MALKE CRIME NOTES

MALKE CRIME NOTES

Quel “sogno d’amore” letale che uccise la prof Gloria Rosboch

Quattro anni fa la professoressa Gloria Rosboch veniva strangolata e gettata in una cisterna. “Un sogno d’amore finito in truffa sentimentale”, spiega a ilGiornale.it la psicoterapeuta Amalia Prunotto

Il Giornale, 19 gennaio 2021

Il 19 febbraio del 2016, all’interno di una vasca di scolo a Rivara, in località Rossetti nel Canavese, viene rinvenuto il corpo senza vita di una donna. Si tratta di Gloria Rosboch, insegnante 49enne di Castellamonte (Torino), della quale si erano perse le tracce dal 13 gennaio. La vittima era stata gettata in un pozzo da Gabriele Defillippi, ex studente di 22 anni, che aveva estorto alla professoressa circa 187mila euro con la promessa mendace di un futuro insieme ad Antibes in Costa Azzurra, per poi ammazzarla.

Una truffa sentimentale, giunta a conclusione con un epilogo drammatico, a cui ha partecipato anche il compagno di Gabriele, il 53enne Roberto Obert.

Ma cos’è una truffa affettiva? “Una forma di adescamento che avviene attraverso i social in cui le vittime si ritrovano, in maniera del tutto inconsapevole, in una condizione di plagio nei confronti di uno o più manipolatori. Cadono in una vera e propria truffa finanziaria, arrivando a perdere anche ingenti forme di danaro nel tentativo di procurarsi un sogno d’amore”, spiega a ilGiornale.it la psicoterapeuta Amalia Prunotto del Movimento Acta (Azione Contro Truffe Affettive). Nel caso della professoressa Rosboch, quel “sogno d’amore” si è tramutato nel peggiore degli incubi pensabili.

“Defilippi, prima di truffare e uccidere Gloria Rosboch, ha ricattato altre donne, le ha adescate su internet e, dopo averle sedotte, le ha ricattate e obbligate a pagarlo per non pubblicare le foto scattate durante i loro rapporti sessuali. Le vittime di soggetti disturbati come Defilippi sono persone vulnerabili con le quali questi mostri creano una falsa relazione, un falso rapporto di intimità e di fiducia”, chiarisce la criminologa Ursula Franco che ha profilato i due killer di Gloria.

Chi era Gloria Rosbosch

Gloria Rosboch, 49 anni, viveva a Castellamonte, una piccola località in provincia di Torino, insieme ai genitori. Insegnava francese presso la scuola media Cresto e, nelle ore libere dagli impegni scolastici, seguiva le partite di calcio alla tivù, passione che condivideva col papà Ettore. Era una donna pacata, senza vezzi né vanità, riservata e poco dedita alla vita mondana. Aveva qualche amica con cui scambia messaggi e confidenze, ma non ha alcuna frequentazione assidua fuori dal contesto familiare. “Era una donna molto intelligente, istruita e di famiglia borghese. Eppure, è caduta in questa trappola – spiega la dottoressa Amalia Prunotto – Questo perché la truffa affettiva è un fenomeno trasversale che può coinvolgere chiunque, indipendentemente dall’età, dal sesso e dalla estrazione sociale. Nessuno può proclamarsi indenne ed è errato pensare che solo soggetti vulnerabili possano cadere in questo genere di trappole”.

La scomparsa

Nel primo pomeriggio del 13 gennaio 2016 Gloria esce di casa per incontrare Gabriele Defilippi. Ai genitori racconta, però, di dover presenziare a una riunione a scuola. Lo fa per evitare loro preoccupazioni in quanto, specie mamma Marisa, non vedono di buon occhio il giovane De Filippi. Questi nel 2014 aveva convinto la figlia a investire i risparmi di una vita – circa 187mila euro – in una società immobiliare ma, dopo essersi garantito il malloppo, è sparito nel nulla. Ma Gloria si fida del suo ex allievo ed è certa che non l’abbia ingannata.

“Personaggi come il Defilippi scelgono soggetti vulnerabili ai quali si mostrano affidabili, fingono di avere una morale e desideri in comune, prospettano un rapporto sentimentale a lungo termine, recitano la parte dei compagni protettivi e interessati al loro benessere, mentre in realtà hanno un unico obiettivo, un tornaconto economico – spiega la criminologa Ursula Franco – Non appena le vittime comprendono di essere state manipolate e truffate e chiedono indietro i loro averi, questi soggetti le accusano di creare problemi nella relazione e poi accampano sempre nuove scuse per non riconsegnare il denaro. Sono capaci di minacciarle e diffamarle pubblicamente, a volte arrivano perfino a denunciarle per molestie”.

Fatto sta che Gloria quella maledetta sera di gennaio non rientra a casa. Sua cugina ne denuncia la scomparsa ai carabinieri di Rivarolo Cavanese. Il giorno successivo iniziano le ricerche coordinate dalla procura di Ivrea in tutto il perimetro di Castellamonte. Vi partecipano carabinieri, vigili del fuoco, volontari e personale del 118. Ma della professoressa non vi è traccia: sembra sparita nel nulla.

L’omicidio

Quel freddo pomeriggio di gennaio, pressappoco alle ore 15, Gloria raggiunge Gabriele Defilippi e il suo complice, Roberto Obert, alla rotonda che dista circa un chilometro dalla sua abitazione. I due killer la attendono a bordo di una Twingo bianca, armati delle peggiori intenzioni. Alla guida della vettura c’è Obert che si finge un avvocato mentre sul sedile posteriore è seduto Gabriele. Ignara di quanto le sarebbe accaduto da lì a poco, la professoressa si accomoda accanto all’ex alunno. “Era seduta davanti. Io guidavo e dietro a lei c’era Gabriele. Lui la intortava“, spiegò Obert nel faccia a faccia col 22enne davanti al procuratore di Ivrea Giuseppe Ferrando.

Gloria, immersa nella conversazione, commette due errori fatali. Non dà peso al fatto che l’auto diretta a Valperga si inoltri in un bosco, quello della discarica. E consegna a Obert, all’inizio del viaggio e su suggerimento di Defilippi, il suo cellulare, dopo averlo spento: l’unica ancora di salvataggio. Lo fa con serenità, testimoniò Obert, perché “è lui a chiederglielo”, riferendosi Gabriele. “La Finanza potrebbe intercettarci, meglio se chiudiamo i telefoni”, sarebbe stata la scusa del giovane. E così, quando inizia il tragitto che la consegnerà alla morte, Gloria non ha alcun mezzo per chiedere aiuto.

I due la conducono in prossimità di una vasca di scolo a Rivara, in zona Rossetti. Gabriele la strangola con una corda,”all’improvviso” raccontò Obert. E quando la professoressa è già morta, la getta a testa in giù, completamente svestita, nella cisterna. Il 56enne partecipa al delitto, complice e testimone oculare di una esecuzione terrificante.

Quella truffa da 187mila euro

Il corpo senza vita di Gloria viene rinvenuto dai carabinieri di Ivrea con l’ausilio dei vigili del fuoco il 19 febbraio 2016, un mese dopo la denuncia di scomparsa. L’esito dell’autopsia eseguita dal medico legale Roberto Testi prova che la vittima è morta per strangolamento. A poche ore dal ritrovamento del cadavere la Procura di Ivrea apre dunque un fascicolo per omicidio volontario e soppressione di cadavere. Nel mirino degli inquirenti finisce Gabriele Defilippi, già fortemente sospettato della misteriosa scomparsa dell’insegnante. A fare il suo nome è Roberto Obert: “È stato lui a strangolarla. Io non c’entro“, si difese il 56enne quando condusse i militari dell’Arma sulla scena del crimine. Dalle indagini emerge un dettaglio non trascurabile circa la relazione tra la prof e l’ex allievo.

Il 28 settembre 2015 la Rosboch, tramite l’avvocato Stefano Caniglia, aveva presentato una querela contro Gabriele Defilippi per dei soldi mai restituiti. Gloria aveva conosciuto il ragazzo nel 2005 a Castellamonte, dove anch’egli era residente. Il loro rapporto di amicizia era continuato nel corso degli anni evolvendo in una relazione sempre più intima. “Posso affermare che il nostro rapporto diventava più stretto, nonostante la differenza di età – scrisse Gloria nella querela – La sua personalità molto suadente mi induceva a fidarmi di lui“. Defilippi l’aveva convinta a investire il suo denaro (187 mila euro) per aprire una nuova attività ad Antibes, in Costa Azzurra. “A Ferragosto mi propone un lavoro completamente nuovo e diverso dall’attuale, in relazione alla sua società“, continuò la prof. Ed è in quella occasione che, per la prima volta, il ragazzo le avrebbe prospettato un futuro insieme. Una sera, a Vidracco, in Valchiusella, i due erano a cena quando l’ex allievo le raccontò “di come sarebbe stata la nostra vita insieme se avessi accettato di andare a lavorare ad Antibes. Saremmo stati ospiti di un piccolo residence, senza troppe incombenze domestiche. Una vita magnifica insieme“.

La querela apre a nuovi scenari sul delitto dell’insegnante di Castellamonte, quello di una truffa sentimentale. La sera del 19 febbraio, Gabriele Defilippi e Roberto Obert vengono arrestati con l’ipotesi di omicidio e soppressione di cadavere. Anche Caterina Abbattista, madre del 22enne, finisce nel mirino degli inquirenti. Secondo l’accusa, la donna sapeva i piani del figlio, ma non avrebbe fatto nulla per fermarlo. Anzi, lo avrebbe poi “coperto” durante le ricerche del corpo della donna. Nel registro degli indagati viene iscritta anche un’amica del ragazzo, Efisia Rossignoli: si sarebbe finta un’operatrice bancaria nel tentativo di rassicurare Gloria sulla veridicità investimento.

I mille volti di Gabriele Defilippi

Quindici profili attivi su Facebook, decine di travestimenti e una sessualità multipla. È una vita decisamente al limite quella di Defilippi, segnata da relazioni instabili e consumo di droghe. “Gabriele Defilippi è un soggetto affetto da un grave disturbo di personalità, ha tratti antisociali e narcisistici – spiega la dottoressa Ursula Franco – È un mentitore abituale, un megalomane, un millantatore. È incapace di provare empatia, senso di colpa e rimorso. È un soggetto estremamente pericoloso. Non ha mai smesso di recitare, dopo l’arresto ha detto: “Come vi permettete? Non capisco il motivo per cui mi state trattenendo” e “Quando ho visto Gloria morire, sono rimasto impietrito, avevo anch’io paura dell’assassino, non sono riuscita a difenderla… voglio farla finita… No, non posso più vivere.” Defilippi ha recitato di fronte al magistrato sentimenti che non prova ma che ha imparato a mettere in scena allo scopo di manipolare il suo prossimo. Durante la permanenza in carcere cercherà di truffare il sistema carcerario, si servirà infatti di tutte le sue doti manipolatorie per mostrarsi agli operatori nelle vesti di un uomo nuovo. Nel dicembre 2018, il Defilippi ha dichiarato pubblicamente: “Studiare è un modo per chiedere scusa ai genitori della professoressa Gloria Rosboch. Da quando sono in carcere sono una persona diversa, ho abbandonato i personaggi che recitavo prima ma tutti i giorni faccio i conti con la mia coscienza. Ho deciso di iscrivermi a Scienze Politiche e laurearmi, poi un giorno vorrei lavorare, ricominciare una nuova vita. L’università è un primo passo del mio percorso di riabilitazione. Un modo per dimostrare concretamente che non sono più il Gabriele del passato, quello che indossava le maschere e che pensava di conquistare tutto con l’inganno. Non posso dimenticare quello che è successo. Con lo studio e questo percorso che ho intrapreso voglio chiedere scusa alla famiglia Rosboch, anche se sono consapevole che non saranno accettate. Per dare un senso a queste scuse è necessario dimostrare di essere un Gabriele diverso. So cosa ho fatto e quanto mi pesa lo so solo io“.

Roberto Obert: vittima o manipolatore?

Quando si trovano davanti al procuratore Ferrando, Defilippi e Obert si accusano vicendevolmente circa la paternità del delitto. “L’hai uccisa tu!“, grida Gabriele puntando il dito contro il 56enne. Obert ribatte: “Peccato che era già morta. Era già morta quella poverina! E chi tirava la corda coi guanti? Tu tiravi, hai tirato la corda coi guanti! E in un men che non si dica, gli tirato il collo col cappio… Tiravi a due mani, con tutta la tua forza!“. Defilippi reagisce alle accuse spiegando che è Obert a fermare la macchina: “Scende, sale dietro e la strozza“, è la sua versione. Ma il procuratore non gli crede. La Rosboch, dalla ricostruzione ultima del misfatto, viene spinta giù dalla macchina, spogliata dei vestiti e dei gioielli, trascinata per terra e buttata a testa in giù nella cisterna. Muore subito, dopo la stretta al collo che la sorprende mentre parla col ragazzo di cui è ancora innamorata. Dunque Obert è vittima o anch’egli carnefice? Qual è il suo ruolo?

“Obert era, come si definisce lui, un “servo” del Defilippi, un uomo completamente soggiogato: “Mi comportavo come un servo, sia perché affascinato sia impaurito. Gabriele era molto suadente, potrei dire che ero invaghito di lui. È stato Gabriele a prendere l’iniziativa, devo confessare che ero fortemente attratto da lui. Gabriele ha una personalità molto forte, al di là della sua età. Non ricordo esattamente come sia iniziata, so per certo che è stato lui a prendere l’iniziativa quando lui ha capito che io ero attratto fisicamente da lui. È capitato anche che abbiamo avuto rapporti a tre, alcune volte in albergo, altri nei pressi del parco dei Lumini di Torino, nei pressi del cimitero monumentale di Torino. In questi casi succedeva che ci incontravamo per avere dei rapporti sessuali e poi insieme decidevamo dei rapporti a tre. Quando aveva problemi mi cercava. Ricordo che all’inizio della nostra relazione mi agganciò chiedendomi una somma di denaro di 200 mila euro che gli servivano per un affare. Avendo io capito che qualcosa nel discorso non andava, e anche per il fatto che non avevo soldi, non acconsentii. Io ho telefonato anche alla mamma per chiederle come mai era sparito, lei mi ha detto che era un periodo che era molto nervoso. Ci siamo reincontrati all’inizio di gennaio del 2016 a Castellamonte e lui era di nuovo tutto gentile. Mi riferì che aveva i suoi problemi, in particolare che una donna di Castellamonte lo aveva denunciato perché le avrebbe preso 187mila euro. Gabriele, dopo aver passato i sui primi tre giorni in prigione, ritengo che mi abbia coinvolto apposta, perché mi ha visto debole. Adesso devo ammettere che appare quasi impossibile spiegare il mio comportamento. A volte ho avuto paura, quando ad esempio, dopo l’omicidio volevo andar via, lui mi ha detto: “Dove cazzo vai?”. Devo ancora dire che io in questo momento ho paura di cosa potrà dire Gabriele e ho paura che qualcuno dentro il carcere possa farmi del male perché non so con chi è invischiato. Frequentava delle persone su a Pinerolo poco raccomandabili. Lui mi raccontava così, che erano dì una famiglia mafiosa. Me lo disse diverse volle, non so se per minacciarmi.

I processi e le condanne

Il 14 febbraio del 2017 inizia il processo per il caso Rosboch. Gabriele Defilippi assistito dal suo legale, l’avvocato Giorgio Piazzese, chiede il rito abbreviato condizionato alla perizia psichiatrica. L’obiettivo è quello di dimostrare un vizio parziale di mente dell’imputato in misura dei problemi psichici che sarebbero stati evidenti, secondo la difesa, già in tenera età del reo confesso. Nel dossier depositato dai difensori di Defilippi ci sarebbero, infatti, i referti dell’Asl del 2007 e 2008 da cui si evincerebbe che già all’età di 12 anni Gabriele avesse una personalità fuori dal comune, “disturbata”.

Sicuramente aveva una mente molto lucida e un’intelligenza sopra la media – spiegò il procuratore capo di Ivrea, Giuseppe Ferrando – Ma il disturbo di personalità non è sempre rilevante per la capacità di intendere e volere“. Anche Roberto Obert, assistito dall’avvocato Celere Spaziante, chiede il rito abbreviato. Segue invece l’iter processuale standard Caterina Abbattista, che sin dal primo giorno si era professata innocente ed estranea alla vicenda.

Il 14 dicembre del 2018 la Corte d’assise d’appello condanna Gabriele Defilippi a 30 anni di reclusione per omicidio volontario e soppressione di cadavere. A Obert, invece, viene comminata una pena di 19 anni. Il 18 dicembre del 2019, la prima sezione penale della Cassazione conferma entrambe le sentenze prevedendo un lieve sconto di pena per Obert (da 19 a 18 anni e 9 mesi). Assolta invece dall’accusa di concorso in omicidio Caterina Abbattista: per il giudice della Corte d’Ivrea non avrebbe partecipato all’omicidio dell’insegnante. La donna dovrà scontare una pena di 14 mesi per truffa.

“Amore criminale”

Una truffa sentimentale ha condannato la professoressa Rosboch a una morte tanto crudele quanto assurda. Ma Gloria non è stata la sola persona ad essere caduta nella rete dei “manipolatori affettivi”. L’associazione Acta ha stimato circa 10mila casi in poco più di 2 anni.

“Si parla di “truffe affettive” per la profondità di queste situazioni e perché può colpire non solo come modalità di seduzione relazionale – spiega la psicoterapeuta Amalia Prunotto – Le vittime, uomini o donne di tutte le età, sono agganciate su diversi piani, non solo su quello sentimentale. I manipolatori, vere e proprie organizzazioni criminali, sono in grado di profilare perfettamente colui o colei che intendono adescare attraverso dei test di personalità e con un linguaggio mirato. Usano i social o le chat perché il web dà dipendenza garantendo un contatto quotidiano con la vittima. È un lavorio lungo e graduale che culmina col plagio totale della persona prescelta. L’intento ovviamente è quello di estorcerle denaro. E quando la vittima si rende conto di essere caduta in una trappola talvolta può essere troppo tardi”. Un problema complesso e articolato dunque, che miete silenziosamente una vittima dietro l’altra. “È una vera e propria pandemia perché si tratta di un fenomeno trasversale e mondiale – conclude la dottoressa Prunotto – Bisognerebbe parlarne di più e fare qualcosa di più”.

LA NAZIONE, “KHRYSTYNA E’ STATA RAPITA: LO DICONO GLI INDIZI”

Mistero di Orentano, l’analisi della criminologa Franco: “Spesso le indagini per sequestro sono l’anticamera di un’inchiesta per omicidio”

La Nazione, 24 novembre 2020
Cosa può essere successo a Khrystyna Novak, la ragazza ucraina di 29 anni, scomparsa dalla villetta di Orentano oltre venti giorni fa, una manciata di ore dopo l’arresto del suo fidanzato (un 41enne industriale nel settore delle pelli) per armi e droga. La Procura indaga per sequestro di persona (fascicolo per ora a carico di ignoti), le ricerche sul posto hanno dato esito negativo e le ultime ore della ragazza a Orentano – indaga la squadra mobile e commissariato di Pontedera – sono avvolte nel giallo. Il caso ha colpito la criminologa Ursula Franco, pisana (da tempo vive a Roma), che si è occupata di casi giudiziari di rilevanza mediatica come quello di Stefano Binda (era consulente per la difesa) che, dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi, è stato assolto in Appello per non aver commesso il fatto.

Dottoressa, la 29enne ucraina, scomparsa in circostanze misteriose, non si trova. Intanto che idea si è fatta del caso?

Khrystyna è ormai scomparsa da più di 20 giorni, si indaga per sequestro di persona, un’indagine che purtroppo è spesso l’anticamera di un’indagine per omicidio. L’alternativa potrebbe essere una fuga senza meta in stato confusionale. Per abbracciare questa seconda ipotesi sarebbe necessario conoscere le condizioni psichiche di Khrystyna. La ragazza andrebbe sottoposta ad autopsia psicologica vagliando ciò che chi la conosceva riferisce riguardo ai suoi comportamenti dei giorni che hanno preceduto la scomparsa. Rada Garmash, una sua connazionale che vive a Brescia e che sta supportando la madre Inna nelle ricerche, ha riferito alla stampa che, nel pomeriggio del 1 novembre, Khrystyna avrebbe detto al telefono all’amica Julia “che aveva paura di un uomo che stava bussando alla porta”. Sarebbe importante capire se questa sua paura fosse fondata o meno e cos’altro Khrystyna abbia riferito a Julia in quell’occasione.

In quali direzioni secondo lei andrebbero concentrati gli approfondimenti?

Per farsi un’idea delle condizioni psichiche di Khystyna andrebbero sentiti il compagno e le sue amiche. Sull’altro fronte sarebbe importante sentire i vicini di casa posto che, poco prima di sparire, Khrystyna aveva riferito al telefono all’amica Julia che, nonostante non avesse soldi, aveva una scorta alimentare e sperava che il compagno venisse rilasciato tanto che intendeva aspettarlo a casa. Non le nego che il fatto che l’ultima cella telefonica agganciata dal portatile di Khrystyna sia stata quella che copre l’area di casa sua fa propendere per l’ipotesi per la quale si indaga.

Ritiene possibili collegamenti tra l’arresto del compagno e la sparizione?

Il compagno potrebbe essere a conoscenza del fatto che qualcuno importunava la sua ragazza. Il fatto che i Carabinieri abbiano ritrovato la chiave di casa nella toppa e il fatto che Khrystyna avesse con sé il solo telefono cellulare sono di supporto all’ipotesi che la ragazza sia uscita per rimanere nei paraggi e sia stata aggredita di fronte a casa, forse proprio mentre rientrava in casa.

Poche le testimonianze, molti i lati oscuri, la vita della ragazza nel piccolo borgo sembrerebbe essere stata quella di un fantasma. Come analizzare le poche testimonianze che per ora sarebbero state raccolte?

Un’intervista e un interrogatorio ben condotti si possono analizzare con la Statement Analysis, una tecnica che permette di stabilire una accurata strategia d’indagine.

Dottoressa, Khrystyna potrebbe nascondersi per paura di qualcuno?

E’ possibile ma ritengo che, se Khrystyna avesse deciso di allontanarsi volontariamente da casa sua, si sarebbe fatta accompagnare dalle amiche a prendere il cane o quantomeno avrebbe fornito loro le chiavi del cancello, invece so che hanno dovuto scavalcarlo. La domanda che mi faccio è: Chi ha lasciato la chiave nella toppa?

MORTE DI MAURO PAMIRO, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: L’IPOTESI PIU’ PROBABILE E’ IL SUICIDIO, SI SMETTA DI RICAMARE

Mauro Pamiro, 44 anni, insegnante di informatica e musicista, è stato trovato morto in un cantiere di Crema. La moglie Debora Stella è indagata per omicidio ed è al momento ricoverata in Psichiatria. Debora Stella è assistita dall’avvocato Mario Palmieri.

Le Cronache Lucane, 11 luglio 2020

Ne abbiamo parlato con la dottoressa Ursula Franco, medico e criminologo, allieva del professor Francesco Bruno e del dottor Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori). La Franco si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

Il cimitero di Crema, dove è stata trovava la bicicletta di Mauro Pamiro, è a meno di 500 metri dal cantiere dove è stato ritrovato il suo corpo.

– Dottoressa Franco, con i pochi dati a disposizione, provi a ricostruire  i fatti che hanno condotto alla morte di Mauro Pamiro.

Sabato pomeriggio Mauro e sua moglie Debora si trovano a casa di amici, Mauro si allontana da solo in bicicletta intorno alle 18:00, raggiunge il cimitero, lascia la bicicletta, si toglie i sandali, si dirige verso il cantiere, si arrampica sulle impalcature e si lancia nel vuoto. E’ probabile che Mauro e Debora avessero discusso in precedenza. Debora, non vedendolo tornare, potrebbe aver pensato che Mauro dovesse “sbollire”, per questo motivo non ha chiesto aiuto e, una volta saputo della morte del marito, il senso di colpa può averla fatta crollare psichicamente. L’immagine da lei postata su Facebook di due uomini che si confrontano potrebbe essere un riferimento ad eventuali discussioni tra lei e il marito. Il fatto che la bicicletta di Mauro Pamiro sia stata ritrovata al cimitero e nel cestino della stessa vi fosse uno dei suoi sandali permette di escludere che sia tornato a casa e che fosse scalzo perché in casa.

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– Secondo Il Fatto Quotidiano: “Il suo corpo era riverso su un fianco, con ferite alla testa e a un braccio. Ma tutto intorno, stando alle prime testimonianze, non c’era neanche una goccia di sangue. Si infittiscono i misteri intorno alla morte di Mauro Pamiro, il docente di informatica 44enne trovato morto in un cantiere edile a Crema lo scorso 29 giugno”, lei che ne pensa?

Nessun mistero. Pamiro è morto in seguito ad una precipitazione. In questi soggetti vi è minima lesività esterna, a meno che durante la precipitazione non incontrino degli ostacoli. La morte interviene in seguito ai traumi chiusi, fratture ossee e degli organi interni, cui vanno incontro quando impattano con il terreno.

CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: TUTTO QUESTO “AL LUPO, AL LUPO, SONO INNOCENTI” NEI CASI DEGLI ASSASSINI DANNEGGIA GLI INNOCENTI DE FACTO

Criminologa Ursula Franco: “Antonio Logli, Alberto Stasi, Massimo Giuseppe Bossetti, Rosa Bazzi, Olindo Romano, Chico Forti e Sabrina Misseri sono colpevoli de facto e de iure, tutto questo “al lupo, al lupo, sono innocenti” tortura le famiglie delle vittime e danneggia le vere vittime degli errori giudiziari. Quando i Media prendono le parti di un sociopatico, c’è il rischio che venga reintegrato nella società e che reiteri. In parole povere, chi commette un omicidio e la fa franca, non è raro che ne commetta un secondo, si vedano i casi di Alessandro Cozzi e Bruno Lorandi. Il rischio è ancora maggiore quando l’omicida è un potenziale serial killer”

Le Cronache Lucane, 6 luglio 2020

Ursula Franco è medico e criminologo, è stata allieva del professor  Francesco Bruno, è allieva del dottor Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

– Dottoressa Franco, chi danneggia il teatrino mediatico?

I processi mediatici sono la prima causa di errore giudiziario, non solo favoriscono la condanna di soggetti innocenti, come nel caso di Michele Buoninconti, ma, quando cavalcano l’onda innocentista, c’è il rischio che un omicida venga reintegrato nella società. Peraltro, tutto questo recente ”al lupo, al lupo, sono innocenti” tortura le famiglie delle vittime e danneggia le vittime degli errori giudiziari. 

– Dottoressa Franco, dov’è il problema? Che cosa lascia spazio alla difesa dei colpevoli?

Gli errori investigativi, i ritardi, la superficialità, ma soprattutto l’incapacità da parte dei magistrati di ricostruire i fatti. Sono ormai anni che lo ripeto, la ricostruzione dei fatti è il fulcro sul quale ruota un caso giudiziario. Ricostruire i fatti in modo capillare permette di attribuire le giuste responsabilità, riduce in modo drammatico il rischio di commettere un errore giudiziario e tutela i familiari della vittima perché non lascia spazio alla difesa. Le faccio alcuni esempi: sono stati commessi errori nella ricostruzione degli omicidi di Matilda Borin, Lidia Macchi, Yara Gambirasio, Orsola Serra, Roberta Ragusa e Maria Sestina Arcuri. Matilda Borin, Orsola Serra e Lidia Macchi non hanno avuto giustizia. Nel caso Serra è stato condannato in via definitiva un innocente de facto, Alessandro Calvia. Dei casi Calvia e Macchi mi sono occupata personalmente. Nel caso Macchi è stato arrestato e condannato in primo grado un innocente de facto, Stefano Binda, fortunatamente circa un anno fa è stato assolto in appello.

 – Nel caso dell’omicidio della piccola Matilda Borin che errore è stato commesso? Perché Matilda non ha avuto giustizia?

Matilda è morta in seguito ad uno shock emorragico da emoperitoneo secondario ad un trauma dorsale che le produsse multiple lacerazioni del fegato, la sezione del rene destro e una lesione del sinistro. L’errore è stato credere che quel trauma dorsale fosse stato prodotto da un calcio sferratole.

La piccola Matilda è morta invece in seguito ad un trauma da schiacciamento causato dalla pressione di un ginocchio sul suo dorso. 

All’esame autoptico furono riscontrate una lesione ecchimotico escoriativa complessa in sede dorsale, due ecchimosi grossolanamente simmetriche sulle spine iliache antero superiori, multiple escoriazioni sul lato sinistro del corpo, sulla bozza frontale sinistra, sul gomito sinistro, sul braccio e sull’avambraccio sinistro, la frattura della VII costa destra sulla linea ascellare posteriore con consensuale minima lacerazione pleurica ed intensa infiltrazione emorragica e un traumatismo delle coste dalla IX alla XII sinistre. 

La “lesione ecchimotico escoriativa complessa in sede dorsale” è compatibile con l’impronta di un ginocchio e non con quella di una scarpa o di un piede. E le “due ecchimosi grossolanamente simmetriche sulle spine iliache antero superiori” provano che la forza lesiva scaricata su Matilda non la spinse nel vuoto ma la schiacciò contro una superficie semirigida.

In poche parole, chi uccise Matilda le appoggiò il proprio ginocchio sul dorso e la schiacciò contro una superficie semirigida, poi la bambina cadde sul pavimento e si produsse “multiple escoriazioni sul lato sinistro del corpo, sulla bozza frontale sinistra, sul gomito sinistro, sul braccio e sull’avambraccio sinistro”. Subito dopo, l’omicida raccolse da terra la piccola prendendola sotto il braccio destro con la sola mano destra e, con la pressione del proprio pollice, le produsse “la frattura della VII costa posteriore destra sulla linea ascellare posteriore e la consensuale minima lacerazione pleurica”. La frattura costale non fu contestuale alla lesione dorsale che danneggiò gli organi addominali, né secondaria alle manovre rianimatorie, ma fu la conseguenza di un secondo fatto traumatico che seguì allo schiacciamento dorsale. All’esame autoptico si rilevò intorno alla frattura costale la presenza di una intensa infiltrazione emorragica, prova che il trauma precedette lo shock ipovolemico e l’arresto cardiaco e che quindi non fu causata dalle manovre rianimatorie che seguirono invece lo shock.

– Dottoressa Franco, lei ha da sempre sostenuto la colpevolezza di Antonio Logli, nel caso Ragusa che errori sono stati commessi? 

Nella ricostruzione dei giudici manca un passaggio cruciale, il Logli, dopo le 23.50, dopo aver messo sua figlia a letto, andò in autoscuola, Roberta, che era a letto, si alzò, si mise le scarpe da tennis che usava in palestra e che non furono mai ritrovate e una giacca e seguì di nascosto il marito. Fu proprio nei locali dell’autoscuola che Roberta sentì parlare suo marito Antonio con l’amante, ma soprattutto lo sentì chiudere l’ultima telefonata a Sara con un “Ti amo, buonanotte”, una frase che il Logli pronunciò perché credette di essere solo, ne nacque logicamente una discussione e la povera Ragusa, decisa ad affrontare la rivale, uscì dall’autoscuola, percorse pochi metri, raggiunse la staccionata, la scavalcò e si incamminò nei campi per dirigersi a casa di Sara Calzolaio, che abitava poco distante.

Secondo i giudici: “La sorpresa e il terrore alimentati dalla recente esperienza, vissuta dalla donna come un tentativo di omicidio, non hanno consentito ad avviso di questa Corte che si sviluppasse tra i due alcuna discussione: non vi è stato alcun alterco, alcun litigio, alcun clamore, tanto è vero che neppure i figli sono stati svegliati o hanno percepito alcunché”. 

Non corrisponde al vero ciò che hanno scritto i giudici su questo punto, il Logli e sua moglie Roberta discussero per ben due volte quella notte:

a) la discussione iniziale tra Antonio e Roberta ebbe luogo dopo le 00.17 in autoscuola, per questo motivo i bambini non sentirono niente e come loro neanche il titolare della scuola di ballo che si trova sopra l’autoscuola perché se n’era andato poco prima. 

b) una seconda discussione impegnò i due coniugi in via Gigli, in quell’occasione un testimone, Loris Gozi, li udì. 

Il Logli non minacciò mai di morte sua moglie, una volta intercettatala in via Gigli, la convinse con le buone ad entrare in auto (la C3 di Roberta) probabilmente promettendole che l’avrebbe portata a casa di Sara Calzolaio per chiarire.

Fu Roberta ad alzare la voce e a sbattere con forza le portiere dell’auto per la rabbia. E’ Loris Gozi a confermarcelo in un’intervista: “Perché c’erano delle urla, la signora urlava, delle urla strazianti, forti. (…) Ho sentito solo urlare, ma forte, come una donna che urla fo… che urla forte”. Il Gozi sentì la voce di Roberta e non quella del Logli perché Antonio cercò di abbassare i toni, cercò di calmare sua moglie per convincerla a salire in auto in moda da condurla in una zona isolata e ucciderla, il Logli, infatti, non aveva alcun interesse a richiamare l’attenzione dei vicini proprio perché aveva deciso di uccidere la povera Roberta.

Sempre secondo i giudici: “La Ragusa, in preda al panico percependo il grave pericolo per la propria incolumità è semplicemente e istintivamente scappata, così come si trovava, senza mettere niente altro addosso, senza portare niente con sé, e proprio attraverso i campi, come indicato dalle tracce fiutale dai cani, per sottrarsi alla vista e al prevedibile inseguimento del marito di cui aveva paura. Una fuga per la strada pubblica non sarebbe stata funzionale a detto scopo, poiché sarebbe stata visibile e raggiungibile e quanto al chiamare i suoceri, si trattava di persone che la donna sentiva distanti, fredde e non tutelanti”.

E’ un errore pensare che Roberta abbia sentito il Logli parlare con l’amante mentre si trovava in casa e che, per paura del marito, fosse fuggita tra i campi. Roberta intraprese la via dei campi non perché era in preda al panico o per fuggire al Logli ma perché era intenzionata a raggiungere l’abitazione dell’amante del marito, Sara Calzolaio, e proprio perché si trovava in autoscuola, peraltro a pochi passi dalla staccionata che divide il parcheggio dell’autoscuola dai campi, non ebbe accesso alle chiavi della propria auto, che erano rimaste in casa. Ella infatti, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe usato l’auto a causa delle temperature particolarmente basse di quella notte, dell’orario e della fretta che aveva di chiarire con la Calzolaio. 

Il fatto che Roberta si sia allontanata a piedi è la riprova che la discussione tra lei e il marito si consumò in autoscuola e non in casa dove si trovavano le chiavi della sua C3.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa (…) e poi cambiando macchina Roberta, che è stata minacciata di morte, sta lì e m’aspetta cioè mmm è inverosimile, io credo che cosa più incredibile di questa non… non ci sia”. 

Secondo i giudici: “In concomitanza con tale sequenza temporale si colloca la formidabile deposizione del Gozi che inizialmente e consequenzialmente vede il Logli in posizione statica di attesa, circa nel luogo dal quale secondo la direzione intrapresa dalla fuggitiva, la donna avrebbe dovuto prima o poi sbucare dal campo. Questa prima scena così come descritta dai testi Loris Gozi e Anita Gombi, assume il valore di conferma e di decisivo significato indiziario: i testi descrivono una situazione insignificante e di per sé non allarmante, anzi neutra, ma probatoriamente preziosa, perché strettamente complementare e reattiva per tempistica e luogo ad eventi che si erano poco prima consumati tra altre persone, in altra sede e per ragioni a loro estranee. Il Logli ha consapevolezza di essere stato notato dal teste, che aveva un’auto vistosa a lui nota, per tale motivo rientra e cambia auto, che verrà notata dalla Latona posteggiala davanti a casa, in orario che, per quanto sopra detto trattando specificamente di tale indizio, non è affatto incompatibile con la deposizione Gozi, considerando la stretta prossimità dell’abitazione e il fatto che l’avvistamento successivo del Gozi è da collocarsi a circa venti minuti o mezz’ora dopo”.

Il Logli non cambiò auto perché fu visto all’interno della sua Ford Escort da Loris Gozi, come affermato dai giudici, non ne avrebbe infatti tratto alcun beneficio. Anzi, il fatto che il Gozi abbia potuto identificare non una ma due delle auto appartenenti alla famiglia Logli/Ragusa, in strada, quella sera, ha danneggiato Antonio Logli.

Purtroppo però inquirenti e magistrati hanno ignorato due fatti di rilievo:

a) una testimone vide il Logli pulire la strada nel punto dove aveva temporaneamente parcheggiato la sua Escort la notte della scomparsa della Ragusa e dove era stato notato dal Gozi;

b) la collaboratrice domestica di Roberta, Margherita Latona, ha sostenuto di aver visto il Logli pulire il vialetto di casa sua e proprio nel punto in cui la notte stessa della scomparsa di Roberta era parcheggiata la sua Escort.

In un’intervista, nel tentativo di sminuire il valore della dichiarazione della Latona agli inquirenti, il Logli ha detto: “Margherita Latona fece una telefonata, l’ho letto nelle carte, era affacciata allo stanzino del… dove io ho la lavatrice di casa e sotto di lei c’è uno stanzino dove tengo, diciamo, un ripostiglio, all’interno avevo una busta con della sabbia che uso per mettere nei commenti del piazzale dell’autoscuola, mentre prendo questa busta e giro per andare verso il piazzale in terra dei ragazzini avevano fatto quei disegni per fare il gioco che ci si salta dentro e mi sembravano brutti e io ho preso qualcosa e ho cominciato a grattare per vedere se lo potevo togliere, in realtà dopo poco mi so accorto che non ci facevo nulla le strisce, le righe che erano in terra son rimaste tali e quali”.

Con questa dichiarazione, il Logli ha aggiunto un tassello cruciale alla ricostruzione dei fatti della notte della scomparsa di Roberta Ragusa, ha affermato di aver usato la sabbia il giorno seguente. La sabbia è infatti la chiave di questo caso.

Loris Gozi vide Antonio Logli, in via Gigli, fermo dentro la sua Ford Escort station wagon a fari spenti tra le 00.30 e le 00.40.

La notte del 13 gennaio 2012 la domestica vide la Ford Escort del Logli parcheggiata nel vialetto poco dopo le 00.40.

La notte dell’omicidio, Antonio Logli danneggiò il contenitore del filtro del gasolio della sua Ford Escort station wagon ed il giorno dopo pulì sia la strada che il vialetto per nascondere le tracce del fatto che la sua macchina la notte precedente aveva stazionato in quei due luoghi.

Il Logli, la notte dell’omicidio, maturò l’idea di uccidere sua moglie mentre si trovava in strada all’interno della sua Ford Escort station wagon e cambiò macchina non perché lo vide il Gozi, come erroneamente affermato dai giudici nelle motivazioni della sentenza, ma per non rischiare che l’auto danneggiata, ovvero la sua Escort, lo lasciasse a piedi in una delle fasi dell’omicidio e dell’occultamento del corpo di Roberta.

Antonio Logli, dopo essersi accorto del guasto, riportò a casa la Ford Escort, la parcheggiò nel vialetto, dove non era solito lasciarla e dove la vide la collaboratrice domestica, Margherita Latona, e uscì di nuovo, questa volta con la Citroen (C3) di Roberta. 

E’ logico inferire che il Logli non avrebbe perso tempo a riempire con la sabbia i “commenti” del piazzale dell’autoscuola nel caso fosse stato preoccupato per la scomparsa di Roberta tantomeno nel caso l’avesse uccisa, pertanto si può concludere che abbia usato la sabbia per asciugare il gasolio colato dalla sua auto sulla pavimentazione del vialetto. 

Il Logli pulì la strada ed il vialetto di casa sua per il timore che la perdita di gasolio lo tradisse, posto che era la riprova che la sera della scomparsa della moglie lui si trovava in via Gigli in auto e non a letto. Per questo stesso motivo, pur sapendola danneggiata, usò la propria auto per raggiungere il cimitero al mattino dopo, lo fece per lasciare la Ford Escort a debita distanza da casa, per evitare che qualcuno notasse che perdeva gasolio e che quindi quella perdita accreditasse il racconto dei testimoni per la presenza di chiazze di gasolio nei luoghi dove la sua auto era stata ferma quella notte.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati, ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa, poi dopo, siccome io sarei stato visto, ho cambiato macchina, cioè cosa sarebbe cambiato cambiando macchina? Se m’hai visto, m’hai visto”. 

Secondo i giudici: “A tale proposito vengono citate le dichiarazioni rese da un amico dell’imputato (…) propose di fare un giro in macchina transitando dai due cimiteri ove erano seppelliti i genitori della Ragusa. Saliti sulla Ford di proprietà dell’imputato e giunti al cimitero  di Pisa, si constatò tuttavia che il motore dell’auto non si avviava, nonostante l’imputato provasse a caricare il circuito di alimentazione del gasolio con l’apposita pompa del vano motore.  A quel punto veniva chiamato il padre dell’imputato che giungeva dopo circa 15/20 minuti e li riaccompagnava a casa (…) A tale proposito affermava che la problematica al  motore dell’auto, a dire dell’imputato si verificava frequentemente e che egli stesso, guardando il  vano motore, notava che il contenitore del filtro del gasolio era avvolto in una pellicola trasparente del tipo da cucina”.

E’ in questo stralcio di motivazioni la conferma del fatto che il Logli si era accorto, ben prima di giungere al cimitero, che il contenitore del filtro era rotto, lo aveva infatti già rivestito con la pellicola da cucina. 

Secondo i giudici: “Il delitto non era certo stato programmato per quella data e in quella occasione, come attestano le circostanze accertate e finanche la mancanza da parte del Logli della possibilità di approntare e addurre più adeguate e logiche circostanze della scomparsa della moglie e di costruire un albi più solido a suo favore, ma tuttavia proprio dal mancato ritrovamento del corpo si deve escludere che si sia trattalo di dolo d’impeto.

In qualunque modo ne abbia cagionato la morte, il mancato rinvenimento del corpo nonostante le già illustrate massicce ricerche, e a prescindere dalla circostanza tecnica che non sia stata contestata la premeditazione, indica chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie, significativamente e a ragion veduta temuta dalla povera Ragusa, ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi. La notte dei fatti invece la situazione è precipitata, con la scoperta da parte della Ragusa, sorpresa a sua volta dal marito e la immediata resa dei conti culminata nel terrore e nella fuga della donna raggiunta e coattivamente trattenuta, e nella sua soppressione. Insomma la mancata scoperta del corpo e delle modalità esecutive dell’omicidio qualificano in modo vieppiù negativo la personalità dell’autore e la sua capacità criminosa, la freddezza nell’ideazione, la precisione nell’esecuzione, e infine l’efficacia nella soppressione del corpo”.

I cadaveri si trovano più spesso per caso che durante le ricerche, pertanto è proprio la casistica ad indurci a dubitare che il fatto che il corpo di Roberta Ragusa non sia stato ritrovato indichi “chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie (…) ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi”. 

Ed è proprio il modo in cui il Logli tentò di uccidere Roberta, ovvero facendola cadere dalle scale, che ci permette di escludere che, prima della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, lo stesso avesse pensato ad un luogo dove occultarne il corpo.

Il Logli pensò al luogo dove avrebbe potuto occultarne il corpo (lo stesso luogo dove la uccise) mentre si trovava all’interno della sua Ford Escort quella stessa notte, in precedenza aveva pensato di sopprimerla simulando un incidente. In altre parole, il Logli non era preparato al susseguirsi degli eventi della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012.

– Dottoressa Franco, vuole aggiungere qualcosa?

Quando i Media prendono le parti di un sociopatico, c’è il rischio che venga reintegrato nella società e che reiteri. In parole povere, chi commette un omicidio e la fa franca, non è raro che ne commetta un secondo, si vedano i casi di Alessandro Cozzi e Bruno Lorandi. Il rischio è ancora maggiore quando l’omicida è un potenziale serial killer.

CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: CON LA STATEMENT ANALYSIS SI COSTRUISCONO CASTELLI ACCUSATORI INDISTRUTTIBILI FONDATI SULLE DICHIARAZIONI DEI REI

Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

Le Cronache Lucane, 29 aprile 2020

Criminologa Ursula Franco: “La ricostruzione dei fatti è il fulcro sul quale ruota un caso giudiziario, una ricostruzione senza smagliature dovrebbe essere la priorità di una procura che intenda identificare il responsabile di un delitto, degli avvocati di parte civile e dei giudici che emettono una sentenza. Solo ricostruendo i fatti in modo capillare si possono attribuire le giuste responsabilità e si riduce in modo drammatico il rischio di commettere un errore giudiziario”

– Dottoressa Franco, perché la maggior parte dei PM italiani non è in grado di ricostruire le dinamiche omicidiarie?

In primis, perché non sanno interrogare e contaminano gli interrogatori rendendoli inutilizzabili e poi perché non ascoltano e dismettono come false le dichiarazioni di indagati e testimoni che non si adattano all’idea pregiudiziale che si sono fatti, ed invece indagati e testimoni raramente falsificano, in più del 90% dei casi non raccontano tutto, ovvero dissimulano, ma dicono il vero. 

– Dottoressa, da cosa si capisce se un soggetto dice il vero, dissimula o falsifica?

Dalla struttura delle frasi che compongono le sue dichiarazioni. 

– Come si chiama la più diffusa tecnica di analisi delle dichiarazioni di indagati, sospettati e testimoni?

Statement Analysis. La Statement Analysis è una scienza complessa con un’infinità di regole ben precise che si basa sul principio che le dichiarazioni veritiere differiscono da quelle false in alcune parti del linguaggio. Il contenuto di dichiarazioni riferibili ad eventi realmente vissuti è diverso dalla struttura di dichiarazioni riferibili ad eventi solo immaginati, ad esempio, è logico aspettarsi che un soggetto racconti fatti accaduti nel passato usando il verbo al passato, pertanto quando, dopo aver parlato al passato, parla al presente, è alquanto probabile che stia falsificando, ovvero non stia pescando nella memoria. 

– Dottoressa, sappiamo che servono anni di studio per diventare analisti, le faccio comunque una domanda che le potrà sembrarle banale, come si fa a capire se un soggetto dice il vero ma non racconta tutto?

Da alcuni indicatori che rileviamo nelle sue dichiarazioni quali auto censure, lacune temporali, frasi che iniziano con “E”. Questi indicatori ci rivelano che in una certa sede mancano delle informazioni.

– Dottoressa Franco, in un caso giudiziario, quanto è importante ricostruire i fatti in modo capillare e perché?

Quando un caso è controverso, ovvero quando il referto medico legale non è dirimente o manca il cadavere, serve ad assicurarsi che sia stato commesso un omicidio o ad escluderlo. Nel caso sia stato commesso un omicidio, una capillare ricostruzione dei fatti tutela i familiari della vittima perché non lascia spazio alla difesa. 

– Dottoressa Franco, quanto siamo indietro nel nostro paese?

Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Le dico solo che la maggior parte di chi si occupa di casi giudiziari (PM, parti civili, consulenti forensi) non solo non è in grado di ricostruire le dinamiche omicidiarie ma non riconosce la verità neanche quando gli viene servita su un piatto d’argento. Le ripeto, individuare un colpevole non basta, è necessario costruire castelli accusatori indistruttibili e con la Statement Analysis si può, perché tali castelli accusatori si fondano sulle dichiarazioni degli indagati stessi che, se interrogati come si deve, rivelano tutto.

OMICIDIO DI LORENA QUARANTA, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: CASI DI PARANOIA DA EMERGENZA CORONAVIRUS IN TUTTO IL MONDO

Criminologa Ursula Franco: “Antonio De Pace è affetto da un disturbo delirante”

A Furci Siculo (Messina), durante una lite, Antonio De Pace ha ucciso la sua compagna, Lorena Quaranta e ha poi chiamato il 112 autodenunciandosi. E ha poi detto agli inquirenti: “La mia ragazza ha reagito, abbiamo avuto una colluttazione e poi l’ho uccisa. Abbiamo litigato e, in uno scatto d’ira, l’ho uccisa colpendola con le mani e i piedi […] È iniziata una lite alle nove di sera circa e poi l’ho ammazzata alle quattro. Avevo litigato perché soffrivo di ansia per il Coronavirus […] me l’ha contagiato Lorena […] se non erro, alle quattro o cinque di mattina, l’orario non lo ricordo. Ho usato un coltello, ho usato un piede, l’ho colpita alla testa con una lampada, l’ho colpita con un coltello all’addome e poi è morta. Con una lampada l’ho colpita alla faccia, la lampada era sul comodino. Le mani le ho messe al collo. L’ho affogata. Non ho altro da dire. Il coltello era a lama a seghetto […] sono uscito pazzo. Aggiungo che ho sbagliato, non voglio aggiungere altro. Ho saputo un venti giorni fa che mi sono ammalato e ho contagiato tutti. Ho contagiato tutti i miei parenti […] Ho tentato il suicidio tagliandomi le vene, mi sono messo nella vasca da bagno per suicidarmi, per affogarmi”

Le Cronache Lucane, 22 aprile 2020

Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco.

Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

– Sulla pagina di Chi l’ha visto?, trasmissione che affronterà questa sera il caso dell’omicidio di Lorena Quaranta, da ieri si legge: “Mi ha attaccato il virus”: Ma non era nemmeno vero. L’assurda autodifesa di Antonio De Pace dopo aver ucciso Lorena Quaranta. Nella prossima puntata: Da Sud a Nord l’emergenza Covid-19 non ferma la mattanza delle donne”, dottoressa Franco, vuole commentare?

I protagonisti di molte trasmissioni televisive non hanno ancora capito che servono competenze specifiche per esprimersi sui casi giudiziari, in specie in tema psichiatrico, e, proprio perché “non sanno di non sapere”, invece di interpellare gli esperti, cercano di spiegarsi i fatti rifacendosi al proprio limitato patrimonio culturale. Vi ricordo il caso di Antonietta e Salvatore. Nel novembre scorso sono andate in onda a “Chi l’ha visto?” le interviste rilasciate a Gianvito Cafaro dai due coniugi. Salvatore sosteneva, a ragione, che la moglie era affetta da un disturbo psichico, Antonietta che il suo problema era il marito. Dalle interviste emergeva con forza il delirio persecutorio di Antonietta, un classico delirio di veneficio in un soggetto affetto da un disturbo delirante, eppure la trasmissione appoggiava le posizioni della donna. Peraltro, almeno in un servizio è stata tagliata la risposta di Antonietta alla seguente domanda di Salvatore: “Chi c’ha buttato u gas?”.

Riguardo al caso di specie, Antonio De Pace è affetto da un disturbo delirante. Le sue dichiarazioni “me l’ha contagiato Lorena” e “Ho saputo un venti giorni fa che mi sono ammalato e ho contagiato tutti. Ho contagiato tutti i miei parenti” non nascono dal desiderio di preordinarsi una linea difensiva, si tratta invece di frasi pronunciate in preda alla paranoia. Sono stati descritti episodi di paranoia da emergenza Coronavirus in tutto il mondo, in specie in soggetti che lavorano in ospedale. 

– Dottoressa Franco, come andrà a finire?

Con tutta probabilità le aspettative della massa verranno tradite, al De Pace infatti potrebbe essere riconosciuta l’infermità o la seminfermità mentale. E la responsabilità del malcontento dell’opinione pubblica sarà ancora una volta ascrivibile a chi si è espresso sul caso senza averne le competenze. 

OMICIDIO DI LORENA QUARANTA, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: PREMATURO DEFINIRLO “FEMICIDIO”, LE DICHIARAZIONI DI ANTONIO DE PACE SONO DELIRANTI, SERVE UNA PERIZIA PSICHIATRICA

Antonio De Pace e Lorena Quaranta

Pochi giorni fa, a Furci Siculo (Messina), durante una lite, Antonio De Pace ha ucciso la sua compagna, Lorena Quaranta e ha poi chiamato il 112 autodenunciandosi. Ne abbiamo parlato con la criminologa Ursula Franco.

Le Cronache Lucane, 17 aprile 2020

Criminologa Franco: “Non solo è necessario sottoporre il De Pace a perizia psichiatrica ma è prematuro definire l’omicidio della Quaranta “un femicidio”, un termine ormai abusato”

Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

Dopo aver chiamato il 112, Antonio De Pace ha detto agli inquirenti: “La mia ragazza ha reagito, abbiamo avuto una colluttazione e poi l’ho uccisa. Abbiamo litigato e, in uno scatto d’ira, l’ho uccisa colpendola con le mani e i piedi […] È iniziata una lite alle nove di sera circa e poi l’ho ammazzata alle quattro. Avevo litigato perché soffrivo di ansia per il Coronavirus […] me l’ha contagiato Lorena […] se non erro, alle quattro o cinque di mattina, l’orario non lo ricordo. Ho usato un coltello, ho usato un piede, l’ho colpita alla testa con una lampada, l’ho colpita con un coltello all’addome e poi è morta. Con una lampada l’ho colpita alla faccia, la lampada era sul comodino. Le mani le ho messe al collo. L’ho affogata. Non ho altro da dire. Il coltello era a lama a seghetto […] sono uscito pazzo. Aggiungo che ho sbagliato, non voglio aggiungere altro. Ho saputo un venti giorni fa che mi sono ammalato e ho contagiato tutti. Ho contagiato tutti i miei parenti […] Ho tentato il suicidio tagliandomi le vene, mi sono messo nella vasca da bagno per suicidarmi, per affogarmi”

– Dottoressa Franco, in un’intervista rilasciata pochi giorni fa, ha dichiarato: “Ritengo che una perizia psichiatrica sia necessaria. E’ importante indagare sul recente passato di Antonio De Pace, sulle sue abitudini e su un suo eventuale disturbo che il martellamento da parte dei Media, cui tutti noi siamo sottoposti durante questa emergenza, potrebbe aver esasperato”, alla luce di ciò che è recentemente emerso, è sempre di questo avviso?

Certamente. Non solo è necessario sottoporre il De Pace a perizia psichiatrica ma è prematuro definire l’omicidio della Quaranta “un femicidio”, un termine ormai abusato. 

– Dottoressa Franco, quali tra le dichiarazioni del De Pace le sembrano particolarmente interessanti?

Come sappiamo sia il De Pace che la Quaranta, dopo l’omicidio, sono stati sottoposti a tampone ed è stato escluso che fossero stati contagiati dal coronavirus, alla luce di questo dato le dichiarazioni del De Pace: “me l’ha contagiato Lorena” e “Ho saputo un venti giorni fa che mi sono ammalato e ho contagiato tutti. Ho contagiato tutti i miei parenti” non possono che suonare come deliranti.  

– Dottoressa Franco, facciamo chiarezza, perché lei parla di “femicidio” e non di “femminicidio”?

In ambito sociologico, con il termine “femminicidio” si intende l’omicidio di una femmina commesso per punirla nel caso che, allontanandosi dal ruolo ideale imposto dalla tradizione, si sottragga al potere e al controllo del proprio padre, marito, compagno o amante che sia. Da un punto di vista criminologico, l’omicidio di genere è detto invece “femicidio”.

OBIETTIVO INVESTIGAZIONE: Il bombarolo romano

 “Analisi criminologica del bombarolo di Roma”

OBIETTIVO INVESTIGAZIONE, 7 aprile 2020

 

Nelle ultime settimane, plichi esplosivi a basso potenziale offensivo sono stati inviati a Roma e in provincia, alcuni non hanno raggiunto i destinatari perché sono stati intercettati nei centri di smistamento. L’ultimo plico è stato recapitato a Cologno Monzese. L’uomo che l’ha ricevuto ha dichiarato: “Ero un po’ titubante nell’aprirlo perché sapevo di non aver ordinato nulla per posta e ho visto inoltre che il pacco non era nemmeno simile a quello di un corriere, ma il mittente era il comune del luogo dove sono nato, quindi ho iniziato a scartarlo. Quando ho notato quella scatola di legno che spuntava dalla carta, ho capito però che c’era qualcosa di anomalo, mi sono bloccato e ho afferrato il telefono per chiamare il 112”. Una delle buste esplosive è stata inviata all’avvocato di Erich Priebke, un’altra ad un ex militante di CasaPound. Quattro donne sono rimaste ferite nell’esplosione di altrettanti pacchi.

 – Dottoressa Franco, esiste un profilo del bombarolo seriale riconosciuto internazionalmente?

Il bombarolo seriale è generalmente un soggetto di sesso maschile con tratti dei disturbi di personalità del cluster A, B e C (antisociale, ossessivo-compulsivo, paranoide e schizoide). E’ un perfezionista, molto organizzato e attento ai dettagli, parsimonioso, ossessionato dall’ordine e dall’igiene, ostinato. Per un periodo trae piacere dal semplice fantasticare l’attentato dinamitardo, poi dal pianificarlo e metterlo in atto. E’ un solitario. Chi lo conosce lo considera un tipo “strano”. E’ un soggetto incompetente da un punto di vista sessuale. E’ privo di empatia. Segue con attenzione le notizie diffuse dai Media su di lui e gode del fatto che la gente abbia paura dei suoi ordigni. Prova rancore nei confronti della società che, a suo avviso, lo ha ingiustamente escluso ed è spesso mosso dall’intimo convincimento di essere paladino di un nobile causa.

 – Dottoressa Franco, come si fa a catturarlo?

Nella cosiddetta “caccia all’uomo“, gli inquirenti devono soprattutto coinvolgere i cittadini delle aree interessate dagli attentati invitandoli a segnalare e documentare tutto ciò che gli appare sospetto. I bombaroli sono stati spesso identificati grazie alla collaborazione di familiari e conoscenti. Uno su tutti il famoso Unabomber. Theodore Kaczynski fu catturato dopo che la stampa diffuse il suo manifesto, “Industrial Society and Its Future”, e sua cognata e suo fratello David gliene attribuirono la paternità.

 – Riguardo al più recente bombarolo di Roma, che ha cominciato a colpire dal primo marzo 2020, si è parlato di pista anarchica.  Dottoressa, che idea si è fatta in merito?

Il bombarolo di Roma è un singolo che ha inviato molteplici pacchi bomba per “sviare” le indagini ma che, in realtà prova un forte rancore nei confronti di uno solo dei destinatari dei pacchi esplosivi. Uno dei pacchi bomba, quello individuato nel centro di smistamento di Ronciglione era destinato a Francesco Chiricozzi, un ex militante di Casapound che, nel novembre scorso, è stato condannato in primo grado a tre anni per uno stupro di gruppo, mittente farlocco, l’avvocato Mazzatosta, difensore del coimputato Riccardo Licci. Con tutta probabilità, il bombarolo di Roma ce l’ha proprio con Francesco Chiricozzi, e ce l’ha con lui o perché conosce la vittima dello stupro o perché lo odia a causa della risonanza mediatica che ha avuto il caso e perché ritiene che la condanna sia stata lieve.

Infatti, il fatto che il bombarolo di Roma abbia inviato il pacco pochi mesi dopo le condanne e conosca il nome dell’avvocato del coimputato del Chiricozzi potrebbe non essere un caso. Aggiungo che, nel novembre scorso, dopo la sentenza, gli avvocati di Licci e Chiricozzi vennero minacciati: “Ma gli avvocati sono i peggio”, “i due vanno condannati in base alle leggi, vanno puniti, ma chi andrebbe arrestato seduta stante deve essere l’avvocato”, “Lasciateli al popolo, saprà fare giustizia più di quella togata… non dimenticate il legale che andrebbe anche radiato” e “io metterei in galera pure gli avvocati che favoreggiano sti maledetti difendendoli”.

  – Dottoressa, come possono evolversi le cose?

Il bombarolo di Roma potrebbe smettere ma potrebbe anche colpire ancora per continuare a trarre piacere dalla risonanza che i suoi attentati hanno, in questo caso potrebbe sperimentare nuovi ordigni. E poi c’è il rischio che un copy cat, in cerca delle sue stesse gratificazioni, possa emularlo.

Fonti

Foto pacco: http://www.tusciaweb.eu/2020/03/unabomber-colpisce-ancora-lombardia-dodicesimo-pacco-bomba/

Intervista di Paolo Mugnai


Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis, si occupa soprattutto di morti accidentali e incidenti scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi.

 

Giallo di Messina: intervista Esclusiva alla Criminologa Ursula Franco

L’intervista in Esclusiva per Metropolitan Magazine alla Criminologa Ursula Franco

di Ilaria Rosati

Continua il giallo che vede coinvolto Antonio De Pace, il giovane infermiere che lo scorso Martedì mattina ha ucciso la sua fidanzata, Lorena Quaranta, nella villetta a Furci Siculo (Messina) nella quale i due convivevano da diverso tempo.

Abbiamo intervistato per voi la Dott.ssa Ursula Franco al fine di poter fare insieme il punto della situazione con gli elementi raccolti fino ad ora.

La Dott.ssa Franco, lo ricordiamo, è un medico criminologo ben conosciuto anche nel mondo della TV per aver seguito, in qualità di esperto, diversi fatti di cronaca nera che hanno segnato la storia di questo paese.

Dott.ssa Ursula Franco - Photo Credits: malkecrimenotes.wordpress.com
Dott.ssa Ursula Franco – Photo Credits: malkecrimenotes.wordpress.com

Con riguardo a De Pace il GIP ha parlato di

“Allarmante personalità dell’indagato essendosi questo rivelato del tutto incapace di porre un freno ai propri istinti criminali”.

Dagli elementi emersi fino ad ora sembra che nessuno abbia testimonianza di particolari comportamenti anomali da parte del ragazzo. Secondo lei è possibile che nessuno possa essersi accorto di nulla?

No, non è possibile, nulla accade all’improvviso. Con tutta probabilità però i segnali premonitori sono stati sottovalutati. Non mi è facile parlare del caso di specie perché sono poche e contraddittorie le informazioni filtrate.

Se fosse vero, e non lo escludo, che Antonio De Pace abbia ucciso Lorena Quaranta in preda all’ansia provocata dal convincimento che la ragazza gli avesse trasmesso il Coronavirus, non ha rilevanza che i tamponi suo e della Quaranta siano risultati negativi. Il De Pace potrebbe aver sofferto da tempo di una fobia in forma lieve e l’entità della stessa può essersi aggravata in questo momento storico a causa del rischio di contagio da Coronavirus.

Se davvero Lorena aveva la tosse, è possibile che il De Pace le abbia rimproverato di non aver rispettato le regole per evitare il contagio e che temesse per la propria vita.

Secondo lei, l’intenzione del De Pace era davvero quella di uccidere la Quaranta e poi togliersi la vita?

Che la volontà del De Pace fosse quella di uccidere la sua compagna è stato lui a dircelo:

“Ho usato un coltello. Ho usato un piede. L’ho colpita alla testa con una lampada. L’ho colpita con un coltello all’addome e poi è morta. Con una lampada l’ho colpita alla faccia. La lampada era sul comodino. Le mani le ho messe al collo. L’ho affogata. Non ho altro da dire”.

Riguardo poi al suo cosiddetto tentativo di suicidio, Antonio De Pace sapeva che provocandosi quei tagli al collo e ai polsi non sarebbe morto. Se avesse davvero deciso di suicidarsi si sarebbe reciso l’arteria carotide.

Cosa può scattare nella mente di una persona apparentemente normale?

Lo ripeto, nulla accade all’improvviso. L’omicidio non è che l’atto finale di un percorso più o meno disseminato di segnali rivelatori.

E’ lecito dubitare di tutti coloro che quotidianamente ci circondano nella paura che possano compiere gesti simili?

No. Impariamo a dubitare di coloro che ci danno motivi per dubitare. Impariamo a dubitare dei mentitori abituali, dei soggetti immaturi, di chi è incapace di gestire le proprie frustrazioni, di chi manifesta esplosioni d’ira, gelosia immotivata, comportamenti ossessivi e aggressivi nei confronti di esseri umani e animali, di chi fa abuso di sostanze.

Che impatto può avere questa situazione di convivenza forzata sulle persone in generale e, in particolare, su questo genere di individui?

E’ chiaro che chi aveva difficoltà a convivere prima del Coronavirus si trova adesso in una situazione più difficile. Il fatto di non poter lavorare, le difficoltà economiche che ne conseguono, il timore per il futuro provocano in tutti noi uno stato d’ansia che in soggetti poco equilibrati potrebbe generare reazioni violente.

Quali sono i soggetti che hanno bisogno di un sostegno psicologico per affrontare il lockdown e che avranno bisogno di una sorta di riabilitazione per affrontare il dopo emergenza?

Coloro che soffrono di misofobia, claustrofobia, agorafobia ed enoclofobia.

Ritornando all’omicidio di Lorena Quaranta, come noto, il GIP ha dichiarato:

“Occorre rilevare che non risulta ancora del tutto chiaro il movente che ha animato l’azione delittuosa. Appare sostenibile, nei limiti propri di questa fase del procedimento e salvi gli ulteriori elementi che dovranno essere acquisiti, che la determinazione a compiere il reato sia sorta sulla base di uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità di quanto commesso, da potersi considerare, sulla base del comune sentire, del tutto insufficiente a determinare la commissione del delitto, costituendo quindi più che la causa dell’agire del reo un mero pretesto per dare sfogo al proprio “impulso criminale”.

Quali crede che potranno essere gli elementi determinati per le indagini?

Ritengo che una perizia psichiatrica sia necessaria. E’ importante indagare sul recente passato del De Pace, sulle sue abitudini e su un suo eventuale disturbo che il martellamento da parte dei Media, cui tutti noi siamo sottoposti durante questa emergenza, potrebbe aver esasperato. In pratica, seppure in vita, in primis andrebbe sottoposto ad una sorta di autopsia psicologica per escludere che stia falsificando un disturbo psicologico quale potrebbe essere una Sindrome di Pilato.

Può spiegarci cosa sia la sindrome di Pilato?

E’ una paura irrazionale per i germi che può indurre quadri fobici di entità variabile, da lievi a gravi e capaci di limitare profondamente la vita sociale e lavorativa di chi ne è affetto. Chi soffre della Sindrome di Pilato vive un continuo stato d’allerta e mette in atto strategie di evitamento e ripetuti rituali di pulizia quali il lavarsi continuamente le mani e/o il pulire in modo maniacale la propria casa e/o i propri mezzi di trasporto per evitare di cadere in un più o meno profondo stato d’ansia.

Questa sindrome, se non trattata, può condurre a sviluppare idee di contaminazione al limite della paranoia, soprattutto in soggetti in cui si accompagna a particolari tratti di personalità.

Sappiamo che lei si occupa di analisi delle telefonate di soccorso, che può dirci riguardo il contenuto della telefonata tra De Pace ed il 112?

Antonio De Pace ha ammesso di aver commesso l’omicidio. Si è preso le proprie responsabilità, non ha mostrato di aver in mente alcuna linea difensiva né ha riversato eventuali colpe sulla povera Lorena.

CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: DATI MEDICO LEGALI INSUPERABILI, MARIO BIONDO SI E’ SUICIDATO

Mario Biondo si è suicidato nella sua abitazione di Madrid nel maggio 2013, a questa conclusione sono giunti i tre medici legali che, in tempi diversi, hanno condotto le autopsie sul corpo di Mario Biondo. 

Le Cronache Lucane, 27 febbraio 2020

Il presidente della Commissione Invalidi Civili dell’Asp di Ragusa, Giuseppe Iuvara, consulente medico legale della famiglia di Mario Biondo, è stato accusato di corruzione e arrestato nell’ambito di una vicenda legata a false pensioni di invalidità.

– Dottoressa Franco, cosa pensa della morte di Mario Biondo?

Mario Biondo si è suicidato. Nel lontano agosto del 1830 il Duca Luigi Enrico di Borbone-Condé  fu trovato impiccato alla «spagnoletta» di una finestra della sua camera da letto nel castello di Saint-Leu, i suoi piedi erano appoggiati a terra. Le speculazioni sulla sua morte non mancarono all’epoca come non mancano oggi quando un suicida mette in atto un impiccamento incompleto.

L’omicidio per impiccamento è raro ed è generalmente attuato in persone colte di sorpresa o in precedenza stordite. E’ chiaro che, in caso di messinscena, difficilmente l’autore dell’omicidio simulerà un impiccamento incompleto alla Condé, opterà invece per lo staging di un impiccamento completo.

– Dottoressa, lei si era già espressa dopo che erano state rese pubbliche le conclusioni della seconda autopsia disposta dalla Procura di Palermo a seguito della riesumazione del corpo ed eseguita dal Prof. Paolo Procaccianti. 

Certamente, il Prof. Procaccianti non ha riscontrato sul cadavere di Biondo segni compatibili con uno strangolamento o con una aggressione che possano aver preceduto un eventuale impiccamento ad opera di terzi.

Mario Biondo si è impiccato con una pashmina alla libreria della sua abitazione, come mostrano le foto scattate dagli investigatori spagnoli. Nelle foto visibili online non solo non si notano manomissioni del contenuto degli scaffali ipotizzabili nel caso Mario Biondo fosse stato impiccato post mortem o dopo essere stato stordito ma si vede il cadavere appeso alla libreria, prova che la stessa ha retto il suo peso, e si notano le gambe distese del povero Biondo, come lo erano nelle foto scattate durante il trasporto del cadavere con una sedia lettiga.

In altre foto, sul collo di Biondo è ben visibile il solco obliquo classico dell’impiccamento, un reperto incompatibile con la fantasiosa ricostruzione che ipotizza che Mario Biondo sia stato prima strangolato e poi impiccato, com’è noto infatti, il reperto tipico dello strangolamento è un solco solitamente orizzontale di profondità uniforme senza discontinuità, discontinuità che invece caratterizza il solco dell’impiccamento e che è presente in questo caso. Se Mario Biondo fosse stato prima strangolato e poi impiccato, solo su un eventuale solco riferibile allo strangolamento e nei tessuti profondi del collo in corrispondenza dello stesso sarebbero stati repertati segni di vitalità, quali emorragie ed ecchimosi e non sul solco prodotto dall’impiccamento perché l’impiccamento sarebbe intervenuto post mortem.

In merito al solco da impiccamento prodotto da una pashmina (o da una sciarpa di seta), lo stesso non sarà mai largo come la sciarpa stessa perché il peso del corpo non si distribuirà mai uniformemente su tutto lo spessore della pashmina, questo perché, alla trazione, la pashmina si tende in modo irregolare, ovvero con strisce di tessuto più o meno estroflesse ed è sulla striscia più estroflessa di tutte che il corpo grava lasciando sul collo un segno di dimensioni inferiori rispetto alla larghezza della sciarpa.

– Dottoressa, delle lesioni non descritte nella prima autopsia che può dirci, quella eseguita dal medico legale spagnolo?

Ci ha risposto il Prof. Procaccianti: all’autopsia erano assenti segni compatibili con una aggressione. Il segno che Mario Biondo aveva alla tempia non sottende un atto violento capace di stordirlo o fargli perdere coscienza, c’è poco da fare.

– Dottoressa, che mi dice del comportamento di Raquel Sanchez Silva?

La moglie di Mario Biondo è un noto personaggio televisivo che ha, com’è comprensibile, semplicemente cercato di evitare che fosse data in pasto ai media la sua vita privata.