CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: TUTTO QUESTO “AL LUPO, AL LUPO, SONO INNOCENTI” NEI CASI DEGLI ASSASSINI DANNEGGIA GLI INNOCENTI DE FACTO

Criminologa Ursula Franco: “Antonio Logli, Alberto Stasi, Massimo Giuseppe Bossetti, Rosa Bazzi, Olindo Romano, Chico Forti e Sabrina Misseri sono colpevoli de facto e de iure, tutto questo “al lupo, al lupo, sono innocenti” tortura le famiglie delle vittime e danneggia le vere vittime degli errori giudiziari. Quando i Media prendono le parti di un sociopatico, c’è il rischio che venga reintegrato nella società e che reiteri. In parole povere, chi commette un omicidio e la fa franca, non è raro che ne commetta un secondo, si vedano i casi di Alessandro Cozzi e Bruno Lorandi. Il rischio è ancora maggiore quando l’omicida è un potenziale serial killer”

Le Cronache Lucane, 6 luglio 2020

Ursula Franco è medico e criminologo, è stata allieva del professor  Francesco Bruno, è allieva del dottor Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (una tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Binda, il 24 luglio 2019, è stato assolto per non aver commesso il fatto. Dall’ottobre scorso, la Franco è consulente di Paolo Foresta, che è difeso dall’avvocato Giovanni Pellacchia.

– Dottoressa Franco, chi danneggia il teatrino mediatico?

I processi mediatici sono la prima causa di errore giudiziario, non solo favoriscono la condanna di soggetti innocenti, come nel caso di Michele Buoninconti, ma, quando cavalcano l’onda innocentista, c’è il rischio che un omicida venga reintegrato nella società. Peraltro, tutto questo recente ”al lupo, al lupo, sono innocenti” tortura le famiglie delle vittime e danneggia le vittime degli errori giudiziari. 

– Dottoressa Franco, dov’è il problema? Che cosa lascia spazio alla difesa dei colpevoli?

Gli errori investigativi, i ritardi, la superficialità, ma soprattutto l’incapacità da parte dei magistrati di ricostruire i fatti. Sono ormai anni che lo ripeto, la ricostruzione dei fatti è il fulcro sul quale ruota un caso giudiziario. Ricostruire i fatti in modo capillare permette di attribuire le giuste responsabilità, riduce in modo drammatico il rischio di commettere un errore giudiziario e tutela i familiari della vittima perché non lascia spazio alla difesa. Le faccio alcuni esempi: sono stati commessi errori nella ricostruzione degli omicidi di Matilda Borin, Lidia Macchi, Yara Gambirasio, Orsola Serra, Roberta Ragusa e Maria Sestina Arcuri. Matilda Borin, Orsola Serra e Lidia Macchi non hanno avuto giustizia. Nel caso Serra è stato condannato in via definitiva un innocente de facto, Alessandro Calvia. Dei casi Calvia e Macchi mi sono occupata personalmente. Nel caso Macchi è stato arrestato e condannato in primo grado un innocente de facto, Stefano Binda, fortunatamente circa un anno fa è stato assolto in appello.

 – Nel caso dell’omicidio della piccola Matilda Borin che errore è stato commesso? Perché Matilda non ha avuto giustizia?

Matilda è morta in seguito ad uno shock emorragico da emoperitoneo secondario ad un trauma dorsale che le produsse multiple lacerazioni del fegato, la sezione del rene destro e una lesione del sinistro. L’errore è stato credere che quel trauma dorsale fosse stato prodotto da un calcio sferratole.

La piccola Matilda è morta invece in seguito ad un trauma da schiacciamento causato dalla pressione di un ginocchio sul suo dorso. 

All’esame autoptico furono riscontrate una lesione ecchimotico escoriativa complessa in sede dorsale, due ecchimosi grossolanamente simmetriche sulle spine iliache antero superiori, multiple escoriazioni sul lato sinistro del corpo, sulla bozza frontale sinistra, sul gomito sinistro, sul braccio e sull’avambraccio sinistro, la frattura della VII costa destra sulla linea ascellare posteriore con consensuale minima lacerazione pleurica ed intensa infiltrazione emorragica e un traumatismo delle coste dalla IX alla XII sinistre. 

La “lesione ecchimotico escoriativa complessa in sede dorsale” è compatibile con l’impronta di un ginocchio e non con quella di una scarpa o di un piede. E le “due ecchimosi grossolanamente simmetriche sulle spine iliache antero superiori” provano che la forza lesiva scaricata su Matilda non la spinse nel vuoto ma la schiacciò contro una superficie semirigida.

In poche parole, chi uccise Matilda le appoggiò il proprio ginocchio sul dorso e la schiacciò contro una superficie semirigida, poi la bambina cadde sul pavimento e si produsse “multiple escoriazioni sul lato sinistro del corpo, sulla bozza frontale sinistra, sul gomito sinistro, sul braccio e sull’avambraccio sinistro”. Subito dopo, l’omicida raccolse da terra la piccola prendendola sotto il braccio destro con la sola mano destra e, con la pressione del proprio pollice, le produsse “la frattura della VII costa posteriore destra sulla linea ascellare posteriore e la consensuale minima lacerazione pleurica”. La frattura costale non fu contestuale alla lesione dorsale che danneggiò gli organi addominali, né secondaria alle manovre rianimatorie, ma fu la conseguenza di un secondo fatto traumatico che seguì allo schiacciamento dorsale. All’esame autoptico si rilevò intorno alla frattura costale la presenza di una intensa infiltrazione emorragica, prova che il trauma precedette lo shock ipovolemico e l’arresto cardiaco e che quindi non fu causata dalle manovre rianimatorie che seguirono invece lo shock.

– Dottoressa Franco, lei ha da sempre sostenuto la colpevolezza di Antonio Logli, nel caso Ragusa che errori sono stati commessi? 

Nella ricostruzione dei giudici manca un passaggio cruciale, il Logli, dopo le 23.50, dopo aver messo sua figlia a letto, andò in autoscuola, Roberta, che era a letto, si alzò, si mise le scarpe da tennis che usava in palestra e che non furono mai ritrovate e una giacca e seguì di nascosto il marito. Fu proprio nei locali dell’autoscuola che Roberta sentì parlare suo marito Antonio con l’amante, ma soprattutto lo sentì chiudere l’ultima telefonata a Sara con un “Ti amo, buonanotte”, una frase che il Logli pronunciò perché credette di essere solo, ne nacque logicamente una discussione e la povera Ragusa, decisa ad affrontare la rivale, uscì dall’autoscuola, percorse pochi metri, raggiunse la staccionata, la scavalcò e si incamminò nei campi per dirigersi a casa di Sara Calzolaio, che abitava poco distante.

Secondo i giudici: “La sorpresa e il terrore alimentati dalla recente esperienza, vissuta dalla donna come un tentativo di omicidio, non hanno consentito ad avviso di questa Corte che si sviluppasse tra i due alcuna discussione: non vi è stato alcun alterco, alcun litigio, alcun clamore, tanto è vero che neppure i figli sono stati svegliati o hanno percepito alcunché”. 

Non corrisponde al vero ciò che hanno scritto i giudici su questo punto, il Logli e sua moglie Roberta discussero per ben due volte quella notte:

a) la discussione iniziale tra Antonio e Roberta ebbe luogo dopo le 00.17 in autoscuola, per questo motivo i bambini non sentirono niente e come loro neanche il titolare della scuola di ballo che si trova sopra l’autoscuola perché se n’era andato poco prima. 

b) una seconda discussione impegnò i due coniugi in via Gigli, in quell’occasione un testimone, Loris Gozi, li udì. 

Il Logli non minacciò mai di morte sua moglie, una volta intercettatala in via Gigli, la convinse con le buone ad entrare in auto (la C3 di Roberta) probabilmente promettendole che l’avrebbe portata a casa di Sara Calzolaio per chiarire.

Fu Roberta ad alzare la voce e a sbattere con forza le portiere dell’auto per la rabbia. E’ Loris Gozi a confermarcelo in un’intervista: “Perché c’erano delle urla, la signora urlava, delle urla strazianti, forti. (…) Ho sentito solo urlare, ma forte, come una donna che urla fo… che urla forte”. Il Gozi sentì la voce di Roberta e non quella del Logli perché Antonio cercò di abbassare i toni, cercò di calmare sua moglie per convincerla a salire in auto in moda da condurla in una zona isolata e ucciderla, il Logli, infatti, non aveva alcun interesse a richiamare l’attenzione dei vicini proprio perché aveva deciso di uccidere la povera Roberta.

Sempre secondo i giudici: “La Ragusa, in preda al panico percependo il grave pericolo per la propria incolumità è semplicemente e istintivamente scappata, così come si trovava, senza mettere niente altro addosso, senza portare niente con sé, e proprio attraverso i campi, come indicato dalle tracce fiutale dai cani, per sottrarsi alla vista e al prevedibile inseguimento del marito di cui aveva paura. Una fuga per la strada pubblica non sarebbe stata funzionale a detto scopo, poiché sarebbe stata visibile e raggiungibile e quanto al chiamare i suoceri, si trattava di persone che la donna sentiva distanti, fredde e non tutelanti”.

E’ un errore pensare che Roberta abbia sentito il Logli parlare con l’amante mentre si trovava in casa e che, per paura del marito, fosse fuggita tra i campi. Roberta intraprese la via dei campi non perché era in preda al panico o per fuggire al Logli ma perché era intenzionata a raggiungere l’abitazione dell’amante del marito, Sara Calzolaio, e proprio perché si trovava in autoscuola, peraltro a pochi passi dalla staccionata che divide il parcheggio dell’autoscuola dai campi, non ebbe accesso alle chiavi della propria auto, che erano rimaste in casa. Ella infatti, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe usato l’auto a causa delle temperature particolarmente basse di quella notte, dell’orario e della fretta che aveva di chiarire con la Calzolaio. 

Il fatto che Roberta si sia allontanata a piedi è la riprova che la discussione tra lei e il marito si consumò in autoscuola e non in casa dove si trovavano le chiavi della sua C3.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa (…) e poi cambiando macchina Roberta, che è stata minacciata di morte, sta lì e m’aspetta cioè mmm è inverosimile, io credo che cosa più incredibile di questa non… non ci sia”. 

Secondo i giudici: “In concomitanza con tale sequenza temporale si colloca la formidabile deposizione del Gozi che inizialmente e consequenzialmente vede il Logli in posizione statica di attesa, circa nel luogo dal quale secondo la direzione intrapresa dalla fuggitiva, la donna avrebbe dovuto prima o poi sbucare dal campo. Questa prima scena così come descritta dai testi Loris Gozi e Anita Gombi, assume il valore di conferma e di decisivo significato indiziario: i testi descrivono una situazione insignificante e di per sé non allarmante, anzi neutra, ma probatoriamente preziosa, perché strettamente complementare e reattiva per tempistica e luogo ad eventi che si erano poco prima consumati tra altre persone, in altra sede e per ragioni a loro estranee. Il Logli ha consapevolezza di essere stato notato dal teste, che aveva un’auto vistosa a lui nota, per tale motivo rientra e cambia auto, che verrà notata dalla Latona posteggiala davanti a casa, in orario che, per quanto sopra detto trattando specificamente di tale indizio, non è affatto incompatibile con la deposizione Gozi, considerando la stretta prossimità dell’abitazione e il fatto che l’avvistamento successivo del Gozi è da collocarsi a circa venti minuti o mezz’ora dopo”.

Il Logli non cambiò auto perché fu visto all’interno della sua Ford Escort da Loris Gozi, come affermato dai giudici, non ne avrebbe infatti tratto alcun beneficio. Anzi, il fatto che il Gozi abbia potuto identificare non una ma due delle auto appartenenti alla famiglia Logli/Ragusa, in strada, quella sera, ha danneggiato Antonio Logli.

Purtroppo però inquirenti e magistrati hanno ignorato due fatti di rilievo:

a) una testimone vide il Logli pulire la strada nel punto dove aveva temporaneamente parcheggiato la sua Escort la notte della scomparsa della Ragusa e dove era stato notato dal Gozi;

b) la collaboratrice domestica di Roberta, Margherita Latona, ha sostenuto di aver visto il Logli pulire il vialetto di casa sua e proprio nel punto in cui la notte stessa della scomparsa di Roberta era parcheggiata la sua Escort.

In un’intervista, nel tentativo di sminuire il valore della dichiarazione della Latona agli inquirenti, il Logli ha detto: “Margherita Latona fece una telefonata, l’ho letto nelle carte, era affacciata allo stanzino del… dove io ho la lavatrice di casa e sotto di lei c’è uno stanzino dove tengo, diciamo, un ripostiglio, all’interno avevo una busta con della sabbia che uso per mettere nei commenti del piazzale dell’autoscuola, mentre prendo questa busta e giro per andare verso il piazzale in terra dei ragazzini avevano fatto quei disegni per fare il gioco che ci si salta dentro e mi sembravano brutti e io ho preso qualcosa e ho cominciato a grattare per vedere se lo potevo togliere, in realtà dopo poco mi so accorto che non ci facevo nulla le strisce, le righe che erano in terra son rimaste tali e quali”.

Con questa dichiarazione, il Logli ha aggiunto un tassello cruciale alla ricostruzione dei fatti della notte della scomparsa di Roberta Ragusa, ha affermato di aver usato la sabbia il giorno seguente. La sabbia è infatti la chiave di questo caso.

Loris Gozi vide Antonio Logli, in via Gigli, fermo dentro la sua Ford Escort station wagon a fari spenti tra le 00.30 e le 00.40.

La notte del 13 gennaio 2012 la domestica vide la Ford Escort del Logli parcheggiata nel vialetto poco dopo le 00.40.

La notte dell’omicidio, Antonio Logli danneggiò il contenitore del filtro del gasolio della sua Ford Escort station wagon ed il giorno dopo pulì sia la strada che il vialetto per nascondere le tracce del fatto che la sua macchina la notte precedente aveva stazionato in quei due luoghi.

Il Logli, la notte dell’omicidio, maturò l’idea di uccidere sua moglie mentre si trovava in strada all’interno della sua Ford Escort station wagon e cambiò macchina non perché lo vide il Gozi, come erroneamente affermato dai giudici nelle motivazioni della sentenza, ma per non rischiare che l’auto danneggiata, ovvero la sua Escort, lo lasciasse a piedi in una delle fasi dell’omicidio e dell’occultamento del corpo di Roberta.

Antonio Logli, dopo essersi accorto del guasto, riportò a casa la Ford Escort, la parcheggiò nel vialetto, dove non era solito lasciarla e dove la vide la collaboratrice domestica, Margherita Latona, e uscì di nuovo, questa volta con la Citroen (C3) di Roberta. 

E’ logico inferire che il Logli non avrebbe perso tempo a riempire con la sabbia i “commenti” del piazzale dell’autoscuola nel caso fosse stato preoccupato per la scomparsa di Roberta tantomeno nel caso l’avesse uccisa, pertanto si può concludere che abbia usato la sabbia per asciugare il gasolio colato dalla sua auto sulla pavimentazione del vialetto. 

Il Logli pulì la strada ed il vialetto di casa sua per il timore che la perdita di gasolio lo tradisse, posto che era la riprova che la sera della scomparsa della moglie lui si trovava in via Gigli in auto e non a letto. Per questo stesso motivo, pur sapendola danneggiata, usò la propria auto per raggiungere il cimitero al mattino dopo, lo fece per lasciare la Ford Escort a debita distanza da casa, per evitare che qualcuno notasse che perdeva gasolio e che quindi quella perdita accreditasse il racconto dei testimoni per la presenza di chiazze di gasolio nei luoghi dove la sua auto era stata ferma quella notte.

L’errata ricostruzione dei fatti operata su questo punto dai magistrati, ha permesso al Logli di dire in un’intervista: “(…) non torna niente in questa cosa, poi dopo, siccome io sarei stato visto, ho cambiato macchina, cioè cosa sarebbe cambiato cambiando macchina? Se m’hai visto, m’hai visto”. 

Secondo i giudici: “A tale proposito vengono citate le dichiarazioni rese da un amico dell’imputato (…) propose di fare un giro in macchina transitando dai due cimiteri ove erano seppelliti i genitori della Ragusa. Saliti sulla Ford di proprietà dell’imputato e giunti al cimitero  di Pisa, si constatò tuttavia che il motore dell’auto non si avviava, nonostante l’imputato provasse a caricare il circuito di alimentazione del gasolio con l’apposita pompa del vano motore.  A quel punto veniva chiamato il padre dell’imputato che giungeva dopo circa 15/20 minuti e li riaccompagnava a casa (…) A tale proposito affermava che la problematica al  motore dell’auto, a dire dell’imputato si verificava frequentemente e che egli stesso, guardando il  vano motore, notava che il contenitore del filtro del gasolio era avvolto in una pellicola trasparente del tipo da cucina”.

E’ in questo stralcio di motivazioni la conferma del fatto che il Logli si era accorto, ben prima di giungere al cimitero, che il contenitore del filtro era rotto, lo aveva infatti già rivestito con la pellicola da cucina. 

Secondo i giudici: “Il delitto non era certo stato programmato per quella data e in quella occasione, come attestano le circostanze accertate e finanche la mancanza da parte del Logli della possibilità di approntare e addurre più adeguate e logiche circostanze della scomparsa della moglie e di costruire un albi più solido a suo favore, ma tuttavia proprio dal mancato ritrovamento del corpo si deve escludere che si sia trattalo di dolo d’impeto.

In qualunque modo ne abbia cagionato la morte, il mancato rinvenimento del corpo nonostante le già illustrate massicce ricerche, e a prescindere dalla circostanza tecnica che non sia stata contestata la premeditazione, indica chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie, significativamente e a ragion veduta temuta dalla povera Ragusa, ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi. La notte dei fatti invece la situazione è precipitata, con la scoperta da parte della Ragusa, sorpresa a sua volta dal marito e la immediata resa dei conti culminata nel terrore e nella fuga della donna raggiunta e coattivamente trattenuta, e nella sua soppressione. Insomma la mancata scoperta del corpo e delle modalità esecutive dell’omicidio qualificano in modo vieppiù negativo la personalità dell’autore e la sua capacità criminosa, la freddezza nell’ideazione, la precisione nell’esecuzione, e infine l’efficacia nella soppressione del corpo”.

I cadaveri si trovano più spesso per caso che durante le ricerche, pertanto è proprio la casistica ad indurci a dubitare che il fatto che il corpo di Roberta Ragusa non sia stato ritrovato indichi “chiaramente che l’imputato si fosse comunque già prefigurato nei dettagli l’evenienza della soppressione della moglie (…) ponendosi e con un certo anticipo il problema di disfarsi del cadavere, in modo senza dubbio efficiente alla luce degli eventi”. 

Ed è proprio il modo in cui il Logli tentò di uccidere Roberta, ovvero facendola cadere dalle scale, che ci permette di escludere che, prima della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, lo stesso avesse pensato ad un luogo dove occultarne il corpo.

Il Logli pensò al luogo dove avrebbe potuto occultarne il corpo (lo stesso luogo dove la uccise) mentre si trovava all’interno della sua Ford Escort quella stessa notte, in precedenza aveva pensato di sopprimerla simulando un incidente. In altre parole, il Logli non era preparato al susseguirsi degli eventi della notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012.

– Dottoressa Franco, vuole aggiungere qualcosa?

Quando i Media prendono le parti di un sociopatico, c’è il rischio che venga reintegrato nella società e che reiteri. In parole povere, chi commette un omicidio e la fa franca, non è raro che ne commetta un secondo, si vedano i casi di Alessandro Cozzi e Bruno Lorandi. Il rischio è ancora maggiore quando l’omicida è un potenziale serial killer.

STATEMENT ANALYSIS, ROBERTA SACCHI INTERVISTA URSULA FRANCO

PAROLA AL COLPEVOLE, LinkedIn, 28 maggio 2020

STATEMENT ANALYSIS, ROBERTA SACCHI* INTERVISTA URSULA FRANCO, Le Cronache Lucane, 28 maggio 2020

*Roberta Sacchi è Psicologa giuridica – Criminologa – Consulente Tecnico di Parte in procedimenti civili e penali

la dottoressa Roberta Sacchi

Sapevate che le parole di un sospettato, di un indagato e di un testimone sono una fonte inesauribile di informazioni per ricostruire un caso giudiziario? Forse sì. E non si tratta di intuito. Esiste una tecnica che può aiutare inquirenti, magistrati e avvocati a non incappare nell’errore giudiziario. Questa tecnica si chiama Statement Analysis.

Ne ho parlato con l’amica e collega dr.ssa Ursula Franco, medico e criminologo. Ursula è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis. La dottoressa Franco si occupa soprattutto di morti accidentali, incidenti scambiati per omicidi e di errori giudiziari.

Che cos’è la Statement Analysis?

La Statement Analysis è una tecnica di analisi del linguaggio che permette di ricostruire i fatti relativi ad un caso giudiziario attraverso lo studio di ogni parola presente nelle dichiarazioni di sospettati, indagati e testimoni. E’ una scienza complessa che si basa sul principio che le dichiarazioni veritiere differiscono da quelle false in alcune parti del linguaggio. Ad esempio: è logico aspettarsi che un soggetto racconti fatti accaduti nel passato usando il verbo al passato, pertanto quando, dopo aver parlato al passato, parla al presente, è alquanto probabile che non stia pescando nella memoria.

Quanto è sottovalutata l’analisi delle dichiarazioni?

Purtroppo molti tra gli addetti ai lavori ritengono che sia una perdita di tempo interrogare coloro che non intendono dire la verità invece l’analisi delle dichiarazioni di un soggetto che non dice il vero è comunque utile per ricostruire i fatti. 

Un luogo comune da sfatare?

In molti ritengono che la gente che non dice il vero falsifichi; in realtà, il 90% dei soggetti che non raccontano la verità dissimulano, ovvero non raccontano menzogne ma semplicemente nascondono volontariamente alcune informazioni senza dire nulla di falso. Non solo tacciono l’informazione vera ma presentano un’informazione falsa come fosse vera. Solo il 10% di coloro che non dicono il vero falsificano. Falsificare è infatti molto impegnativo in quanto costringe a ripetere all’infinito la prima bugia e a far ricorso a superfetazioni sempre più articolate per tenerla in piedi. Inoltre, la dissimulazione è considerata meno riprovevole della falsificazione perché, essendo un comportamento passivo, fa sentire meno in colpa. Peraltro, chi dissimula può giustificarsi più facilmente di chi falsifica, ad esempio sostenendo di non aver detto tutto a causa di una dimenticanza.

Come possiamo capire che le informazioni mancano?

Da alcuni indicatori che rileviamo nelle dichiarazioni quali auto censure, lacune temporali, frasi che iniziano con “E”.

Simone Santoleri

Che cos’è il “Leakage”?

E’ un fenomeno che si manifesta in tutti noi, ma che è particolarmente interessante quando si interroga l’autore di un omicidio. Il “Leakage” consiste nel rilascio involontario di informazioni che stazionano nella mente del soggetto interrogato e che sono rilevanti per la ricostruzione dei fatti sui quali si esprime, dalla dinamica omicidiaria all’occultamento. Faccio un esempio. Due settimane prima del ritrovamento del corpo di Renata Rapposelli, il figlio Simone Santoleri, durante un’intervista rilasciata alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, disse:

“Ero qui… stavo qui chiamano… chiama il numero di telefono, è un numero strano 0773 che è il prefisso di… 071 è Ancona quindi 07 è le Marche, qua intorno è sempre le Marche: e che cazzo di numero è? Pronto? Pronto! Buongiorno, sono il maresciallo della caserma di Cingoli, mi viene Chienti, non so perchè, ma invece è Cingoli […]”.

Incredibilmente Simone Santoleri citò il Chienti, il fiume dove dopo due settimane venne ritrovato il corpo della madre Renata. Questo naturalmente è un caso eclatante, in altri casi in Leakage è più sfumato ma con un’attenta analisi possiamo cogliere molte informazioni.

Che importanza ha l’analisi di una telefonata di soccorso?

Una telefonata di soccorso è equiparabile ad un interrogatorio, anzi è da considerarsi il primo interrogatorio. C’è di più, l’analisi della telefonata di soccorso spesso permette di individuare la strategia d’indagine perché le parole di chi chiama ci rivelano se il soggetto è coinvolto o meno.

Alberto Stasi

Può farci un esempio di telefonata di soccorso incriminante?

La telefonata di Alberto Stasi che ha ucciso la fidanzata Chiara Poggi.

Durante tutta la telefonata l’operatore è a pesca di informazioni che inaspettatamente Stasi non gli rivela spontaneamente.

Il tono della voce non è in accordo con i fatti descritti. Mancano l’enfasi e la modulazione del tono della voce, mancano i picchi sulle parole chiave e non traspare alcun coinvolgimento emotivo.

Stasi richiede un’ambulanza fornendo un indirizzo mancante del numero civico, numero del quale Alberto avrebbe potuto rapidamente accertarsi; non solo, Alberto Stasi non informa il telefonista del 118 che il corpo di Chiara si trova sulle scale che conducono nella cantina della villetta. Tra l’altro Stasi è a conoscenza che il cancello di casa Poggi è chiuso e che, inevitabilmente, tale circostanza rallenterà i soccorsi, ma non si preoccupa di tornare indietro per aprirlo e per riferire il numero civico; un comportamento che ci indica che Stasi non ha urgenza che Chiara venga soccorsa.

Stasi, secondo quanto riferito all’operatore, comunica la probabile morte di Chiara senza avere le competenze mediche per farlo. Comunicare la morte di un soggetto per il quale si stanno chiamando i soccorsi, non è certamente un invito rivolto ai soccorritori a recarsi rapidamente sulla scena. La reazione di un innocente che scopre la vittima di un omicidio o di un incidente è generalmente opposta, soprattutto i familiari negano nell’immediatezza la morte di un loro caro per l’incapacità di metabolizzare un’informazione così sconvolgente, anzi chiedono ai soccorritori di praticare sul corpo del defunto ogni misura medica possibile per resuscitarlo, anche quando questi appare “irrimediabilmente” morto.

Alberto non fa alcun riferimento alla vittima, solo in seguito alle domande dell’operatore del 118, ne parla come di una estranea, affermando: “credo che abbiano ucciso una persona” e “lei è sdraiata per terra”; infine, e solo in risposta ad una domanda dell’operatore, la definisce “la mia fidanzata”.  Stasi, non introducendo, come avrebbe dovuto, la vittima, ovvero con nome, cognome e tipo di relazione che aveva con lei, ci informa della qualità del loro rapporto. Non fare il suo nome gli permette, inoltre, di depersonalizzarla in modo da ridurre lo stress che gli provoca il dover parlare di lei.

Che significa “contaminare” un’intervista o un interrogatorio?

Significa introdurre, attraverso le domande, termini diversi da quelli usati dall’interrogato, termini che entreranno nel suo linguaggio e lo aiuteranno a mentire. Un interrogatorio contaminato non è analizzabile, va escluso dagli atti.

Quali sono le negazioni credibili?

Gli esseri umani parlano per essere compresi ed in economia di parole. Chi dissimula si affida all’interpretazione delle proprie parole da parte di interlocutori inesperti e lo fa fornendo risposte che si avvicinano soltanto a negazioni credibili. Le negazioni credibili hanno una struttura precisa. Da un soggetto “innocente de facto”, accusato di aver commesso un omicidio, ci aspettiamo come priorità una negazione credibile in risposta ad una domanda aperta, “Io non ho ucciso tizio”, e ci aspettiamo che il soggetto accompagni alla negazione le seguenti parole “sto dicendo la verità”. Esiste una regola in Statement Analysis, “No man can lie twice”: se un soggetto nega in modo credibile di aver commesso un omicidio, ovvero dice “Io non ho ucciso tizio”, ma nella realtà l’ha uccisa, non sarà in grado di riferirsi alla sua menzogna dicendo “sto dicendo la verità” ma dirà invece frasi come “io non dico bugie” o “io non mento”.

Che cos’è il “muro della verità”?

Gli innocenti “de facto” possiedono la protezione del cosiddetto “muro della verità” (wall of truth), ovvero un’impenetrabile barriera psicologica che gli permette di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto non hanno necessità di convincere nessuno di niente. Al contrario, i colpevoli si perdono in lunghe tirate oratorie e sermoni finalizzati alla persuasione dei propri interlocutori.

Perché “Sono innocente” non è considerata una negazione credibile?

Perché dirsi innocenti non equivale a negare l’azione omicidiaria. L’unica negazione credibile che inglobi la parola “innocente” è la seguente: “Io non ho ucciso tizio. Sto dicendo la verità. Sono innocente”. Solo un soggetto innocente “de facto” è capace di dire “Io non ho ucciso tizio. Sto dicendo la verità”. Un innocente “de iure” ma non “de facto” è capace di dire solo “Sono innocente”.

Può farci alcuni esempi concreti di Statement Analysis?

Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi:

“Io non ho fatto niente a Chiara, non ho fatto assolutamente nulla” e “Non ho… non ho fatto nulla alla Chiara, non ho fatto nulla alla Chiara” e “Non sono stato io”.

“Io non ho fatto niente a Chiara”, “non ho fatto assolutamente nulla” e “Non sono stato io” non sono negazioni credibili. Peraltro, quando Stasi ha detto “non ho fatto assolutamente nulla”, attraverso l’uso dell’avverbio “assolutamente”, ha mostrato di avere bisogno di convincere, un bisogno che gli innocenti non hanno.

Francesco Furchì, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Alberto Musy:

“Non solo vi dico che sono innocente ma credo che, voi, se sarete giusti… se sarete giusti, dimostrerete che una Corte non possa condannare una persona che non ha assolutamente fatto niente, perché potrei avere tutti i difetti di questo mondo, ma non ho assolutamente sparato a Musy, io non ho mai sparato contro nessuno, non ho mai preso una pistola in mano e credo che arrivare a 51 anni e fare un atto del genere piuttosto mi sarei s… ucciso direttamente io in… in carcere”

Furchì, invece di dire “Io non ho sparato a Musy, sto dicendo la verità, sono innocente”, si una tirata oratoria di 85 parole durante la quale ha provato a negare e ad ingraziarsi la Corte.

Dirsi innocente non equivale a negare l’azione omicidiaria. Peraltro, all’epoca di queste dichiarazioni, Furchì era ancora innocente “de iure”. Se fosse stato innocente “de facto” avrebbe negato in modo credibile di aver ucciso Musy.

“Una persona che non ha assolutamente fatto niente” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica.

“Non ho assolutamente sparato a Musy” non è una negazione credibile per la presenza dell’avverbio “assolutamente”. Peraltro proprio l’uso di “assolutamente” rivela un bisogno di convincere.

“io non ho mai sparato contro nessuno” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica e lascia aperta la porta alla possibilità che Furchì non abbia sparato contro nessuno finché non l’ha fatto.

“Non ho mai preso una pistola in mano” non è una negazione credibile perché atemporale e aspecifica e lascia aperta la porta alla possibilità che Furchì non abbia preso una pistola in mano finché non l’ha fatto.

Alessandro Cozzi, condannato a 24 anni per l’omicidio di Alfredo Cappelletti: “va da sé che io non sono stato”.

“va da sé che io non sono stato” non solo non è una negazione credibile ma è anche un tentativo di ridicolizzare le accuse. Alessandro Cozzi è imputato in un processo per omicidio, non c’è nulla di scontato, nulla che vada “da sé”. Un innocente “de facto” avrebbe colto l’occasione per negare in modo credibile di aver commesso l’omicidio del quale è accusato.

Ringrazio Ursula per il suo prezioso lavoro, per la stima e l’amicizia che ci lega e per avermi concesso questa intervista.

APPIAPOLIS: OMICIDIO DI ALFREDO CAPPELLETTI, ANALISI DELLE DICHIARAZIONI DI ALESSANDRO COZZI

malke OMICIDIO DI ALFREDO CAPPELLETTI: ANALISI DELLE DICHIARAZIONI DI ALESSANDRO COZZI      

–      di Ursula Franco  *      –              

Nel 2011, Alessandro Cozzi ha confessato l’omicidio di Ettore Vitiello, il titolare di un’agenzia per il lavoro di Milano. Cozzi e Vitiello avevano collaborato all’istituzione di corsi di formazione finanziati dalla Regione Lombardia. Cozzi aveva incassato dalla Regione i 34.000 euro che lui e Vitiello avrebbero dovuto dividersi ma li aveva tenuti tutti per sé e in seguito alla richiesta da parte del Vitiello dei propri 17.000 euro il Cozzi lo aveva accoltellato 40 volte alla alessandro cozzi OMICIDIO DI ALFREDO CAPPELLETTI: ANALISI DELLE DICHIARAZIONI DI ALESSANDRO COZZIschiena con un coltello da cucina. Non solo un testimone aveva assistito all’omicidio dalla finestra di fronte ma nella colluttazione con il Vitiello il Cozzi aveva riportato ferite sia alle mani che all’addome.

Alessandro Cozzi, che ha condotto la trasmissione Rai Educational “Diario di Famiglia”, è stato condannato a 14 anni di reclusione per l’omicidio di Ettore Vitiello (29 marzo 2011) e a 24 anni per quello di Alfredo Cappelletti (13 settembre 1998).

La condanna per l’omicidio Cappelletti è tardiva, infatti, in prima istanza il caso era stato inspiegabilmente archiviato come suicidio. Solo dopo l’omicidio del Vitiello, la procura ha riaperto il caso Cappelletti e ha indagato su Alessandro Cozzi.

alfredo cappelletti OMICIDIO DI ALFREDO CAPPELLETTI: ANALISI DELLE DICHIARAZIONI DI ALESSANDRO COZZIDomenica 13 settembre 1998, l’imprenditore Alfredo Cappelletti, 49 anni, poche ore dopo essersi recato nel suo ufficio di via Malpighi con Alessandro Cozzi, è stato trovato morto proprio dal Cozzi e da sua figlia Elisabetta. L’autopsia ha rivelato che il Cappelletti era stato ucciso da un’unica coltellata al petto. Dalle indagini è emerso che il Cappelletti voleva chiudere i rapporti di lavoro con il Cozzi in quanto lo stesso aveva deviato pagamenti spettanti alla società del Cappelletti, la “Innova Skills srl”, a una società di cui lui e sua moglie erano titolari, la “People Improvement”.

Nel luglio 2017, al termine del processo di primo grado per l’omicidio di Alfredo Cappelletti, Alessandro Cozzi è stato condannato all’ergastolo. La Corte d’Assise d’Appello di Milano, dopo aver escluso l’aggravante della premeditazione, ha poi riformato la sentenza del primo grado e lo ha condannato a 24 anni di reclusione.

Analisi delle dichiarazioni rilasciate dall’imputato Alessandro Cozzi durante il processo di primo grado per l’omicidio di Alfredo Cappelletti

In Statement Analysis partiamo dal presupposto che chi parla sia “innocente de facto” e che parli per essere compreso. Pertanto, da un “innocente de facto” ci aspettiamo che neghi in modo credibile e che lo faccia spontaneamente. Ci aspettiamo anche che nel suo linguaggio non siano presenti indicatori caratteristici delle dichiarazioni di coloro che non dicono il vero. 

Un “innocente de facto” non ci sorprenderà, negherà in modo credibile già dalle prime battute.

Un “innocente de facto” mostrerà di possedere la protezione del cosiddetto “muro della verità” (wall of truth), un’impenetrabile barriera psicologica che permette ai soggetti che dicono il vero di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno di niente.

Da Alessandro Cozzi ci aspettiamo che neghi in modo credibile di aver ucciso il suo amico Alfredo Cappelletti e che possegga il cosiddetto “muro della verità”. 

Una negazione credibile è composta da tre componenti:

  1. il pronome personale “io”;
  2. l’avverbio di negazione “non” e il verbo al passato “ho”, “non ho”;
  3. l’accusa “ucciso tizio”.

Una negazione è credibile non solo quando è composta da queste tre componenti ma anche quando è spontanea, ovvero non è pronunciata ripetendo a pappagallo le parole dell’interlocutore.

La frase “io non ho ucciso Alfredo Cappelletti”, seguita dalla frase “ho detto la verità” o “sto dicendo la verità” riferita a “io non ho ucciso Alfredo Cappelletti”, è una negazione credibile. Anche “io non ho ucciso Alfredo Cappelletti, ho detto la verità, sono innocente” è da considerarsi una negazione credibile. 

Alessandro Cozzi: L’impatto di quel momento è… indescrivibile, ovviamente non avrei mai potuto… pensare… che Alfredo potesse togliersi la vita, va da sé che io non sono stato, lo dichiaro apertamente, ma… se mi fossi fermato… comunque… questo è successo.

Con la frase “L’impatto di quel momento è… indescrivibile” il Cozzi mostra da subito di essere un manipolatore, egli infatti non ci sta dicendo che cosa provò, è vago e lascia carta bianca ai suoi interlocutori per far sì che siano loro ad interpretare le sue parole. 

Quando il Cozzi dice: “ovviamente non avrei mai potuto… pensare… che Alfredo potesse togliersi la vita” ci conferma che Alfredo è stato ucciso.

“va da sé che io non sono stato” non solo non è una negazione credibile ma anche un tentativo di ridicolizzare le accuse. Alessandro Cozzi è imputato in un processo per omicidio, non c’è nulla di scontato, nulla che vada “da sé”. Se è innocente “de facto” ci aspettiamo che colga l’occasione per negare in modo credibile di aver ucciso il Cappelletti.

Il Cozzi dice “lo dichiaro apertamente” lasciando intendere che per negare ci voglia coraggio ed invece negare in modo credibile è gratis.

Si noti la congiunzione coordinativa avversativa “ma” dopo il tentativo di negare. Il “ma” esprime esplicita contrapposizione a ciò che precede. La parola “ma” è utilizzata per confutare o minimizzare, tramite il confronto, le parole che la precedono. Le parole che la seguono sono, nel contesto, più importanti per chi parla di quelle che la precedono. Al “ma”, in questo caso segue un’ammissione tra le righe. Quando il Cozzi dice “se mi fossi fermato… comunque… questo è successo”, dice il vero, se il Cozzi si fosse fermato alla discussione il Cappelletti non sarebbe morto quel giorno. 

Si sappia che il Cozzi ha preparato queste dichiarazioni, non parla a braccio, legge, egli trae piacere dal prendersi gioco dei suoi interlocutori attraverso l’uso di termini che possono avere plurime interpretazioni. 

“comunque… questo è successo” è una dichiarazione da sociopatico. Il Cozzi ha scelto di uccidere il povero Cappelletti, non è stato un evento ineluttabile.

Alessandro CozziNoi eravamo molto amici, da tanti anni, ci eravamo conosciuti in oratorio, come ormai sapete tutti, quando io ero ancora un ragazzo, invece lui era un po’ più grande di me e quindi era un animatore giovanile. Noi due, intendo Alfredo ed io, e le nostre famiglie abbiamo a lungo camminato insieme costruendo quella che io credo proprio si possa chiamare una amicizia autentica, solida, che perdurava nel 1998, non aveva avuto intoppi o inciampi. Proprio perché c’era questa amicizia importante tra Alfredo e me coltivata negli anni. Quando io ho completato il mio processo di studi, mi sono laureatoo… hoo… superato la successiva scuola di perfezionamento superiore, è stato anche naturale tra noi due cominciare a parlare di questioni lavorative. Alfredo mi propose di avvicinarmi al suo mondo, quindi alla consulenza ed alla formazione aziendale.

Una tirata oratoria di intento manipolatorio durante la quale il Cozzi ci riferisce che è cattolico, laureato e perfezionato e che ha famiglia. In statement Analysis sappiamo che la necessità da parte di un soggetto di dipingersi come un “Good Guy” nasconde il contrario: “Good Guy” uguale “Bad Guy”. 

Il fatto che il Cozzi si dilunghi e che ripeta quanto stretto fosse il legame di amicizia che lo legava alla vittima e che perdurasse nel 1998 senza intoppi o inciampi rivela un bisogno di convincere che ci induce a sospettare il contrario.

Alessandro Cozzi: Mentre Alfredo si trovava a Londra per un convegno, la famiglia di Alfredo, la moglie ed i due figli mi hanno chiamato… per chiedermi aiuto. Hanno chiamato me, non un altro, perché avevano una grossa preoccupazione per ciò che avevano visto succedere nei mesi precedenti e si sono rivolti a me. Le prime parole che mi disse Maria Pia (moglie di Alfredo Cappelletti) era: “In nome della antica amicizia, ti dobbiamo parlare”. Va detto che da diversi mesi Alfredo ed io stavamo molto parlando non soltanto di questioni professionali a… come amici appunto, stavamo parlando di lui, di lui, perché era molto a disagioo… con se stesso, lui sentiva ormai esaurito il suo matrimonio e la cosa lo faceva stare molto male. Aveva combattuto contro questa realtà già da tempo maa… la cosa gli stava a suo dire sfuggendo di mano. Mi chiedono dunque di parlargli, di parlargli essenzialmente degli aspetti familiari, non degli aspettii… professionali, perché loro erano molto preoccupati da questo ventilato abbandono. Ci mettiamo d’accordo che appena Alfredo sarebbe ritornato, era previsto ritornasse il sabato di quella stessa settimana, alla prima occasione io gli avrei parlato… E così si arriva alla domenica. Alla domenica mattina mi chiamano da casa beh… Cappelletti alle 8 e 10. E’ stato Alessandro (figlio di Alfredo Cappelletti) per dirmi che effettivamente la sera prima c’era stato di nuovo un momento di tensione, Alfredo aveva formalmente annunciato l’intenzione di abbandono della famiglia, le parole usate sono state queste.

Dicendo “una grossa preoccupazione per ciò che avevano visto succedere nei mesi precedenti”, “loro erano molto preoccupati”, “c’era stato di nuovo un momento di tensione” “abbandono della famiglia” e “perché (il Cappelletti) era molto a disagioo… con se stesso” il Cozzi tenta di drammatizzare per lasciare intendere che il povero Alfredo avesse perso la testa in modo da accreditare l’ipotesi suicidiaria. 

E poi dice “Hanno chiamato me, non un altro”, “si sono rivolti a me” e “Mi chiedono dunque di parlargli” per giustificare l’incontro con il povero Alfredo.

Si focalizzi su questo stralcio “Mi chiedono dunque di parlargli, di parlargli essenzialmente degli aspetti familiari, non degli aspettii… professionali”. L’uso di “essenzialmente”  indebolisce la sua affermazione e accoppiato alla frase al negativo “non degli aspettii… professionali” lascia inferire che invece abbiano parlato proprio “degli aspetti professionali”.

Alessandro Cozzi: C’era poi questo elemento delle spese… che furono sollevate in quella riunione familiare, essenzialmente da Alessandro, ma poi tutti le avevamo viste eh succedere. Eee… io ricordo bene che… abbiamo avuto anche un momento più leggero ricordando le origini genovesi di Alfredo, non era mai stato incline alla spesa facile, anzi qualche volta lo si rimproverava di essere un po’ ristretto invece da alcuni mesi stava facendo spese davvero esagerate. Penso proprio di ricordare di aver detto una frase del tipo: “L’unica maniera sarebbe farlo interdire”, non è possibile infatti, non era un… progetto, né una proposta.

Ancora una volta, il Cozzi, dicendo “tutti le avevamo viste eh succedere” e “da alcuni mesi stava facendo spese davvero esagerate” vuol lasciar passare il messaggio che il povero Cappelletti avesse perso la testa. Peraltro l’uso di “davvero” prima di “esagerate” indebolisce la sua affermazione.

Si noti “Penso proprio di ricordare”, una frase che ci informa che ciò che il Cozzi sta per dire è vero, ma anche che ciò che ha riferito in precedenza non lo è. Non avrebbe infatti ragione di sottolineare di ricordarsi questo fatto posto che chi dice il vero riferisce solo ciò che si ricorda.

Alessandro Cozzi: Io non so quanto c’entrasse in questo la… supposta, presunto vicenda con Laura Daglia, abbiamo già sentito dire qui che in ufficio la cosa destava imbarazzo a tutti. Io e lui ne avevamo anche parlato. C’era stato un rimprovero da parte della figliola al padre ed alla Daglia stessa, comunque Alfredo a me personalmente non ha mai detto: “Io ho una relazione con Laura Daglia”, non l’ha neanche negato. Però devo pure testimoniare che non l’ha detto. Mi sembrava che ci fosse un interesse un poco più che amicale. Ma comunque Alessandro (il figlio di Alfredo) la mattina mi conferma che Alfredo vuole andare via, dopodiché siamo andati a messa come era nostra abitudine. Dopo la messa, come già sapete, che vuol dire verso le 11 del mattino, f… forse qualche minuto prima, ho agganciato Alfredo e ho cominciato questa conversazione, siamo arrivati fino all’ufficio.

Si noti che il Cozzi rimarca che, per lui andare a messa era un’abitudine per tornare a rappresentarsi come un “Good Guy”.

All’esame medico legale, sul corpo del Cappelletti sono state rilevate una ferita penetrante da arma da taglio all’emitorace sinistro, sopra il capezzolo, e una piccola ferita da taglio sull’eminenza tenar della mano destra. La ferita al torace interessò gli organi interni, il lobo superiore del polmone sinistro, il sacco pericardico e il lobo inferiore del polmone destro con un tramite alto/basso, sinistra/destra. Assenti sia le classiche lesioni da difesa che presentano alle mani le vittime di omicidi per accoltellamento che le cosiddette ferite “di assaggio” che di solito si auto infliggono, prima del colpo mortale, coloro che intendono suicidarsi accoltellandosi al cuore, al petto. 

Al momento del ritrovamento Alfredo Cappelletti aveva il coltello nella mano sinistra. E’ infrequente che un suicida estragga il coltello dopo essersi accoltellato. A Ospedaletto, Pisa, nel luglio 2019, il cadavere di un uomo che aveva un grosso coltello da cucina conficcato nel petto è stato ritrovato nel parcheggio di un’aera commerciale. L’analisi delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza hanno permesso di ricostruire i fatti: l’uomo, un operaio residente a Cascina, ha raggiunto il parcheggio intorno alle 5.00 del mattina, è sceso dall’auto, ha bevuto una bottiglia di trielina estratta dal bagagliaio, si è poi sedutoin macchina e si è accoltellato al petto.

Nel racconto del Cozzi, si noti la frase “ho agganciato Alfredo”. E’ una frase particolarmente interessante per l’uso del termine “agganciato”, termine che il Cozzi non pronuncia a caso. Potrebbe trattarsi di Leakage. Il “Leakage” consiste nel rilascio involontario di informazioni che stazionano nella mente del soggetto e che sono rilevanti per la ricostruzione dei fatti sui quali si esprime. In questo caso, il termine “agganciato” potrebbe riferirsi alla dinamica omicidiaria. Alfredo Cappelletti fu infatti pugnalato al torace dopo essere stato “agganciato” dal Cozzi da dietro. In parole povere, il Cozzi pugnalò il Cappelletti prendendolo alle spalle, come ipotizzato dal PM arma delitto OMICIDIO DI ALFREDO CAPPELLETTI: ANALISI DELLE DICHIARAZIONI DI ALESSANDRO COZZIMaurizio Ascione, simulando quindi l’azione di un “gancio”, poi estrasse il coltello e lo appoggiò “nella mano sinistra” della vittima perché era a conoscenza del fatto che Alfredo “era stato appena colpito da un’ischemia che aveva indebolito l’intero lato desto del corpo”. La lesione all’eminenza tenar della mano destra è riconducibile, come suggerito da uno dei medici legali, “ad un gesto istintivo, di chi si porta la mano dove è stato colpito”.

Alessandro Cozzi: Io nel pomeriggio l’ho chiamato, alle 16 e 44 eee… sono andato a prenderlo… con l’intenzione di riprendere il discorso. Eee… di nuovo ci siamo recati in ufficio e lì abbiamo, invece, ehm… avuto un colloquio molto denso, questa volta io non sono stato sulle generali, sono stato sicuramente molto più esplicito… ehm… e forse anche un po’ duro… forse sì… e l’ho rimproverato… perché lasciare la famiglia non mi sembrava una soluzione per i suoi problemi eee…. gettarsi in avventure nuove o diverse non era da lui, non era corrispondente alla sua storia e questa volta Alfredo ha corrisposto, abbiamo dialogato più intensamente, ha forse maggiormente aperto eh… se stesso dicendo della sua stanchezza, del suo disagio del… di nuovo abbiamo affrontato il tema della paura di una potenziale paresi per effetto della… dell’ischemia, però nel corso del colloquio eh… dopo una prima parte, diciamo il primo quarto d’ora che è stato anche un po’ spinoso, perché io dicevo cose e lui me le rintuzzava, c’è stata una… seconda parte… più intensa, più profonda e nello stesso tempo anche più significativa… e un’ultima parte in cui ho parlato quasi soltanto io per cercare di dirgli eh… chiaramente il pensiero, lui ascoltava, accennava e ha detto: “Beh grazie, tutto questo deve essere oggetto di riflessione”. Io… ho detto: “Va bene, pensaci”. Lui mi ha detto: “Ci pe… voglio pensarci subito e quindi lasciami qua, ci penso, ti richiamo”… Fino alla fine dei miei giorni io porterò il rammarico per avere eh… acconsentito a questa richiesta. Non… di questo non potete avere idea. Ma mi sembrava in quel momento una buona cosa, lo vedevo riflessivo, lo vedevo eh… pensoso e credo che fosse la cosa giusta per lui, che lui dovesse pensare, che lui dovesse riflettere, per cui sono andato via.

Un’altra tirata oratoria/sermone. Si notino “sono andato a prenderlo… con l’intenzione di riprendere il discorso” e “invece”, parole che ci rivelano che l’argomento della conversazione cambiò rispetto a quello affrontato poche ore prima. 

Questo stralcio “e l’ho rimproverato… perché lasciare la famiglia non mi sembrava una soluzione per i suoi problemi eee…. gettarsi in avventure nuove o diverse non era da lui, non era corrispondente alla sua storia” è da considerarsi un sermone. In Statement Analysis consideriamo il sermone una lezione morale non necessaria rivelatrice di una proiezione della colpa e di disprezzo nei confronti degli interlocutori.

“dicendo della sua stanchezza, del suo disagio” “della paura di una potenziale paresi” sono frasi finalizzate a dipingere la vittima come un potenziale suicida.

Quando il Cozzi dice “c’è stata una… seconda parte… più intensa, più profonda e nello stesso tempo anche più significativa”, parla del momento in cui ha ucciso il Cappelletti. “profonda” è stata infatti la pugnalata inferta ad Alfredo. 

Lo ripeto, il Cozzi ha preparato queste dichiarazioni, non parla a braccio, legge, egli trae piacere dal prendersi gioco dei suoi interlocutori attraverso l’uso di termini che lasciano spazi a più interpretazioni. 

“Fino alla fine dei miei giorni io porterò il rammarico per avere eh… acconsentito a questa richiesta. Non… di questo non potete avere idea. Ma mi sembrava in quel momento una buona cosa” è un tentativo di ingraziarsi gli interlocutori.

In Statement Analysis, a prescindere dal contesto in cui vengono pronunciate, notiamo sempre le parole “mi dispiace” perché è estremamente frequente che vengano emesse da chi ha commesso il reato di cui è accusato e di cui parla. Le parole “mi dispiace” sono da considerarsi una sorta di “Leakage”. “io porterò il rammarico” può essere considerata una frase equivalente a “mi dispiace”. 

Quando il Cozzi dice “un’ultima parte in cui ho parlato quasi soltanto io per cercare di dirgli eh… chiaramente il pensiero, lui ascoltava, accennava” e “lo vedevo riflessivo, lo vedevo eh… pensoso” ci descrive il post accoltellamento e l’amico morente il quale ormai poteva solo ascoltare ed accennare. Come riferito in udienza dal medico legale, la morte del Cappelletti non fu immediata e il Cozzi ce lo conferma.

Quando il Cozzi dice “e credo fosse la cosa giusta per lui”, si riferisce alla pugnalata. Non prova rimorso.

La moglie di Alfredo Cappelletti, Maria Pia, durante un’udienza, ha riferito che il Cozzi l’aveva chiamata dopo aver lasciato il marito in ufficio il giorno dell’omicidio dicendole: “Io ho parlato con Alfredo, gli ho detto che ha una brutta faccia e gli ho detto: “Ma ti stai separando da tua moglie o hai un tumore?”, così proprio di… di… eee… lui non gli ha voluto rispondere o qualcosa di simile”.

Il Cozzi con “brutta faccia” fa riferimento alla faccia del povero Alfredo ferito a morte, il quale naturalmente non poteva rispondergli. C’è una sprezzante ironia in queste parole.

Se come riferito in udienza, il Cappelletti temeva di avere un tumore, il Cozzi non può che averle pronunciate per aumentare lo stato d’ansia di Alfredo.

Il figlio di Alfredo Cappelletti, Alessandro, durante un’udienza, ha riferito che il Cozzi l’aveva chiamato verso le 20 e 10, 20 e 15 sul cellulare il giorno dell’omicidio dicendogli: “Vieni a casa, ho risolto tutto con il papà”

Il Cozzi non mentì ad Alessandro, egli infatti, dopo aver ucciso Alfredo, credette di aver “risolto tutto”. C’è una sprezzante ironia anche in queste parole.

Alessandro Cozzi: Poi mi hanno fatto notare che… non aveva… la macchina per cui ho telefonato in Innova e sul suo cellulare, prima sul telefono fisso e… neanche un minuto dopo sul telefono cellulare. Evidentemente perché avevo intenzione di ri-chiamare sul telefono fisso, cosa che non ho fatto, perché come si vede sempre dal tabulato… a distanza di 3 minuti ho chiamato di nuovo la famiglia Cappelletti e è in questa telefonata che è emersa la possibilità che venisse qualcuno di loro, quindi, probabilmente io ero già in strada, sono tornato indietro, ho raccolto Elisabetta Cappelletti, che si è offerta di venire con me e siamo andati in ufficio. E, come voi sapete, lo abbiamo trovato morto.

La figlia di Alfredo Cappelletti Elisabetta ha dichiarato in udienza: “Mio padre uscì in jeans e camicia, senza le chiavi dell’ufficio, tanto le aveva il consulente. Dopo un paio d’’ore Cozzi ci chiamò per avvertirci che papà avrebbe tardato perché voleva tornare a piedi. Mamma fece notare che non poteva chiudere l’’ufficio e allora lui venne a prendermi”.

Alessandro Cozzi: Ci sono stati giorni frenetici successivamente, bisognava, da un lato cercare di rassicurare tutti eh i clienti e i collaboratori, Gaetano ed io abbiamo fatto del nostro meglio, la famiglia ovviamente… Nelle poche settimane successive a quella metà di settembre è evidentemente maturata la preoccupazione da parte della famiglia, in ufficio si respirava un’aria molto molto pesante e tesa eh… che ha portato, come sapete, al mio allontanamento da Innova Skills che si è formalizzato a fine ottobre di quell’anno.

Alessandro Cozzi: Siamo entrati, il corridoio è breve, camminavamo, Elisabetta ed ioio l’ho chiamato, non c’è stata risposta, non appena siamo arrivati a metà del corridoio, si vedeva in scorcio la porta dell’ufficio di Alfredo aperta e io ho visto il corpo, una sezione, diciamo, del corpo sdraiato a terra, per cui ho accelerato per essere davanti a Elisabetta. Mi sono affacciato alla porta e l’ho visto morto,c’era il sangue sulla camicia, aveva in mano questo coltello, perché la posizione in cui l’ho visto e trovato era con il coltello impugnato nella mano… non impugnato strettamente, appoggiato nella mano sinistra con la lama, così, diciamo, verso la gola, lui era sdraiato supino per terra ed era chiaramente morto, quindi mi sono girato per fermare Elisabetta e sono riuscito a far sì che lei non lo vedesse. Elisabetta è scoppiata in lacrime, si è accasciata lì poco lontano nel corridoio, ho dato una seconda occhiata… penso in questa seconda occhiata di essermi abbassato a toccare il battito eh non sono sicuro esattamente di averlo fatto, però credo proprio di sì. E a quel punto, sconvolto io, naturalmente vedendo Elisabetta sconvolta, avevo bisogno di un sostegno, ho chiamato Gaetano Morgese, che abita molto vicino all’ufficio, sapevo che sarebbe potuto arrivare molto in fretta e poi era l’altra persona, come dire, con cui condividere un momento di questo genere, la persona che in azienda aveva il ruolo… più vicino, l’ho chiamato, lui è arrivato e tutto il resto lo sappiamo già.

La parte iniziale di questo racconto serve al Cozzi per giustificare l’annuncio prematuro fatto ad Elisabetta del “suicidio” del padre: “il corridoio è breve” “io l’ho chiamato, non c’è stata risposta, non appena siamo arrivati a metà del corridoio, si vedeva in scorcio la porta dell’ufficio di Alfredo aperta e io ho visto il corpo, una sezione, diciamo, del corpo sdraiato a terra” e “Mi sono affacciato alla porta e l’ho visto morto, c’era il sangue sulla camicia, aveva in mano questo coltello, perché la posizione in cui l’ho visto e trovato era con il coltello impugnato nella mano”.

Si noti che il Cozzi sente la necessità di riferire che il coltello si trovava “nella mano sinistra” della vittima perché è a conoscenza del fatto che i soccorritori spostarono il coltello sul tavolo alterando la sua messinscena (staging). 

Si noti che il Cozzi non dice che il Cappelletti aveva il coltello nella mano sinistra ma “appoggiato nella mano sinistra”, in pratica descrive un’azione, un’azione di cui è a conoscenza perché è stato lui a farla, è stato infatti lui ad appoggiare quel coltello “nella mano sinistra” della vittima. Il Cozzi mise il coltello nella mano sinistra del Cappelletti per strafare, aveva infatti bisogno di convincere che Alfredo si fosse ferito da solo e sapeva che non avrebbe potuto farlo con la mano destra in quanto era ancora indebolita dall’emiparesi che lo aveva colpito. 

Si noti ancora la necessità del Cozzi di rappresentarsi come un “Good Guy” attraverso le frasi “per cui ho accelerato per essere davanti a Elisabetta” e “quindi mi sono girato per fermare Elisabetta e sono riuscito a far sì che lei non lo vedesse”. Frasi che hanno qualcosa di mostruoso posto che è stato lui a togliere la vita al padre di Elisabetta.

Si noti “avevo bisogno di un sostegno”. E’ il Cozzi ad aver bisogno di un sostegno perché teme di essere accusato di omicidio. “avevo bisogno di un sostegno” è una frase equiparabile ad una inaspettata richiesta d’aiuto per sé, invece che per la vittima, durante una telefonata di soccorso. Anche don Paolo Piccoli, dopo aver ucciso il suo confratello don Giuseppe Rocco cercò conforto per sé.

Don Paolo Piccoli: “(…) e fui chiamato dal capo manutentore eee… che mi disse se potevo andare a dire una preghiera con don Rocco, io lì per lì non ho capito, dice: “No, guarda, a don Rocco che” – dice – “è morto”. Eh, son rimasto un po’ così, ho preso un caffè, un attimino per confortarmi, sono rientrato in stanza, ho messo… ho messo la veste velocemente, purtroppo senza… senza ah mettere la camicia e sono salito in camera dove ho proceduto al… intanto ad accertarmi, com’è… com’è obbligatorio fare, della temperatura del cadavere, essendo ancora tiepido, ho proceduto, secondo la consuetudine generale della chiesa, ad impartire il sacramento dell’estrema unzione sotto condizione e poi la benedizione apostolica”.

Alessandro Cozzi: Dopo quell’episodio ischemico di giugno, totalmente imprevisto e imprevedibile, la situazione si era aggravata molto, Alfredo era estrema-mente spaventato, soprattutto alla luce del fatto che sua sorella, un anno prima, aveva avuto la stessa cosa e ne era rimasta paralizzata, una emiparesi irreversibile. In luglio era tornato al lavoro dopo la… il recupero dalla fa… dal fatto ischemico, però aveva un atteggiamento diverso ehm… mi disse, in luglio, che voleva cambiare tutto, che non andava più bene, che lui non si pia-ce-va più, che non si ri-co-no-sceva, che non trovava… collocazione. Poi è venuto l’agosto, lui è andato via, quando l’ho rivisto l’ho trovato sicuramente, come dire, fisicamente riposato… apparentemente ehm… ancora sicuramente anche molto turbato

“la situazione si era aggravata molto, Alfredo era estrema-mente spaventato”, “lui non si pia-ce-va più, che non si ri-co-no-sceva, che non trovava… collocazione” e “apparentemente ehm… ancora sicuramente anche molto turbato” sono ulteriori tentativi di accreditare l’ipotesi suicidiaria.

CONCLUSIONI

Deception Indicated

Alessandro Cozzi non ha mai negato in modo credibile di aver ucciso Alfredo Cappelletti. Ha mostrato di essere un manipolatore, di essere privo di empatia, di senso di colpa e di rimorso. Colpisce la sottile sprezzante ironia presente nelle sue dichiarazioni in udienza e nelle comunicazioni fatte ai familiari della vittima il giorno del suo omicidio. 

Infine, l’uso di testate espressioni antiquate di richiamo poetico caratterizzano il linguaggio del Cozzi e sono finalizzate alla manipolazione dei suoi interlocutori. Ad esempio espressioni come “Alfredo ed io” ed “Elisabetta ed io” sembrano tratte da questo stralcio di un sonetto di Dante Alighieri. 

“Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio […]”.

Analisi di uno stralcio di una testimonianza di un conoscente del Cappelletti

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Ma eh lei rende delle dichiarazioni il gio… il 14 settembre del ’98, ovvero il giorno dopo della morte di Cappelletti, ma come fa ad essere così sicuro che si trattò di suicidio?

Tiziano Colinetti: (tossisce) Io Alfredo Cappelletti l’ho visto a mezzogiorno circa, della domenica, che era sostenuto da Alessando Cozzi, perché era… era scon-volto e… come l’ho visto, sono rimasto…

Si noti che il Colinetti sente la necessità di sottolineare la parola “scon-volto” scandendola, ma prima di pronunciarla prende tempo ripetendo per due volte “era”. 

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Sostenuto? Sostenuto?

Ci aspettiamo che il Colinetti risponda con un “Sì”.

Tiziano ColinettiSostenuto. Sì, sì. Era veramente fuori di sé completamente ehm… sono rimasto stupito e meravigliato, infatti sono arrivato a casa terminata la messa e ho detto a mia moglie: “Ho visto Alfredo… messo malissimo, malissimo

Ed invece:

  1. ripete “Sostenuto”, per prendere tempo per pensare a cosa dire;
  2. ripete “Sì” per due volte segnalandoci che la domanda dell’avvocato Brambilla è per lui sensitiva;
  3. fa seguire al “Sì” una tirata oratoria nella quale utilizza termini quali “veramente fuori di sé completamente”, “sono rimasto stupito e meravigliato” e “messo malissimo, malissimo” che ci rivelano il suo bisogno di convincere che il Cappelletti possa essersi suicidato. 

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Ha parlato con lui?

Ci aspettiamo che il Colinetti risponda con un “Sì”.

Tiziano Colinetti: Sì, ci siamo parlati un attimo eee… ho visto che era assentecompletamente assente. Veramente io sono rimasto malissimo e mi sono… detto: “Cosa fa… cosa posso fare?”.

Ancora una tirata oratoria nella quale il Colinetti utilizza termini quali “era assente, completamente assente”, “veramente”, “io sono rimasto malissimo” che ci rivelano ancora una volta che il Colinetti ha bisogno di convincere, un bisogno che se dicesse il vero non avrebbe. 

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: E come mai oggi, a differenza di ieri, cioè solo oggi ci dice che il Cappelletti era sconvolto?

Tiziano Colinetti: No, guardi che io l’ho detto ai giu… giudici.

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Qui dice “triste”, qui dice “triste”, non dice “sconvolto”.

Tiziano Colinetti: Adesso non mi ricordo per quale motivo, comunque sono certo cheee… era sconvolto.

“non mi ricordo” è una frase usata da chi desidera falsificare un vuoto di memoria.

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Sì, però lo dice solo ora signor… signor Collinetti.

Tiziano Colinetti: Guardi non mi ricordo, sono passati vent’anni posso m… dire eee… sono certo comunque che era sconvolto.

Il Colinetti continua a falsificare un vuoto di memoria.

PM Maurizio Ascione: Perché era sconvolto? “Sconvolto”, poi magari lei appunto anni fa disse “triste”, adesso… Perché aveva questo stato d’animo negativo cappelletti, lei che lo conosceva bene come amico e tutto quanto. Sa che cosa era successo all’epoca?

Tiziano Colinetti: Si sapeva, si mormorava di questa aavventura, di questa uscita, si vedeva… …Eeee…. Pia più volte disse a noi che… era stanca di questa situazione e so che stava per chiedere a Alessandro, che in termini di comunicazione era più capace, di intervenire pesantemente, in termini verbali, sottolineo i termini verbali perché… per… trovare una soluzione a questa situazione.

Il Colinetti non è personalmente a conoscenza di cosa ci fosse realmente tra il Cappelletti e la Daglia, perché si affida a ciò che “si sapeva, si mormorava”? E perché la definisce “avventura” e “uscita”? 

Tiziano Colinetti: Aveva dei problemi già precedentemente mmm…

Giudice: Ma che tipo di problemi?

Tiziano Colinetti: Io… personalmente ero convinto che lui fosse… fosse… dubbioso che in casa recitassero la parte di qualche… per nascondere qualcosa a lui, ad esempio “Hai un tumore però non te lo dico”.

Giudice: Ma quando lei dice sconvolto, ce lo descriva, come fa a dire era sconvolto?Piangeva?

Tiziano Colinetti: Allora, No. Eraa… appoggiato ad Alessandro eh… traballante… musoovolto tristissimo, depresso, testa chinata, alc… alche gli ho detto, io sono veneto di origine, per chiudere il discorso, perché stavo… dovevo andare a messa che ero in ritardo e dove dirigere il coro: “Dai che ci troviamo insieme e beviamo un bel bicchier di vino che ci tiriamo su di morale”.

Si notino sia l’esordio con “Allora” che le pause. Il Colinetti mostra di avere bisogno di tempo per pensare a come organizzare la risposta. Una riprova del fatto che la domanda è sensitiva.

Si noti l’utilizzo di termini forti quali “traballante” e “tristissimo”. In un crescendo, il “triste” delle prime dichiarazioni si è trasformato in un superlativo assoluto e il “sostenuto da Alessandro Cozzi” in “appoggiato ad Alessandro”. In pochi minuti le condizioni del Cappelletti appaiono inspiegabilmente peggiorate ed il legame del Colinetti col Cozzi più manifesto, egli infatti, nella risposta al giudice, ne omette il cognome mostrando vicinanza.

Il Colinetti non possiede la protezione del cosiddetto “muro della verità”, un’impenetrabile barriera psicologica che permette a coloro che dicono il vero di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno di niente.

CONCLUSIONI

Deception Indicated

Durante il processo al duplice omicida Alessandro Cozzi, il Colinetti non solo non ha detto il vero sulle reali condizioni del Cappelletti ma ha mostrato di provare un certo risentimento nei suoi confronti, ne è rivelatore l’uso del termine “muso” in riferimento al volto di un brillante padre di famiglia morto prematuramente. “Muso” invece di “faccia” o “volto” o “viso”. Sono gli animali ad avere il “muso”, non gli esseri umani. 

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ursula franco 1 OMICIDIO DI ALFREDO CAPPELLETTI: ANALISI DELLE DICHIARAZIONI DI ALESSANDRO COZZIMedico chirurgo e criminologo, allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari

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BIBLIOGRAFIA

Omicidio di Alfredo Cappelletti: analisi delle dichiarazioni di Alessandro Cozzi

Alessandro Cozzi

Nel 2011, Alessandro Cozzi ha confessato l’omicidio di Ettore Vitiello, il titolare di un’agenzia per il lavoro di Milano. Cozzi e Vitiello avevano collaborato all’istituzione di corsi di formazione finanziati dalla Regione Lombardia. Cozzi aveva incassato dalla Regione i 34.000 euro che lui e Vitiello avrebbero dovuto dividersi ma li aveva tenuti tutti per sé e in seguito alla richiesta da parte del Vitiello dei propri 17.000 euro il Cozzi lo aveva accoltellato 40 volte alla schiena con un coltello da cucina. Non solo un testimone aveva assistito all’omicidio dalla finestra di fronte ma nella colluttazione con il Vitiello il Cozzi aveva riportato ferite sia alle mani che all’addome.

Alessandro Cozzi, che ha condotto la trasmissione Rai Educational “Diario di Famiglia”, è stato condannato a 14 anni di reclusione per l’omicidio di Ettore Vitiello (29 marzo 2011) e a 24 anni per quello di Alfredo Cappelletti (13 settembre 1998).

La condanna per l’omicidio Cappelletti è tardiva, infatti, in prima istanza il caso era stato inspiegabilmente archiviato come suicidio. Solo dopo l’omicidio del Vitiello, la procura ha riaperto il caso Cappelletti e ha indagato su Alessandro Cozzi.

Alfredo Cappelletti, una delle vittime

Domenica 13 settembre 1998, l’imprenditore Alfredo Cappelletti, 49 anni, poche ore dopo essersi recato nel suo ufficio di via Malpighi con Alessandro Cozzi, è stato trovato morto proprio dal Cozzi e da sua figlia Elisabetta. L’autopsia ha rivelato che il Cappelletti era stato ucciso da un’unica coltellata al petto. Dalle indagini è emerso che il Cappelletti voleva chiudere i rapporti di lavoro con il Cozzi in quanto lo stesso aveva deviato pagamenti spettanti alla società del Cappelletti, la “Innova Skills srl”, a una società di cui lui e sua moglie erano titolari, la “People Improvement”.

Nel luglio 2017, al termine del processo di primo grado per l’omicidio di Alfredo Cappelletti, Alessandro Cozzi è stato condannato all’ergastolo. La Corte d’Assise d’Appello di Milano, dopo aver escluso l’aggravante della premeditazione, ha poi riformato la sentenza del primo grado e lo ha condannato a 24 anni di reclusione.

Analisi delle dichiarazioni rilasciate dall’imputato Alessandro Cozzi durante il processo di primo grado per l’omicidio di Alfredo Cappelletti

In Statement Analysis partiamo dal presupposto che chi parla sia “innocente de facto” e che parli per essere compreso. Pertanto, da un “innocente de facto” ci aspettiamo che neghi in modo credibile e che lo faccia spontaneamente. Ci aspettiamo anche che nel suo linguaggio non siano presenti indicatori caratteristici delle dichiarazioni di coloro che non dicono il vero. 

Un “innocente de facto” non ci sorprenderà, negherà in modo credibile già dalle prime battute.

Un “innocente de facto” mostrerà di possedere la protezione del cosiddetto “muro della verità” (wall of truth), un’impenetrabile barriera psicologica che permette ai soggetti che dicono il vero di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno di niente.

Da Alessandro Cozzi ci aspettiamo che neghi in modo credibile di aver ucciso il suo amico Alfredo Cappelletti e che possegga il cosiddetto “muro della verità”. 

Una negazione credibile è composta da tre componenti:

  1. il pronome personale “io”;
  2. l’avverbio di negazione “non” e il verbo al passato “ho”, “non ho”;
  3. l’accusa “ucciso tizio”.

Una negazione è credibile non solo quando è composta da queste tre componenti ma anche quando è spontanea, ovvero non è pronunciata ripetendo a pappagallo le parole dell’interlocutore.

La frase “io non ho ucciso Alfredo Cappelletti”, seguita dalla frase “ho detto la verità” o “sto dicendo la verità” riferita a “io non ho ucciso Alfredo Cappelletti”, è una negazione credibile. Anche “io non ho ucciso Alfredo Cappelletti, ho detto la verità, sono innocente” è da considerarsi una negazione credibile. 

Alessandro Cozzi: L’impatto di quel momento è… indescrivibile, ovviamente non avrei mai potuto… pensare… che Alfredo potesse togliersi la vita, va da sé che io non sono stato, lo dichiaro apertamente, ma… se mi fossi fermato… comunque… questo è successo.

Con la frase “L’impatto di quel momento è… indescrivibile” il Cozzi mostra da subito di essere un manipolatore, egli infatti non ci sta dicendo che cosa provò, è vago e lascia carta bianca ai suoi interlocutori per far sì che siano loro ad interpretare le sue parole. 

Quando il Cozzi dice: “ovviamente non avrei mai potuto… pensare… che Alfredo potesse togliersi la vita” ci conferma che Alfredo è stato ucciso.

“va da sé che io non sono stato” non solo non è una negazione credibile ma anche un tentativo di ridicolizzare le accuse. Alessandro Cozzi è imputato in un processo per omicidio, non c’è nulla di scontato, nulla che vada “da sé”. Se è innocente “de facto” ci aspettiamo che colga l’occasione per negare in modo credibile di aver ucciso il Cappelletti.

Il Cozzi dice “lo dichiaro apertamente” lasciando intendere che per negare ci voglia coraggio ed invece negare in modo credibile è gratis.

Si noti la congiunzione coordinativa avversativa “ma” dopo il tentativo di negare. Il “ma” esprime esplicita contrapposizione a ciò che precede. La parola “ma” è utilizzata per confutare o minimizzare, tramite il confronto, le parole che la precedono. Le parole che la seguono sono, nel contesto, più importanti per chi parla di quelle che la precedono. Al “ma”, in questo caso segue un’ammissione tra le righe. Quando il Cozzi dice “se mi fossi fermato… comunque… questo è successo”, dice il vero, se il Cozzi si fosse fermato alla discussione il Cappelletti non sarebbe morto quel giorno.

Si sappia che il Cozzi ha preparato queste dichiarazioni, non parla a braccio, legge, egli trae piacere dal prendersi gioco dei suoi interlocutori attraverso l’uso di termini che possono avere plurime interpretazioni. 

“comunque… questo è successo” è una dichiarazione da sociopatico. Il Cozzi ha scelto di uccidere il povero Cappelletti, non è stato un evento ineluttabile.

Alessandro Cozzi: Noi eravamo molto amici, da tanti anni, ci eravamo conosciuti in oratorio, come ormai sapete tutti, quando io ero ancora un ragazzo, invece lui era un po’ più grande di me e quindi era un animatore giovanile. Noi due, intendo Alfredo ed io, e le nostre famiglie abbiamo a lungo camminato insieme costruendo quella che io credo proprio si possa chiamare una amicizia autentica, solida, che perdurava nel 1998, non aveva avuto intoppi o inciampi. Proprio perché c’era questa amicizia importante tra Alfredo e me coltivata negli anni. Quando io ho completato il mio processo di studi, mi sono laureatoo… hoo… superato la successiva scuola di perfezionamento superiore, è stato anche naturale tra noi due cominciare a parlare di questioni lavorative. Alfredo mi propose di avvicinarmi al suo mondo, quindi alla consulenza ed alla formazione aziendale.

Una tirata oratoria di intento manipolatorio durante la quale il Cozzi ci riferisce che è cattolico, laureato e perfezionato e che ha famiglia. In statement Analysis sappiamo che la necessità da parte di un soggetto di dipingersi come un “Good Guy” nasconde il contrario: “Good Guy” uguale “Bad Guy”. 

Il fatto che il Cozzi si dilunghi e che ripeta quanto stretto fosse il legame di amicizia che lo legava alla vittima e che perdurasse nel 1998 senza intoppi o inciampi rivela un bisogno di convincere che ci induce a sospettare il contrario.

Alessandro Cozzi: Mentre Alfredo si trovava a Londra per un convegno, la famiglia di Alfredo, la moglie ed i due figli mi hanno chiamato… per chiedermi aiuto. Hanno chiamato me, non un altro, perché avevano una grossa preoccupazione per ciò che avevano visto succedere nei mesi precedenti e si sono rivolti a me. Le prime parole che mi disse Maria Pia (moglie di Alfredo Cappelletti) era: “In nome della antica amicizia, ti dobbiamo parlare”. Va detto che da diversi mesi Alfredo ed io stavamo molto parlando non soltanto di questioni professionali a… come amici appunto, stavamo parlando di lui, di lui, perché era molto a disagioo… con se stesso, lui sentiva ormai esaurito il suo matrimonio e la cosa lo faceva stare molto male. Aveva combattuto contro questa realtà già da tempo maa… la cosa gli stava a suo dire sfuggendo di mano. Mi chiedono dunque di parlargli, di parlargli essenzialmente degli aspetti familiari, non degli aspettii… professionali, perché loro erano molto preoccupati da questo ventilato abbandono. Ci mettiamo d’accordo che appena Alfredo sarebbe ritornato, era previsto ritornasse il sabato di quella stessa settimana, alla prima occasione io gli avrei parlato… E così si arriva alla domenica. Alla domenica mattina mi chiamano da casa beh… Cappelletti alle 8 e 10. E’ stato Alessandro (figlio di Alfredo Cappelletti) per dirmi che effettivamente la sera prima c’era stato di nuovo un momento di tensione, Alfredo aveva formalmente annunciato l’intenzione di abbandono della famiglia, le parole usate sono state queste.

Dicendo “una grossa preoccupazione per ciò che avevano visto succedere nei mesi precedenti”, “loro erano molto preoccupati”, “c’era stato di nuovo un momento di tensione” “abbandono della famiglia” e “perché (il Cappelletti) era molto a disagioo… con se stesso” il Cozzi tenta di drammatizzare per lasciare intendere che il povero Alfredo avesse perso la testa in modo da accreditare l’ipotesi suicidiaria. 

E poi dice “Hanno chiamato me, non un altro”, “si sono rivolti a me” e “Mi chiedono dunque di parlargli” per giustificare l’incontro con il povero Alfredo.

Si focalizzi su questo stralcio “Mi chiedono dunque di parlargli, di parlargli essenzialmente degli aspetti familiari, non degli aspettii… professionali”. L’uso di “essenzialmente”  indebolisce la sua affermazione e accoppiato alla frase al negativo “non degli aspettii… professionali” lascia inferire che invece abbiano parlato proprio “degli aspetti professionali”.

Alessandro Cozzi: C’era poi questo elemento delle spese… che furono sollevate in quella riunione familiare, essenzialmente da Alessandro, ma poi tutti le avevamo viste eh succedere. Eee… io ricordo bene che… abbiamo avuto anche un momento più leggero ricordando le origini genovesi di Alfredo, non era mai stato incline alla spesa facile, anzi qualche volta lo si rimproverava di essere un po’ ristretto invece da alcuni mesi stava facendo spese davvero esagerate. Penso proprio di ricordare di aver detto una frase del tipo: “L’unica maniera sarebbe farlo interdire”, non è possibile infatti, non era un… progetto, né una proposta.

Ancora una volta, il Cozzi, dicendo “tutti le avevamo viste eh succedere” e “da alcuni mesi stava facendo spese davvero esagerate” vuol lasciar passare il messaggio che il povero Cappelletti avesse perso la testa. Peraltro l’uso di “davvero” prima di “esagerate” indebolisce la sua affermazione.

Si noti “Penso proprio di ricordare”, una frase che ci informa che ciò che il Cozzi sta per dire è vero, ma anche che ciò che ha riferito in precedenza non lo è. Non avrebbe infatti ragione di sottolineare di ricordarsi questo fatto posto che chi dice il vero riferisce solo ciò che si ricorda.

Alessandro Cozzi: Io non so quanto c’entrasse in questo la… supposta, presunto vicenda con Laura Daglia, abbiamo già sentito dire qui che in ufficio la cosa destava imbarazzo a tutti. Io e lui ne avevamo anche parlato. C’era stato un rimprovero da parte della figliola al padre ed alla Daglia stessa, comunque Alfredo a me personalmente non ha mai detto: “Io ho una relazione con Laura Daglia”, non l’ha neanche negato. Però devo pure testimoniare che non l’ha detto. Mi sembrava che ci fosse un interesse un poco più che amicale. Ma comunque Alessandro (il figlio di Alfredo) la mattina mi conferma che Alfredo vuole andare via, dopodiché siamo andati a messa come era nostra abitudine. Dopo la messa, come già sapete, che vuol dire verso le 11 del mattino, f… forse qualche minuto prima, ho agganciato Alfredo e ho cominciato questa conversazione, siamo arrivati fino all’ufficio.

Si noti che il Cozzi rimarca che, per lui andare a messa era un’abitudine per tornare a rappresentarsi come un “Good Guy”.

All’esame medico legale, sul corpo del Cappelletti sono state rilevate una ferita penetrante da arma da taglio all’emitorace sinistro, sopra il capezzolo, e una piccola ferita da taglio sull’eminenza tenar della mano destra. La ferita al torace interessò gli organi interni, il lobo superiore del polmone sinistro, il sacco pericardico e il lobo inferiore del polmone destro con un tramite alto/basso, sinistra/destra. Assenti sia le classiche lesioni da difesa che presentano alle mani le vittime di omicidi per accoltellamento che le cosiddette ferite “di assaggio” che di solito si auto infliggono, prima del colpo mortale, coloro che intendono suicidarsi accoltellandosi al cuore, al petto.

Al momento del ritrovamento Alfredo Cappelletti aveva il coltello nella mano sinistra. E’ infrequente che un suicida estragga il coltello dopo essersi accoltellato. A Ospedaletto, Pisa, nel luglio 2019, il cadavere di un uomo che aveva un grosso coltello da cucina conficcato nel petto è stato ritrovato nel parcheggio di un’aera commerciale. L’analisi delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza hanno permesso di ricostruire i fatti: l’uomo, un operaio residente a Cascina, ha raggiunto il parcheggio intorno alle 5.00 del mattina, è sceso dall’auto, ha bevuto una bottiglia di trielina estratta dal bagagliaio, si è poi sedutoin macchina e si è accoltellato al petto.

Nel racconto del Cozzi, si noti la frase “ho agganciato Alfredo”. E’ una frase particolarmente interessante per l’uso del termine “agganciato”, termine che il Cozzi non pronuncia a caso. Potrebbe trattarsi di Leakage. Il “Leakage” consiste nel rilascio involontario di informazioni che stazionano nella mente del soggetto e che sono rilevanti per la ricostruzione dei fatti sui quali si esprime. In questo caso, il termine “agganciato” potrebbe riferirsi alla dinamica omicidiaria. Alfredo Cappelletti fu infatti pugnalato al torace dopo essere stato “agganciato” dal Cozzi da dietro. In parole povere, il Cozzi pugnalò il Cappelletti prendendolo alle spalle, come ipotizzato dal PM Maurizio Ascione, simulando quindi l’azione di un “gancio”, poi estrasse il coltello e lo appoggiò “nella mano sinistra” della vittima perché era a conoscenza del fatto che Alfredo era stato appena colpito da un’ischemia che aveva indebolito l’intero lato desto del corpo”. La lesione all’eminenza tenar della mano destra è riconducibile, come suggerito da uno dei medici legali, “ad un gesto istintivo, di chi si porta la mano dove è stato colpito”.

L’arma del delitto

Alessandro Cozzi: Io nel pomeriggio l’ho chiamato, alle 16 e 44 eee… sono andato a prenderlo… con l’intenzione di riprendere il discorso. Eee… di nuovo ci siamo recati in ufficio e lì abbiamo, invece, ehm… avuto un colloquio molto denso, questa volta io non sono stato sulle generali, sono stato sicuramente molto più esplicito… ehm… e forse anche un po’ duro… forse sì… e l’ho rimproverato… perché lasciare la famiglia non mi sembrava una soluzione per i suoi problemi eee…. gettarsi in avventure nuove o diverse non era da lui, non era corrispondente alla sua storia e questa volta Alfredo ha corrisposto, abbiamo dialogato più intensamente, ha forse maggiormente aperto eh… se stesso dicendo della sua stanchezza, del suo disagio del… di nuovo abbiamo affrontato il tema della paura di una potenziale paresi per effetto della… dell’ischemia, però nel corso del colloquio eh… dopo una prima parte, diciamo il primo quarto d’ora che è stato anche un po’ spinoso, perché io dicevo cose e lui me le rintuzzava, c’è stata una… seconda parte… più intensa, più profonda e nello stesso tempo anche più significativa… e un’ultima parte in cui ho parlato quasi soltanto io per cercare di dirgli eh… chiaramente il pensiero, lui ascoltava, accennava e ha detto: “Beh grazie, tutto questo deve essere oggetto di riflessione”. Io… ho detto: “Va bene, pensaci”. Lui mi ha detto: “Ci pe… voglio pensarci subito e quindi lasciami qua, ci penso, ti richiamo”… Fino alla fine dei miei giorni io porterò il rammarico per avere eh… acconsentito a questa richiesta. Non… di questo non potete avere idea. Ma mi sembrava in quel momento una buona cosa, lo vedevo riflessivo, lo vedevo eh… pensoso e credo che fosse la cosa giusta per lui, che lui dovesse pensare, che lui dovesse riflettere, per cui sono andato via.

Un’altra tirata oratoria/sermone. Si notino “sono andato a prenderlo… con l’intenzione di riprendere il discorso” e “invece”, parole che ci rivelano che l’argomento della conversazione cambiò rispetto a quello affrontato poche ore prima. 

Questo stralcio “e l’ho rimproverato… perché lasciare la famiglia non mi sembrava una soluzione per i suoi problemi eee…. gettarsi in avventure nuove o diverse non era da lui, non era corrispondente alla sua storia” è da considerarsi un sermone. In Statement Analysis consideriamo il sermone una lezione morale non necessaria rivelatrice di una proiezione della colpa e di disprezzo nei confronti degli interlocutori.

“dicendo della sua stanchezza, del suo disagio” “della paura di una potenziale paresi” sono frasi finalizzate a dipingere la vittima come un potenziale suicida.

Quando il Cozzi dice “c’è stata una… seconda parte… più intensa, più profonda e nello stesso tempo anche più significativa”, parla del momento in cui ha ucciso il Cappelletti. “profonda” è stata infatti la pugnalata inferta ad Alfredo.

Lo ripeto, il Cozzi ha preparato queste dichiarazioni, non parla a braccio, legge, egli trae piacere dal prendersi gioco dei suoi interlocutori attraverso l’uso di termini che lasciano spazi a più interpretazioni. 

“Fino alla fine dei miei giorni io porterò il rammarico per avere eh… acconsentito a questa richiesta. Non… di questo non potete avere idea. Ma mi sembrava in quel momento una buona cosa” è un tentativo di ingraziarsi gli interlocutori.

In Statement Analysis, a prescindere dal contesto in cui vengono pronunciate, notiamo sempre le parole “mi dispiace” perché è estremamente frequente che vengano emesse da chi ha commesso il reato di cui è accusato e di cui parla. Le parole “mi dispiace” sono da considerarsi una sorta di “Leakage”. “io porterò il rammarico” può essere considerata una frase equivalente a “mi dispiace”. 

Quando il Cozzi dice “un’ultima parte in cui ho parlato quasi soltanto io per cercare di dirgli eh… chiaramente il pensiero, lui ascoltava, accennava” e “lo vedevo riflessivo, lo vedevo eh… pensoso” ci descrive il post accoltellamento e l’amico morente il quale ormai poteva solo ascoltare ed accennare. Come riferito in udienza dal medico legale, la morte del Cappelletti non fu immediata e il Cozzi ce lo conferma.

Quando il Cozzi dice “e credo fosse la cosa giusta per lui”, si riferisce alla pugnalata. Non prova rimorso.

La moglie di Alfredo Cappelletti, Maria Pia, durante un’udienza, ha riferito che il Cozzi l’aveva chiamata dopo aver lasciato il marito in ufficio il giorno dell’omicidio dicendole: “Io ho parlato con Alfredo, gli ho detto che ha una brutta faccia e gli ho detto: “Ma ti stai separando da tua moglie o hai un tumore?”, così proprio di… di… eee… lui non gli ha voluto rispondere o qualcosa di simile”.

Il Cozzi con “brutta faccia” fa riferimento alla faccia del povero Alfredo ferito a morte, il quale naturalmente non poteva rispondergli. C’è una sprezzante ironia in queste parole.

Se come riferito in udienza, il Cappelletti temeva di avere un tumore, il Cozzi non può che averle pronunciate per aumentare lo stato d’ansia di Alfredo.

Il figlio di Alfredo Cappelletti, Alessandro, durante un’udienza, ha riferito che il Cozzi l’aveva chiamato verso le 20 e 10, 20 e 15 sul cellulare il giorno dell’omicidio dicendogli: “Vieni a casa, ho risolto tutto con il papà”

Il Cozzi non mentì ad Alessandro, egli infatti, dopo aver ucciso Alfredo, credette di aver “risolto tutto”. C’è una sprezzante ironia anche in queste parole.

Alessandro Cozzi: Poi mi hanno fatto notare che… non aveva… la macchina per cui ho telefonato in Innova e sul suo cellulare, prima sul telefono fisso e… neanche un minuto dopo sul telefono cellulare. Evidentemente perché avevo intenzione di ri-chiamare sul telefono fisso, cosa che non ho fatto, perché come si vede sempre dal tabulato… a distanza di 3 minuti ho chiamato di nuovo la famiglia Cappelletti e è in questa telefonata che è emersa la possibilità che venisse qualcuno di loro, quindi, probabilmente io ero già in strada, sono tornato indietro, ho raccolto Elisabetta Cappelletti, che si è offerta di venire con me e siamo andati in ufficio. E, come voi sapete, lo abbiamo trovato morto.

La figlia di Alfredo Cappelletti Elisabetta ha dichiarato in udienza: “Mio padre uscì in jeans e camicia, senza le chiavi dell’ufficio, tanto le aveva il consulente. Dopo un paio d’’ore Cozzi ci chiamò per avvertirci che papà avrebbe tardato perché voleva tornare a piedi. Mamma fece notare che non poteva chiudere l’’ufficio e allora lui venne a prendermi”.

Alessandro Cozzi: Ci sono stati giorni frenetici successivamente, bisognava, da un lato cercare di rassicurare tutti eh i clienti e i collaboratori, Gaetano ed io abbiamo fatto del nostro meglio, la famiglia ovviamente… Nelle poche settimane successive a quella metà di settembre è evidentemente maturata la preoccupazione da parte della famiglia, in ufficio si respirava un’aria molto molto pesante e tesa eh… che ha portato, come sapete, al mio allontanamento da Innova Skills che si è formalizzato a fine ottobre di quell’anno.

Alessandro Cozzi: Siamo entrati, il corridoio è breve, camminavamo, Elisabetta ed io, io l’ho chiamato, non c’è stata risposta, non appena siamo arrivati a metà del corridoio, si vedeva in scorcio la porta dell’ufficio di Alfredo aperta e io ho visto il corpo, una sezione, diciamo, del corpo sdraiato a terra, per cui ho accelerato per essere davanti a Elisabetta. Mi sono affacciato alla porta e l’ho visto morto,c’era il sangue sulla camicia, aveva in mano questo coltello, perché la posizione in cui l’ho visto e trovato era con il coltello impugnato nella mano… non impugnato strettamente, appoggiato nella mano sinistra con la lama, così, diciamo, verso la gola, lui era sdraiato supino per terra ed era chiaramente morto, quindi mi sono girato per fermare Elisabetta e sono riuscito a far sì che lei non lo vedesse. Elisabetta è scoppiata in lacrime, si è accasciata lì poco lontano nel corridoio, ho dato una seconda occhiata… penso in questa seconda occhiata di essermi abbassato a toccare il battito eh non sono sicuro esattamente di averlo fatto, però credo proprio di sì. E a quel punto, sconvolto io, naturalmente vedendo Elisabetta sconvolta, avevo bisogno di un sostegno, ho chiamato Gaetano Morgese, che abita molto vicino all’ufficio, sapevo che sarebbe potuto arrivare molto in fretta e poi era l’altra persona, come dire, con cui condividere un momento di questo genere, la persona che in azienda aveva il ruolo… più vicino, l’ho chiamato, lui è arrivato e tutto il resto lo sappiamo già.

La parte iniziale di questo racconto serve al Cozzi per giustificare l’annuncio prematuro fatto ad Elisabetta del “suicidio” del padre: “il corridoio è breve” “io l’ho chiamato, non c’è stata risposta, non appena siamo arrivati a metà del corridoio, si vedeva in scorcio la porta dell’ufficio di Alfredo aperta e io ho visto il corpo, una sezione, diciamo, del corpo sdraiato a terra” e “Mi sono affacciato alla porta e l’ho visto morto, c’era il sangue sulla camicia, aveva in mano questo coltello, perché la posizione in cui l’ho visto e trovato era con il coltello impugnato nella mano”.

Si noti che il Cozzi sente la necessità di riferire che il coltello si trovava “nella mano sinistra” della vittima perché è a conoscenza del fatto che i soccorritori spostarono il coltello sul tavolo alterando la sua messinscena (staging).

Si noti che il Cozzi non dice che il Cappelletti aveva il coltello nella mano sinistra ma “appoggiato nella mano sinistra”, in pratica descrive un’azione, un’azione di cui è a conoscenza perché è stato lui a farla, è stato infatti lui ad appoggiare quel coltello “nella mano sinistra” della vittima. Il Cozzi mise il coltello nella mano sinistra del Cappelletti per strafare, aveva infatti bisogno di convincere che Alfredo si fosse ferito da solo e sapeva che non avrebbe potuto farlo con la mano destra in quanto era ancora indebolita dall’emiparesi che lo aveva colpito. 

Si noti ancora la necessità del Cozzi di rappresentarsi come un “Good Guy” attraverso le frasi “per cui ho accelerato per essere davanti a Elisabetta” e “quindi mi sono girato per fermare Elisabetta e sono riuscito a far sì che lei non lo vedesse”. Frasi che hanno qualcosa di mostruoso posto che è stato lui a togliere la vita al padre di Elisabetta.

Si noti “avevo bisogno di un sostegno”. E’ il Cozzi ad aver bisogno di un sostegno perché teme di essere accusato di omicidio. “avevo bisogno di un sostegno” è una frase equiparabile ad una inaspettata richiesta d’aiuto per sé, invece che per la vittima, durante una telefonata di soccorso. Anche don Paolo Piccoli, dopo aver ucciso il suo confratello don Giuseppe Rocco cercò conforto per sé.

Don Paolo Piccoli: “(…) e fui chiamato dal capo manutentore eee… che mi disse se potevo andare a dire una preghiera con don Rocco, io lì per lì non ho capito, dice: “No, guarda, a don Rocco che” – dice – “è morto”. Eh, son rimasto un po’ così, ho preso un caffè, un attimino per confortarmi, sono rientrato in stanza, ho messo… ho messo la veste velocemente, purtroppo senza… senza ah mettere la camicia e sono salito in camera dove ho proceduto al… intanto ad accertarmi, com’è… com’è obbligatorio fare, della temperatura del cadavere, essendo ancora tiepido, ho proceduto, secondo la consuetudine generale della chiesa, ad impartire il sacramento dell’estrema unzione sotto condizione e poi la benedizione apostolica”.

Alessandro Cozzi: Dopo quell’episodio ischemico di giugno, totalmente imprevisto e imprevedibile, la situazione si era aggravata molto, Alfredo era estrema-mente spaventato, soprattutto alla luce del fatto che sua sorella, un anno prima, aveva avuto la stessa cosa e ne era rimasta paralizzata, una emiparesi irreversibile. In luglio era tornato al lavoro dopo la… il recupero dalla fa… dal fatto ischemico, però aveva un atteggiamento diverso ehm… mi disse, in luglio, che voleva cambiare tutto, che non andava più bene, che lui non si pia-ce-va più, che non si ri-co-no-sceva, che non trovava… collocazione. Poi è venuto l’agosto, lui è andato via, quando l’ho rivisto l’ho trovato sicuramente, come dire, fisicamente riposato… apparentemente ehm… ancora sicuramente anche molto turbato

“la situazione si era aggravata molto, Alfredo era estrema-mente spaventato”, “lui non si pia-ce-va più, che non si ri-co-no-sceva, che non trovava… collocazione” e “apparentemente ehm… ancora sicuramente anche molto turbato” sono ulteriori tentativi di accreditare l’ipotesi suicidiaria.

CONCLUSIONI

Deception Indicated

Alessandro Cozzi non ha mai negato in modo credibile di aver ucciso Alfredo Cappelletti. Ha mostrato di essere un manipolatore, di essere privo di empatia, di senso di colpa e di rimorso. Colpisce la sottile sprezzante ironia presente nelle sue dichiarazioni in udienza e nelle comunicazioni fatte ai familiari della vittima il giorno del suo omicidio. 

Infine, l’uso di testate espressioni antiquate di richiamo poetico caratterizzano il linguaggio del Cozzi e sono finalizzate alla manipolazione dei suoi interlocutori. Ad esempio espressioni come “Alfredo ed io” ed “Elisabetta ed io” sembrano tratte da questo stralcio di un sonetto di Dante Alighieri. 

“Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio […]”.

Analisi di uno stralcio di una testimonianza di un conoscente del Cappelletti

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Ma eh lei rende delle dichiarazioni il gio… il 14 settembre del ’98, ovvero il giorno dopo della morte di Cappelletti, ma come fa ad essere così sicuro che si trattò di suicidio?

Tiziano Colinetti: (tossisce) Io Alfredo Cappelletti l’ho visto a mezzogiorno circa, della domenica, che era sostenuto da Alessando Cozzi, perché era… era scon-volto e… come l’ho visto, sono rimasto…

Si noti che il Colinetti sente la necessità di sottolineare la parola “scon-volto” scandendola, ma prima di pronunciarla prende tempo ripetendo per due volte “era”. 

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Sostenuto? Sostenuto?

Ci aspettiamo che il Colinetti risponda con un “Sì”.

Tiziano Colinetti: Sostenuto. Sì, sì. Era veramente fuori di sé completamente ehm… sono rimasto stupito e meravigliato, infatti sono arrivato a casa terminata la messa e ho detto a mia moglie: “Ho visto Alfredo… messo malissimo, malissimo

Ed invece:

  1. ripete “Sostenuto”, per prendere tempo per pensare a cosa dire;
  2. ripete “Sì” per due volte segnalandoci che la domanda dell’avvocato Brambilla è per lui sensitiva;
  3. fa seguire al “Sì” una tirata oratoria nella quale utilizza termini quali “veramente fuori di sé completamente”, “sono rimasto stupito e meravigliato” e “messo malissimo, malissimo” che ci rivelano il suo bisogno di convincere che il Cappelletti possa essersi suicidato. 

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Ha parlato con lui?

Ci aspettiamo che il Colinetti risponda con un “Sì”.

Tiziano Colinetti: Sì, ci siamo parlati un attimo eee… ho visto che era assente, completamente assente. Veramente io sono rimasto malissimo e mi sono… detto: “Cosa fa… cosa posso fare?”.

Ancora una tirata oratoria nella quale il Colinetti utilizza termini quali “era assente, completamente assente”, “veramente”, “io sono rimasto malissimo” che ci rivelano ancora una volta che il Colinetti ha bisogno di convincere, un bisogno che, se dicesse il vero, non avrebbe. 

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: E come mai oggi, a differenza di ieri, cioè solo oggi ci dice che il Cappelletti era sconvolto?

Tiziano Colinetti: No, guardi che io l’ho detto ai giu… giudici.

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Qui dice “triste”, qui dice “triste”, non dice “sconvolto”.

Tiziano Colinetti: Adesso non mi ricordo per quale motivo, comunque sono certo cheee… era sconvolto.

“non mi ricordo” è una frase usata da chi desidera falsificare un vuoto di memoria.

Avvocato di Parte civile Luciano Brambilla: Sì, però lo deice solo ora signor… signor Collinetti.

Tiziano Colinetti: Guardi non mi ricordo, sono passati vent’anni posso m… dire eee… sono certo comunque che era sconvolto.

Il Colinetti continua a falsificare un vuoto di memoria.

PM Maurizio Ascione: Perché era sconvolto? “Sconvolto”, poi magari lei appunto anni fa disse “triste”, adesso… Perché aveva questo stato d’animo negativo cappelletti, lei che lo conosceva bene come amico e tutto quanto. Sa che cosa era successo all’epoca?

Tiziano Colinetti: Si sapeva, si mormorava di questa aavventura, di questa uscita, si vedeva… …Eeee…. Pia più volte disse a noi che… era stanca di questa situazione e so che stava per chiedere a Alessandro, che in termini di comunicazione era più capace, di intervenire pesantemente, in termini verbali, sottolineo i termini verbali perché… per… trovare una soluzione a questa situazione.

Il Colinetti non è personalmente a conoscenza di cosa ci fosse realmente tra il Cappelletti e la Daglia, perché si affida a ciò che “si sapeva, si mormorava”? E perché la definisce “avventura” e “uscita”? 

Tiziano Colinetti: Aveva dei problemi già precedentemente mmm…

Giudice: Ma che tipo di problemi?

Tiziano Colinetti: Io… personalmente ero convinto che lui fosse… fosse… dubbioso che in casa recitassero la parte di qualche… per nascondere qualcosa a lui, ad esempio “Hai un tumore però non te lo dico”.

Giudice: Ma quando lei dice sconvolto, ce lo descriva, come fa a dire era sconvolto?Piangeva?

Tiziano Colinetti: Allora, No. Eraa… appoggiato ad Alessandro eh… traballantemusoo, volto tristissimo, depresso, testa chinata, alc… alche gli ho detto, io sono veneto di origine, per chiudere il discorso, perché stavo… dovevo andare a messa che ero in ritardo e dove dirigere il coro: “Dai che ci troviamo insieme e beviamo un bel bicchier di vino che ci tiriamo su di morale”.

Si notino sia l’esordio con “Allora” che le pause. Il Colinetti mostra di avere bisogno di tempo per pensare a come organizzare la risposta. Una riprova del fatto che la domanda è sensitiva.

Si noti l’utilizzo di termini forti quali “traballante” e “tristissimo”. In un crescendo, il “triste” delle prime dichiarazioni si è trasformato in un superlativo assoluto e il “sostenuto da Alessandro Cozzi” in “appoggiato ad Alessandro”. In pochi minuti le condizioni del Cappelletti appaiono inspiegabilmente peggiorate ed il legame del Colinetti col Cozzi più manifesto, egli infatti, nella risposta al giudice, ne omette il cognome mostrando vicinanza.

Il Colinetti non possiede la protezione del cosiddetto “muro della verità”, un’impenetrabile barriera psicologica che permette a coloro che dicono il vero di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno di niente.

CONCLUSIONI

Deception Indicated

Durante il processo al duplice omicida Alessandro Cozzi, il Colinetti non solo non ha detto il vero sulle reali condizioni del Cappelletti ma ha mostrato di provare un certo risentimento nei suoi confronti, ne è rivelatore l’uso del termine “muso” in riferimento al volto di un brillante padre di famiglia morto prematuramente. “Muso” invece di “faccia” o “volto” o “viso”. Sono gli animali ad avere il “muso”, non gli esseri umani.

BIBLIOGRAFIA