicidio della Ragusa non sono mai stati ricostruiti a dovere, eppure la ricostruzione dei fatti è il fulcro sul quale ruota un caso giudiziario e dovrebbe essere una priorità, perché solo ricostruendoli in modo impeccabile è possibile attribuire eventuali responsabilità o escludere il coinvolgimento di un indagato.

– Dottoressa Franco, che errori sono stati fatti nella ricostruzione degli eventi che condussero alla morte della Ragusa? 

Prendo spunto dalla ricostruzione fatta dai giudici dell’Appello per segnalarle alcuni errori.

Secondo i giudici: “La notte della scomparsa la donna (Roberta Ragusa) è in tenuta da notte, intenta a sbrigare incombenze ordinarie, pronta ad andare a letto, il Logli è invece in soffitta a parlare con l’amante impegnato in tre successive conversazioni telefoniche l’ultima delle quali iniziata alle ore 00:17, si interrompe in pochi secondi”.

E’ vero che il Logli la notte della scomparsa di sua moglie Roberta fece tre telefonate all’amante, Sara Calzolaio:

a) una prima telefonata di 42 minuti che iniziò alle 23.08 e terminò alle 23.50;

b) una seconda telefonata di 20 minuti che iniziò alle 23.56 e terminò alle 00.16;

c) una terza telefonata di soli 17 secondi che iniziò alle 00.17,

ma non corrisponde al vero che Antonio Logli abbia fatto tutte e tre le telefonate a Sara dalla soffitta.

Di sicuro il Logli fece la prima telefonata all’amante mentre lo stesso si trovava in soffitta, è stata la stessa Sara Calzolaio a riferire agli inquirenti di aver sentito le voci dei bambini durante quella prima telefonata e che il Logli le aveva confidato di essere in soffitta. Dopo la fine di quella telefonata però, ovvero dopo le 23.50, Antonio Logli prelevò sua figlia dal letto matrimoniale e la mise nel lettino e poi lo stesso si recò in autoscuola e da lì fece le altre due telefonate. Chiamò nuovamente Sara alle 23.56 e infine alle 00.17 per un’ultimo saluto affettuoso.

Una ricostruzione confermata dal Logli in un’intervista: “Abbiamo cenato eeee i bambini sono andati a lettooo un po’ più tardi del solito, verso le 11.00, ioooo ho fatto… mmm… delle cose che avevo da fare qui, ho messo a posto della roba in soffitta, sono andato all’autoscuola”.

Inoltre, non è vero ciò che sostengono i giudici, ovvero che Roberta, intorno alle 23.50, al termine della prima telefonata, fosse “intenta a sbrigare incombenze ordinarie, pronta ad andare a letto”; la Ragusa, quando il Logli scese dalla soffitta e prelevò sua figlia dal letto matrimoniale, si trovava nel letto al fianco della bambina, lo prova il fatto che il suo telefonino, al mattino dopo, venne ritrovato sul comodino.

Il Logli, su questo punto, in una delle prime interviste, si è tradito: “(…) e poi la sera siamo andati in casa, abbiamo mangiato e come le altre sere, no, veramente, no, come le altre sere, sono andato a letto un pochino prima io di lei”, in pratica ha riferito alla giornalista che, come le altre sere, Roberta era andata a letto prima di lui e poi si è corretto dicendo che, a differenza dal solito, era andato a letto “un pochino prima” della moglie, peraltro lasciando intendere di essere a conoscenza dell’orario e del fatto che Roberta andò a letto quella sera.

Sempre secondo i giudici: “Il Logli quindi non è a letto, come da lui falsamente dichiarato, è sveglio, ha contezza di dove sia la moglie e assiste anche alla sua fuga, avvenuta in prossimità di questo orario: da tali fatti si evince con chiarezza che la donna si è allontanata in tenuta da notte sotto l’influsso di un’enorme emozione e paura che non può che essere dipesa dalla scoperta definiva dell’identità dell’amante con la qual il marito si intratteneva. Ad avviso di questa Corte la Ragusa, resa più sospettosa e guardinga dagli eventi dei giorni precedenti aveva cercato di comprendere, forse spiando, come aveva fatto già nella precedente occasione, con chi il marito si intrattenesse, finendo viceversa con l’essere essa stessa scoperta. In altri termini la Ragusa, allarmata, in stato di allerta ma ansiosa di raggiungere la verità fino ad allora sfuggita, deve essersi posta in stato di vigilanza, spiando le mosse del marito e cercando di carpirne i dialoghi, fino ad essere essa stessa scoperta: una reciproca sorpresa in flagranza con un istantaneo e terribile faccia a faccia tra i coniugi, rivelatore della scoperta della reciproca raggiunta, consapevolezza”.

Nella ricostruzione dei giudici manca poi un passaggio cruciale, il Logli, dopo le 23.50, dopo aver messo sua figlia a letto, andò in autoscuola; Roberta, che era a letto, si alzò, si mise le scarpe da tennis che usava in palestra e che non furono mai ritrovate e una giacca e seguì di nascosto il marito. Fu proprio nei locali dell’autoscuola che Roberta sentì parlare suo marito Antonio con l’amante, ma soprattutto lo sentì chiudere l’ultima telefonata a Sara con un “Ti amo, buonanotte”, una frase che il Logli pronunciò perché credeva di essere solo, ne nacque logicamente una discussione e la povera Ragusa, decisa ad affrontare la rivale, uscì dall’autoscuola, percorse pochi metri, raggiunse la staccionata, la scavalcò e si incamminò nei campi per dirigersi a casa di Sara Calzolaio che abitava poco distante.

Sempre secondo i giudici dell’Appello: “La sorpresa e il terrore alimentati dalla recente esperienza, vissuta dalla donna come un tentativo di omicidio, non hanno consentito ad avviso di questa Corte che si sviluppasse tra i due alcuna discussione: non vi è stato alcun alterco, alcun litigio, alcun clamore, tanto è vero che neppure i figli sono stati svegliati o hanno percepito alcunché”. 

Ed invece, il Logli e sua moglie Roberta discussero per ben due volte quella notte:

a) la discussione iniziale tra Antonio e Roberta ebbe luogo dopo le 00.17 in autoscuola, per questo motivo i bambini non sentirono niente e come loro neanche il titolare della scuola di ballo che si trova sopra l’autoscuola perché se n’era andato poco prima. 

b) una seconda discussione impegnò i due coniugi in via Gigli, in quell’occasione un testimone, Loris Gozi, li udì. 

Il Logli non minacciò mai di morte sua moglie, una volta intercettatala in via Gigli, la convinse con le buone ad entrare in auto (la C3 di Roberta). Probabilmente il Logli le promise che l’avrebbe portata a casa di Sara Calzolaio per chiarire.

Fu Roberta ad alzare la voce e a sbattere con forza le portiere dell’auto per la rabbia. E’ Loris Gozi a confermarcelo in un’intervista: “Perché c’erano delle urla, la signora urlava, delle urla strazianti, forti. (…) Ho sentito solo urlare, ma forte, come una donna che urla fo… che urla forte”. Il Gozi sentì la voce di Roberta e non quella del Logli perché Antonio cercò di abbassare i toni, cercò di calmare sua moglie per convincerla a salire in auto in moda da condurla in una zona isolata e ucciderla, il Logli, infatti, non aveva alcun interesse a richiamare l’attenzione dei vicini proprio perché aveva deciso di uccidere la povera Roberta.

Sempre secondo i giudici: “La Ragusa, in preda al panico percependo il grave pericolo per la propria incolumità è semplicemente e istintivamente scappata, così come si trovava, senza mettere niente altro addosso, senza portare niente con sé, e proprio attraverso i campi, come indicato dalle tracce fiutale dai cani, per sottrarsi alla vista e al prevedibile inseguimento del marito di cui aveva paura. Una fuga per la strada pubblica non sarebbe stata funzionale a detto scopo, poiché sarebbe stata visibile e raggiungibile e quanto al chiamare i suoceri, si trattava di persone che la donna sentiva distanti, fredde e non tutelanti”.

E’ un errore pensare che Roberta abbia sentito il Logli parlare con l’amante mentre si trovava in casa e che, per paura del marito, fosse fuggita tra i campi. Roberta intraprese la via dei campi non perché in preda al panico o per fuggire al Logli ma perché era intenzionata a raggiungere l’abitazione dell’amante del marito, Sara Calzolaio, e proprio perché si trovava in autoscuola, peraltro a pochi passi dalla staccionata che divide il parcheggio dell’autoscuola dai campi, non ebbe accesso alle chiavi della propria auto, che erano rimaste in casa. Ella, infatti, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe usato l’auto a causa delle temperature particolarmente rigide di quella notte, dell’orario e della fretta che aveva di chiarire con la Calzolaio. 

Il fatto che Roberta si sia allontanata a piedi è la riprova che la discussione tra lei e il marito si consumò in autoscuola e non in casa dove si trovavano le chiavi della sua C3.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati, ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa (…) e poi cambiando macchina Roberta, che è stata minacciata di morte, sta lì e m’aspetta cioè mmm è inverosimile, io credo che cosa più incredibile di questa non… non ci sia”. 

Secondo i giudici: “In concomitanza con tale sequenza temporale si colloca la formidabile deposizione del Gozi che inizialmente e consequenzialmente vede il Logli in posizione statica di attesa, circa nel luogo dal quale secondo la direzione intrapresa dalla fuggitiva, la donna avrebbe dovuto prima o poi sbucare dal campo. Questa prima scena così come descritta dai testi Loris Gozi e Anita Gombi, assume il valore di conferma e di decisivo significato indiziario: i testi descrivono una situazione insignificante e di per sé non allarmante, anzi neutra, ma probatoriamente preziosa, perché strettamente complementare e reattiva per tempistica e luogo ad eventi che si erano poco prima consumati tra altre persone, in altra sede e per ragioni a loro estranee. Il Logli ha consapevolezza di essere stato notato dal teste, che aveva un’auto vistosa a lui nota, per tale motivo rientra e cambia auto, che verrà notata dalla Latona posteggiala davanti a casa, in orario che, per quanto sopra detto trattando specificamente di tale indizio, non è affatto incompatibile con la deposizione Gozi, considerando la stretta prossimità dell’abitazione e il fatto che l’avvistamento successivo del Gozi è da collocarsi a circa venti minuti o mezz’ora dopo”.

Il Logli non cambiò auto perché fu visto all’interno della sua Ford Escort da Loris Gozi, come affermato dai giudici, non ne avrebbe infatti tratto alcun beneficio. Anzi, il fatto che il Gozi abbia potuto identificare non una ma due delle auto appartenenti alla famiglia Logli/Ragusa, in strada, quella sera, ha danneggiato Antonio Logli.

Purtroppo però inquirenti e magistrati hanno ignorato due fatti di rilievo:

a) una testimone vide il Logli pulire la strada nel punto dove aveva temporaneamente parcheggiato la sua Escort la notte della scomparsa della Ragusa e dove era stato notato dal Gozi;

b) la collaboratrice domestica di Roberta, Margherita Latona, ha sostenuto di aver visto il Logli pulire il vialetto di casa sua e proprio nel punto in cui la notte stessa della scomparsa di Roberta era parcheggiata la sua Escort.

In un’intervista, nel tentativo di sminuire il valore della dichiarazione della Latona agli inquirenti, il Logli ha detto: “Margherita Latona fece una telefonata, l’ho letto nelle carte, era affacciata allo stanzino del… dove io ho la lavatrice di casa e sotto di lei c’è uno stanzino dove tengo, diciamo, un ripostiglio, all’interno avevo una busta con della sabbia che uso per mettere nei commenti del piazzale dell’autoscuola, mentre prendo questa busta e giro per andare verso il piazzale in terra dei ragazzini avevano fatto quei disegni per fare il gioco che ci si salta dentro e mi sembravano brutti e io ho preso qualcosa e ho cominciato a grattare per vedere se lo potevo togliere, in realtà dopo poco mi so accorto che non ci facevo nulla le strisce, le righe che erano in terra son rimaste tali e quali”.

Con questa dichiarazione, il Logli ha aggiunto un tassello cruciale alla ricostruzione dei fatti della notte della scomparsa di Roberta Ragusa, ha affermato di aver usato la sabbia il giorno seguente.

Loris Gozi vide Antonio Logli, in via Gigli, fermo dentro la sua Ford Escort station wagon a fari spenti tra le 00.30 e le 00.40.

La notte del 13 gennaio 2012 la domestica vide la Ford Escort del Logli parcheggiata nel vialetto poco dopo le 00.40.

La sabbia è la chiave del caso. 

La notte dell’omicidio, Antonio Logli danneggiò il contenitore del filtro del gasolio della sua Ford Escort station wagon ed il giorno dopo pulì sia la strada che il vialetto per nascondere le tracce del fatto che la sua macchina la notte precedente aveva stazionato in quei due luoghi.

Il Logli, la notte dell’omicidio, maturò l’idea di uccidere sua moglie mentre si trovava in strada all’interno della sua Ford Escort station wagon e cambiò macchina non perché lo vide il Gozi, come erroneamente affermato dai giudici nelle motivazioni della sentenza, ma per non rischiare che l’auto danneggiata, ovvero la sua Escort, lo lasciasse a piedi in una delle fasi dell’omicidio e dell’occultamento del corpo di Roberta.

Antonio Logli, dopo essersi accorto del guasto, riportò a casa la Ford Escort, la parcheggiò nel vialetto, dove non era solito lasciarla e dove la vide la collaboratrice domestica, Margherita Latona, e uscì di nuovo, questa volta con la Citroen (C3) di Roberta. 

E’ logico inferire che il Logli non avrebbe perso tempo a riempire con la sabbia i commenti del piazzale dell’autoscuola sia nel caso fosse stato preoccupato per la scomparsa di Roberta sia nel caso l’avesse uccisa, pertanto si può concludere che abbia usato la sabbia per asciugare il gasolio colato dalla sua auto sulla pavimentazione del vialetto. 

Il Logli pulì la strada ed il vialetto di casa sua per il timore che la perdita di gasolio lo tradisse, posto che era la riprova che la sera della scomparsa della moglie lui si trovava in via Gigli in auto e non a letto. Per questo stesso motivo, pur sapendola danneggiata, usò la propria auto per raggiungere il cimitero al mattino dopo, lo fece per lasciare la Ford Escort a debita distanza da casa, per evitare che qualcuno notasse che perdeva gasolio e che quindi quella perdita accreditasse il racconto dei testimoni per la presenza di chiazze di gasolio nei luoghi dove la sua auto era stata ferma quella notte.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati, ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa, poi dopo, siccome io sarei stato visto, ho cambiato macchina, cioè cosa sarebbe cambiato cambiando macchina? Se m’hai visto, m’hai visto”. 

Secondo i giudici: “A tale proposito vengono citate le dichiarazioni rese da un amico dell’imputato (…) propose di fare un giro in macchina transitando dai due cimiteri ove erano seppelliti i genitori della Ragusa. Saliti sulla Ford di proprietà dell’imputato e giunti al cimitero  di Pisa, si constatò tuttavia che il motore dell’auto non si avviava, nonostante l’imputato provasse a caricare il circuito di alimentazione del gasolio con l’apposita pompa del vano motore.  A quel punto veniva chiamato il padre dell’imputato che giungeva dopo circa 15/20 minuti e li riaccompagnava a casa (…) A tale proposito affermava che la problematica al  motore dell’auto, a dire dell’imputato si verificava frequentemente e che egli stesso, guardando il  vano motore, notava che il contenitore del filtro del gasolio era avvolto in una pellicola trasparente del tipo da cucina”.

E’ in questo stralcio di motivazioni la conferma del fatto che il Logli si era accorto, ben prima di giungere al cimitero, che il contenitore del filtro era rotto, lo aveva infatti già rivestito con la pellicola da cucina.

Secondo i giudici: “Il delitto non era certo stato programmato per quella data e in quella occasione, come attestano le circostanze accertate e finanche la mancanza da parte del Logli della possibilità di approntare e addurre più adeguate e logiche circostanze della scomparsa della moglie e di costruire un albi più solido a suo favore, ma tuttavia proprio dal mancato ritrovamento del corpo si deve escludere che si sia trattalo di dolo d’impeto.

In qualunque modo ne abbia cagionato la morte, il mancato rinvenimento del corpo nonostante le già illustrate massicce ricerche, e a prescindere dalla circostanza tecnica che non sia stata contestata la premeditazione, indica chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie, significativamente e a ragion veduta temuta dalla povera Ragusa, ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi. La notte dei fatti invece la situazione è precipitata, con la scoperta da parte della Ragusa, sorpresa a sua volta dal marito e la immediata resa dei conti culminata nel terrore e nella fuga della donna raggiunta e coattivamente trattenuta, e nella sua soppressione. Insomma la mancata scoperta del corpo e delle modalità esecutive dell’omicidio qualificano in modo vieppiù negativo la personalità dell’autore e la sua capacità criminosa, la freddezza nell’ideazione, la precisione nell’esecuzione, e infine l’efficacia nella soppressione del corpo”.

I cadaveri si trovano più spesso per caso che durante le ricerche, pertanto è proprio la casistica ad indurci a dubitare che il fatto che il corpo di Roberta Ragusa non sia stato ritrovato indichi “chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie (…) ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi”. 

Ed è proprio il modo in cui il Logli tentò di uccidere Roberta, ovvero facendola cadere dalle scale, che ci permette di escludere che, prima della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, lo stesso avesse pensato ad un luogo dove occultarne il corpo.

Il Logli pensò al luogo dove avrebbe potuto occultarne il corpo (lo stesso luogo dove la uccise) mentre si trovava all’interno della sua Ford Escort quella stessa notte, in precedenza aveva pensato di sopprimerla simulando un incidente. In altre parole, il Logli non era preparato al susseguirsi degli eventi della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012. 

– Secondo i giudici della Cassazione “La Corte di Assise di appello ha superato l’obiezione difensiva, richiamando un consolidato insegnamento giurisprudenziale, riferibile anche al caso di specie, secondo il quale, l’indisponibilità del corpo senza vita della Ragusa non consente di accertare con quale mezzo la stessa sia stata soppressa, ma rafforza ancor più il quadro indiziario, perché, diversamente, il cadavere sarebbe stato ritrovato nel corso delle ricerche condotte a lungo”, dottoressa Franco, che ne pensa?

Peccato che questo consolidato insegnamento giurisprudenziale non sia stato applicato nel caso Buoninconti Ceste, le ricordo infatti che non solo il corpo di Elena Ceste è stato ritrovato a poche centinaia di metri da casa ma era anche privo di lesioni riferibili ad una causa di morte violenta.

La criminologa Ursula Franco analizza la lettera inviata a Quarto Grado da Antonio Logli dopo la sentenza della Cassazione

Antonio Logli

Le Cronache Lucane, 9 ottobre 2019

Intorno alle 23.00 del 10 luglio 2019, la Corte suprema di Cassazione ha confermato la condanna a 20 anni per omicidio volontario e distruzione di cadavere per Antonio Logli. Il Logli ha ucciso sua moglie Roberta Ragusa nella notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012 a Gello di San Giuliano Terme, Pisa. Dopo la sentenza definitiva, Antonio Logli ha inviato la seguente missiva alla trasmissione Quarto Grado:

“Cari Gianluigi Nuzzi e Francesca Carollo, come state? spero di trovarvi bene. Vi ringrazio di dare voce alle mie parole. Come sapete la mia condanna è divenuta definitiva. E questa condanna, tremendamente ingiusta, ha scatenato in me, in quanto innocente, una rabbia profonda. Ma soprattutto ha condannato i miei figli a dover vivere senza il loro padre. Una giustizia che sorda è andata a senso unico e non ha voluto ascoltare ben due testimoni: Filippo Campisi e Cinzia Palagi che hanno urlato a gran voce le loro testimonianze. Il primo ha visto Roberta uscire dal cancellino di casa la sera della sua scomparsa, salire su un SUV di colore scuro con a bordo un uomo e dirigersi verso Pisa mentre l’altra l’ha vista il giorno dopo al supermercato E.Leclerc Conad di Madonna dell’Acqua. Sono stato condannato per quello che ho detto, per quello che non ho detto, per le espressioni del mio viso. Qualunque cosa abbia o non abbia fatto è servita per condannarmi. Ero stato condannato da tutti già prima dei processi anche grazie alle false notizie dei giornali e delle tv. Nessuno mi ha mai valutato per ciò che sono: un padre affettuoso che ama i propri figli, un marito che seppure innamorato già da tempo di un’altra donna vuole bene alla madre dei propri figli e la difenderebbe a costo della propria vita, da tutto e da tutti. Non auguro a nessuno ciò che ho subito insieme alla mia famiglia da quando è scomparsa Roberta: adesso sono detenuto in carcere ingiustamente e prego Dio ogni giorno intensamente perché Lui vede e provvede. Vivo questa terribile esperienza a testa alta, con la serenità di chi è innocente. E vi garantisco che lotterò con tutto me stesso fino a quando avrò vita per dimostrare la mia innocenza. Vi saluto con stima. Antonio“.

Abbiamo chiesto alla dottoressa Ursula Franco, esperta in Statement Analysis, di analizzare la lettera di Antonio Logli. Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis, si occupa soprattutto di morti accidentali e incidenti scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto.

In Statement Analysis partiamo dal presupposto che chi parla sia innocente de facto e che parli per essere compreso. Negare in modo credibile è gratis eppure il Logli non è stato capace di scrivere “Io non ho ucciso Roberta, sto dicendo la verità”. In questa missiva, il Logli ha fatto riferimento alla sua innocenza ma dirsi “innocente” non equivale a negare l’atto omicidiario.

Si faccia caso alla parola “anche” presente nella seguente frase “Ero stato condannato da tutti già prima dei processi anche grazie alle false notizie dei giornali e delle tv”. “anche” ci rivela che Antonio Logli è cosciente del fatto che, oltre alle false notizie, c’è altro che ha condotto alla sua condanna.

“Nessuno mi ha mai valutato per ciò che sono: un padre affettuoso che ama i propri figli, un marito che seppure innamorato già da tempo di un’altra donna vuole bene alla madre dei propri figli e la difenderebbe a costo della propria vita, da tutto e da tutti” sono parole di un soggetto che desidera convincere i suoi interlocutori che è una brava persona, un atteggiamento indicativo del fatto che il soggetto che parla è incapace di prendersi le proprie responsabilità. Si tratta di un fenomeno detto “Gnostic Split”: il soggetto si dissocia creando un altro da sé che sarebbe incapace di uccidere e proprio il fatto che senta il bisogno di fare ricorso a questo escamotage ci rivela la sua colpa.