MALKE CRIME NOTES

MALKE CRIME NOTES

Roberta Ragusa/ Antonio Logli pronto a dimostrare la sua innocenza? Mosse difesa

Roberta Ragusa, il caso a Quarto Grado: la difesa di Antonio Logli pronta a dimostrare l’innocenza dell’uomo? Le ultime novità sul giallo

roberta ragusa antonio logli
Roberta Ragusa e Antonio Logli

Nella nuova puntata di Quarto Grado, i riflettori saranno ancora accesi su un caso che continua a far discutere e a spaccare l’opinione pubblica: la misteriosa fine di Roberta Ragusa. La trasmissione ripercorrerà le tappe salienti del giallo iniziato da Gello di San Giuliano Terme il 14 gennaio 2012 con la scomparsa della donna. Il 10 luglio dello scorso anno il marito Antonio Logli è stato condannato in via definitiva a 20 anni di carcere con l’accusa di omicidio e distruzione di cadavere ma la difesa dell’uomo non si arrende. Logli ha sempre respinto con forza un suo coinvolgimento nella morte della moglie. Adesso la sua difesa ha intenzione di giocarsi una nuova carta al fine di dimostrare la sua innocenza. “Non ho mai fatto del male a nessuno. Tutto inventato. Tanto la verità verrà fuori…”, aveva già commentato Antonio in una vecchia intercettazione del 13 ottobre 2012 ripresa dal settimanale Giallo e relativa ad una conversazione avvenuta in auto con il figlio Daniele. Quella intercettazione fu captata otto mesi dopo la sparizione misteriosa di Roberta e rimase inedita per molti anni. Gli inquirenti riuscirono a registrarla piazzando una microspia nell’auto dell’uomo dove si lasciò andare poi ad alcune confidenze con il figlio maggiore. L’intercettazione pubblicata dal settimanale specializzato in cronaca nera, scrive Blastingnews, offrirebbe l’idea del rapporto tra Logli ed i figli ed i suoi tentativi di convincerli della sua innocenza.

ROBERTA RAGUSA, DIFESA ANTONIO LOGLI PRONTA A DIMOSTRARE INNOCENZA

Con il passare degli anni, anche i figli di Roberta Ragusa, Daniele e Alessia Logli, avrebbero creduto sempre di più all’innocenza del padre Antonio, tanto da difenderlo. Al tempo stesso però il dolore per la perdita della madre è sempre rimasto inalterato. Durante tutti questi anni però hanno sempre supportato le tesi del genitore che ancora oggi intende dimostrare la sua innocenza esattamente come otto anni fa. A dire la sua su Antonio Logli, di recente, è stata anche la criminologa Ursula Franco, intervistata da Le Cronache Lucane. Perchè, a suo dire, pur essendo stato riconosciuto colpevole Logli non ha mai rivelato il luogo del presunto occultamento del cadavere della moglie Roberta Ragusa? “Il Logli non ammetterà mai di aver ucciso sua moglie, detesta il fatto di essere stato “smascherato”, preferisce rivendersi come una vittima per non perdere la faccia con familiari ed amici”. A suo dire, “reggerebbe una parte” come Chico Forti. Adesso però la difesa di Antonio Logli avrebbe tra le mani delle carte inedite con le quali poter dimostrare l’innocenza del proprio assistito.

Omicidio di Dina Dore: analisi di alcuni stralci dell’intervista rilasciata a Franca Leosini da Francesco Rocca, detenuto nel carcere di Alghero

Francesco Rocca e Dina Dore

Dina Dore è stata uccisa il 26 marzo 2008 a Gavoi, in Sardegna. Gli assassini hanno colpito Dina alla testa, hanno poi messo il suo corpo foderato di nastro adesivo nel bagagliaio dell’auto che la donna aveva appena parcheggiato nel garage della casa nella quale viveva con il marito, il dentista Francesco Rocca, e la figlia Elisabetta di soli 8 mesi, che quella sera era con lei.

Il dottor Francesco Rocca è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per aver commissionato ad un minorenne, Pierpaolo Contu, l’omicidio di sua moglie Dina. Sulla scena del crimine, ovvero sul nastro che avvolgeva il corpo di Dina, è stato repertato il DNA di un soggetto mai identificato.

Premessa

In Statement Analysis partiamo dal presupposto che chi parla sia “innocente de facto” e che parli per essere compreso. Pertanto, da un “innocente de facto” ci aspettiamo che neghi in modo credibile e che lo faccia spontaneamente. Ci aspettiamo anche che nel suo linguaggio non siano presenti indicatori caratteristici delle dichiarazioni di coloro che non dicono il vero.

Un “innocente de facto” non ci sorprenderà, negherà in modo credibile già dalle prime battute.

Un “innocente de facto” mostrerà di possedere la protezione del cosiddetto “muro della verità” (wall of truth) che è un’impenetrabile barriera psicologica che permette ai soggetti che dicono il vero di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno di niente.

Una negazione è credibile quando è spontanea, ovvero non è pronunciata ripetendo a pappagallo le parole dell’interlocutore.

In sintesi, da Francesco Rocca ci aspettiamo che neghi in modo credibile di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina e che possegga il cosiddetto “muro della verità”.

La frase “io non sono il mandante dell’omicidio di mia moglie Dina”, seguita dalla frase “ho detto la verità” o “sto dicendo la verità” riferita a “io non sono il mandante dell’omicidio di mia moglie Dina”, è una negazione credibile. Anche “io non sono il mandante dell’omicidio di mia moglie Dina, sto dicendo la verità, sono innocente” è da considerarsi una negazione credibile.

Leosini: Rocca, come abbiamo detto, lei, intorno alle 21 e 30, rientra a casa, come sempre lei va verso il garage della sua abitazione, però lascia l’auto all’esterno del garage, è così?

E’ il Rocca che avrebbe dovuto ricostruire i fatti, non la Leosini. Le domande da fare al Rocca sarebbero state: “Ci racconta che cosa è successo la sera dell’omicidio?” e “Poi cosa è successo?”. 

In Statement Analysis, le dichiarazioni di un soggetto invitato a rievocare un evento passato in cui il verbo è coniugato al presente sono considerate non credibili perché ci aspettiamo da lui che parli al passato. Chi falsifica usa il verbo al presente perché parla di fatti che non ha vissuto. 

Il fatto che la Leosini parli al presente (“rientra”, “va”, “lascia”) di un evento passato ci impedirà di analizzare i verbi usa dal Rocca perché potrebbe influenzarlo. 

Rocca: Sì.

Leosini: Entra in garage, la luce del garage è accesa e a quel punto, qual è la scena che si presenta ai suoi occhi?

E’ il Rocca che avrebbe dovuto decidere da dove partire nella ricostruzione dei fatti. E’ lui il protagonista di questa intervista.

La Leosini continua a parlare al presente. 

Rocca: La sera, specie a quell’ora, sapendo di dover riuscire nonnn… mettevo la macchina dentro il garage, però utilizzavo l’ingresso, la serranda del… del garage per entrare a casa, quindi io arrivo, premo, prima di arrivare a casa, la mmm… il tasto del telecomando, la serranda in genere si sollevava e praticamente entro dentro e via, non ricordo se la serranda fosse già aperta (interrotto)

Si noti l’uso del presente da parte del Rocca (“arrivo”, “premo”, “entro”), purtroppo però la sua risposta potrebbe essere stata viziata dal fatto che la giornalista si è espressa coniugando i verbi al presente.

Se la Leosini avesse chiesto “Ci dice che cosa è successo la sera dell’omicidio”, non solo avremmo potuto analizzare i tempi dei verbi utilizzati dal Rocca ma anche le sue priorità, perché sarebbe stato lui a decidere che tempi verbali usare e da dove iniziare il racconto. 

Il Rocca esordisce con una spiegazione non richiesta “La sera, specie a quell’ora, sapendo di dover riuscire nonnn… mettevo la macchina dentro il garage” per prevenire una eventuale domanda dell’intervistatrice.

Si noti in genere“. Si tratta del Normal Factor“. Fare riferimento alla routine è un escamotage usato da chi non dice il vero per evitare di falsificare relativamente ai fatti del giorno del quale parla. 

Si noti che quando il Rocca parla della routine si esprime al passato “si sollevava”.

E’ un errore interrompere l’intervistato.

Leosini: Mi descriva la scena che lei… lei entra in garage, alza la saracinesca, entra e cosa… cosa vede nel… all’interno del garage?

La Leosini continua a parlare al presente. 

Rocca: Io vedo praticamente la borsa di Dina per terra con vari oggetti sparpagliati nel pavimento.

La parola “praticamente” è superflua, che cosa l’ha prodotta?

Leosini: La macchina.

Rocca: La macchina con lo sportello dell’autista aperto e praticamente con il seggiolino della bimbaaa… poggiato per terra sull’altro lato.

Il Rocca aggiunge ancora la parola superflua “praticamente”, perché?

Leosini: Con la bimba dentro ovviamente.

Rocca: Con la bimba dentro.

Leosini: E la bimba?

Rocca: Con la bimba dentro, la bambina… la bimba dormiva.

Leosini: Dormiva.

E’ stata la Leosini a costruire work in progress la risposta del Rocca.

Rocca: Ehm in quel stesso momento sono sopraggiunte due ragazze a cui io ho chiesto subito aiuto rendendomi conto che la situazione fosse strana perché io comunque chiamavo Dina, Dina non rispondeva. Di vedere la bambina per terra, lo sportello aperto, la borsa per terra, mi ha fatto pensare subito a qualcosa di strano. Dando mandato alla signora Pina di chiamare la polizia, io sono andato aa… assicurarmi di dove fosse Dina, sono andato a cercarla su. Io ero armato. A loro sembra strano che io sia andato su anziché avvisare la polizia. Io la prima cosa istintivamente che mi è venuta f… da fare è stata quella di cercare Dina.

E’ inaspettato che il Rocca abbia chiesto aiuto a due ragazze e abbia poi invitato la signora Pina a chiamare la polizia prima di essersi accertato che Dina non fosse in casa.   

Capita di frequente che soggetti che hanno commesso un reato chiedano ad un estraneo di chiamare i soccorso per evitare lo stress che gli indurrebbe. Salvatore Parolisi, dopo aver ucciso sua moglie, fece parlare con l’operatore del 112 la proprietaria di un bar dove si era recato dopo l’omicidio, lasciando che fosse la signora Giovanna Flamini a riferire ai Carabinieri della scomparsa di Melania Rea. 

Leosini: Comunque Rocca tra lei e me c’è… c’è questo tavolo che ci separa.

Rocca: Sì.

Leosini: Su questo tavolo ci sono 2 verità, c’è la sua verità, Rocca, una verità in base alla quale sua moglie Dina Dore, come lei ha detto, sarebbe stata effettivamente uccisa nel corso di un sequestro finito accidentalmente in tragedia e c’è la verità processuale per la quale lei peraltro sconta l’ergastolo appunto, come dicevo, con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie, uccisa nella simulazione di un rapimento, ma è una responsabilità, è un’accusa orribile alla quale lei si dichiara del tutto estraneo.

Non esistono due verità. Esiste un’unica verità, o il Rocca è il mandante dell’omicidio di sua moglie, o non lo è. 

“è una responsabilità, è un’accusa orribile alla quale lei si dichiara del tutto estraneo” è una libera interpretazione della Leosini, non sono parole del Rocca che non ha mai dichiarato di essere “del tutto estraneo” “all’accusa orribile”. La Leosini aiuta il Rocca a mentire.

Rocca: Assolutamente sì.

Neanche quando viene imboccato il Rocca riesce a rispondere da “innocente de facto”. Dicendo “Assolutamente sì” il Rocca mostra di avere bisogno di convincere.

Leosini: […] Le chiedo Rocca di aiutarci a capire… a capire perché lei sarebbe la vittima incolpevole di un errore giudiziario ed è la cosa che io per… che cercheremo di capire insieme […]

“la vittima incolpevole di un errore giudiziario” è sempre la Leosini a dirlo, non il Rocca, che non solo non ha ancora negato in modo credibile di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie, ma non ha mai detto di essere “la vittima di un errore giudiziario”. 

Leosini: […] perché, sia sincero Rocca, lei la perde la testa per Anna Guiso?

Rocca: Eh io ho avute delle… una relazione con Anna Guiso.

Leosini: La domanda è diversa, lei perde la testa per Anna Guiso?

Rocca: Insomma una cosa un po’ diversa, ci… ci sono due fasi della relazione con Anna Guiso: nella prima, io sto con lei quando Dina era ancora in vita e poi esiste una fase successiva, in cui io dopo decido di riprendere la relazione con Anna Guiso.

Il Rocca tiene a precisare che la relazione con Anna Guiso si sviluppò in due fasi. 

Si noti che il Rocca non dice “prima dell’omicidio di Dina” per evitare di confrontarsi con lo stress che un termine tanto evocativo gli indurrebbe. 

Leosini: […] le sue, Rocca, erano balle da conquistador, oppure lei effettivamente non aveva un progetto di vita futuro con la Guiso?

Rocca: Guardi, io le ho detto prima, quando lei mi ha chiesto se avessi perso la testa, la relazione con la Guiso si articola in due momenti, uno prima di quanto è avvenuto a casa, mentre invece la seconda fase poiii… è diversa.

Il Rocca insiste nell’affermare che la relazione con Anna Guiso si articolò in due momenti. 

Si noti che Rocca non dice “prima dell’omicidio di mia moglie”, ma minimizza dicendo invece “prima di quanto è avvenuto a casa”, perché non vuole confrontarsi con lo stress che il termine “omicidio” gli indurrebbe.

Leosini: […] lei avrebbe lasciato sua moglie per la Guiso?

Rocca: Assolutamente no, tant’è vero che non l’ho mica lasciata io.

Dicendo “Assolutamente no” il Rocca mostra di avere bisogno di convincere. 

“tant’è vero che non l’ho mica lasciata io” è una risposta ambigua.

Il Rocca è capace di dire “tant’è vero che non l’ho mica lasciata io”, perché è vero, non l’ha lasciata, che non esclude però che l’abbia fatta uccidere

Leosini: […] Che tipo era Dina […] come reagiva?

Rocca: Guardi, Dina era la moglie ideale per uno che, tra virgolette, voleva farsi i fatti suoi, nel senso che praticamente non siamo stati mai gelosi l’uno dell’altro, non abbiamo mai avuto… nel senso che nonnn… come dire non c’è mai frullato per la testa che uno potesse stare con un altro o viceversa, quindi non abbiamo mai avuto nessun tipo di problemi di questo genere.

Si noti il ripetuto uso del “mai”.

Il Rocca usa il “mai” per riferirsi al periodo di tempo che aveva preceduto la sua relazione con Anna Guiso, non nega che sua moglie fosse gelosa prima di venir uccisa, né che lui desiderasse stare con Anna, né che tra lui e sua moglie fossero emersi problemi prima dell’omicidio. 

Leosini: […] però glielo richiedo non avrebbe lasciato sua moglie per Anna Guiso?

La Leosini mostra di essere convinta che il Rocca non avrebbe lasciato Dina, lo prova la presenza del “non” nella sua domanda. Una domanda suggestiva attraverso la quale invita l’intervistato a negare.

Rocca: Assolutamente no.

Neanche quando viene imboccato il Rocca riesce a rispondere da “innocente de facto”. Dicendo “Assolutamente no” il Rocca mostra di avere bisogno di convincere.

Francesco Rocca ha scritto il seguente messaggio alla moglie Dina Dore: “Cazzo, neanche quando voglio impegnarmi, riesco a stare con te… voglio solo che tenga presente che ti amo da morire… muoio all’idea di potervi perdere. Ti giuro, credimi, ti farò stare da favola, riuscirò a farti dimenticare questo periodo di merda”.

La Leosini ha affermato che si tratta di uno tra i “messaggi veramente molto toccanti” scritti dal Rocca alla vittima.

Analizziamolo insieme:
1) Rocca esordisce con una inaspettata parolaccia (“Cazzo”) attraverso la quale si mostra dominante e indispone l’interlocutore;
2) non dice “neanche quando mi impegno” ma un debole “voglio impegnarmi” che rivela solo un intento;
3) scrivendo “morire” e “muoio”, ci rivela che la morte, l’omicidio, è già nei suoi pensieri; si tratta di Leakage, ovvero del rilascio involontario di informazioni presenti nella mente di chi si esprime;
4) “Ti giuro, credimi” è il linguaggio dei bugiardi abituali che sperano di essere creduti;
5) chiude con un’altra parolaccia “merda”.

Leosini: […] Tant’è che gli dò anche gli elementi attraverso i quali si mostra come lei abbia fatto di tutto per potere recuperare sua moglie.

Francesco Rocca scriveva questi messaggi per evitare che Dina Dore chiedesse il divorzio, non “per poter recuperare sua moglie”, come affermato dalla Leosini, e nel frattempo pianificava l’omicidio. Un omicidio il cui movente è economico.

Leosini: Senta Rocca, era sincero lei?

Rocca: Come?

Leosini: Era sincero lei?

La domanda della Leosini prevede un “Sì” o un “No” come risposta.

Rocca: Eh certo.

Il Rocca non è capace di rispondere con un “Sì”.

Leosini: Davvero in quel periodo Anna era solo una… una storiella scopereccia, come ho detto.

La domanda della Leosini prevede un “Sì” o un “No” come risposta.

Rocca: Sì ehm… assolutamente. Se io avessi voluto lasciare Dina, l’avrei lasciata, punto.

Il Rocca mostra di avere bisogno di convincere.

“Se io avessi voluto lasciare Dina, l’avrei lasciata, punto” è un’affermazione vera, che non esclude però che l’abbia fatta uccidere.

Leosini: Insomma Rocca lei è all’ergastolo con la più spaventosa delle accuse, quella di essere stato il mandante dell’omicidio di sua moglie, perché perdutamente innamorato appunto di un’altra donna di Anna Guiso […] lei […] proprio a ridosso della tragedia, almeno a quanto sembra, fa di tutto per farsi perdonare da… da Dina, fa di tutto per riprendersi questa moglie giustamente imbufalita e, per lo meno, è quello che traspare da quei suoi messaggi e sono spesso parole in ginocchio le sue, sono spesso, ecco, veramente parole d’amore, anche di desiderio, va detto, per esempio, circa un mese prima della tragedia all’una di notte lei scrive a Dina: “Posso salire a fare l’amore?”

E’ la Leosini a credere che il Rocca volesse “riprendersi questa moglie”, in realtà il Rocca desiderava solo evitare che Dina si rivolgesse ad un avvocato per divorziare da lui.

Leosini: […] Lei era sincero, o era tutta una farsa quella?

Rocca: No, signora, lì son sincero, eh certo che son sincero.

Il Rocca mostra di avere bisogno di convincere. Si noti il “lì” che ci rivela che in altre occasioni non è stato sincero.

Leosini: […] una farsa per mostrare che quello per cui lei è qui, come mandante dell’omicidio di sua moglie, una farsa per mostrare che invece lei voleva bene a sua moglie e invece quello che è successo non la riguardava, per questo glielo chiedo.

Rocca: Assolutamente.

“Assolutamente” non è l’equivalente di “No”, anzi rivela un bisogno di convincere che gli “innocenti de facto“ non hanno.

Leosini: No, se fosse così sarebbe un genio del male lei insomma.

Rocca: Eeeh.

Leosini: Ecco, le farei i complimenti come genio del male insomma.

Rocca: Eeeh.

Si noti che fino a questo momento, nonostante ne abbia avuto l’occasione, il Rocca non ha negato in modo credibile di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina. Francesco Rocca non ha ancora detto “io non sono il mandante dell’omicidio di mia moglie Dina, sto dicendo la verità, sono innocente”.

Leosini: Era tranquillo con la sua coscienza?

Non tutti gli esseri umani sono capaci di provare senso di colpa e rimorso, pertanto la risposta a questa domanda non è dirimente. In ogni caso è una domanda che permetterebbe al Rocca di negare in modo credibile di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina.

Rocca: […] cosa vuol dire se ero tranquillo nella mia coscienza? Io in mia… la mia coscienza, allora come oggi cerca di ottenere quella che sia la verità vera.

Il Rocca prende tempo con una domanda e poi risponde in modo evasivo.

Si noti che per il Rocca esistono “la verità” e “la verità vera”.  Il Rocca dicendo “verità vera” lascia intendere che sono stati commessi degli errori nella ricostruzione dei fatti da parte di inquirenti e giudici ma non nega di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie.  

Leosini: […] il convincimento di chi l’ha gettato all’ergastolo è un altro…

Rocca: Eh lo so.

Leosini:… che a favorire l’accesso del… di chi ha poi tolto la vita a sua moglie, degli assassini nel suo garage sarebbe stato lei […]

Rocca: Questo lo dicono loro.

Leosini: Purtroppo lo dicono loro.

“Purtroppo” per chi?

Rocca: Eh lo so.

Leosini: l’hanno detto 3 sentenze compresa una cassazione per cui noi siamo qui a parlarci […]

Rocca: Eh.

Uno scambio esplicativo. Le affermazioni della Leosini avrebbe permesso al Rocca di negare in modo credibile di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie ma lui, invece di ribattere, per non mentire, si è limitato a rispondere con “Eh lo so”, “Questo lo dicono loro” e “Eh”. 

Leosini: Lei se lo immaginava che insomma lei era sotto… sotto controllo, che si cominciava ad indagare anche su di lei?

Rocca: Ma io ho avuto il sentore che loro potessero avere qualchee… non loro… cheee mmm… ci potesse essere qualche sentore da parte di qualcuno sulla mia responsabilità, me ne sono accorto in mmm… la cosa non mmm… (interrotto)

“mia responsabilità” è un’ammissione.

Leosini: Però lei ha detto… ha usato un’affermazione un po’ strana per lei “che ci fosse sentore che potessi essere responsabile “ è una frase brutta eh da parte sua, “sentore” vuol dire “sospetto”, è una cosa, “sentore” vuol dire che lei era responsabile.

E’ inaspettato che la giornalista interrompa il Rocca, ancor di più lo è il fatto che lo interrompa per contestargli i termini usati.

La Leosini dovrebbe semplicemente prendere atto delle risposte e invece mostra di avere delle aspettative. 

“sentore” significa percezione vaga, sensazione. Anche un “innocente de facto” può avere il “sentore” che si sospetti di lui. Non è “sentore” la parola incriminante, lo sono invece le parole “mia responsabilità”. 

Rocca: Eh assolutamente.

Il Rocca non nega di essere il responsabile. Dire “assolutamente” non equivale a negare. Per non mentire, Francesco Rocca non nega di essere il mandante. 

Leosini: E allora usiamo i termini con… mi deve scusare se io l’ho puntualizzato, ecco.

Non solo la Leosini ricostruisce i fatti per il Rocca e trae conclusioni sganciate dalle parole dell’intervistato, ma lo invita pure ad usare “i termini con…”. E’ il colmo. Il Rocca usa certi termini perché ha commesso il reato per il quale è stato condannato. “It is what it is”, ovvero “le cose sono quelle che sono” e le parole del Rocca sono la conseguenza delle sue azioni. Non si possono riscrivere i fatti a piacimento, né si può costringere il responsabile di un reato a parlare come un “innocente de facto”.

Leosini […] il fatto che lei avesse taciuto su alcuni punti significativi era motivo di sospetto.

Francesco Rocca: Ma se io fossi un omicida, come loro mi dipingono, sarei così stupido da fare l’amore in macchina con Anna Guiso sapendo di essere ascoltato da loro e poi nego la relazione o faccio finta che nulla succeda? Allora dov’è tutta questa intelligenza del pazzo omicida? Sarei veramente coglione, è diversa la cosa.

E’ il Rocca ad aprire alla possibilità di essere un omicida, “se io fossi un omicida” sono parole che gli “innocenti de facto” non dicono.

Leosini: Però quando si è innamorati, un po’ coglioni si può essere anche, se me lo consente.

Rocca: Stiamo parlando di 5 anni successivi al delitto. Quindi non è che stiamo parlando di una scappatella. Stiamo parlando di diverse fasi della mia relazione. Io non ho mai avuto problemi a fare quello che dovevo fare in macchina con la Guiso sapendo di essere ascoltato da loro, allo stesso tempo loro dicono: “Ha voluto volutamente tacere la relazione”, e allora son stupido, non sono quello che pianifica, che fa, che introduce dentro casa e… sono stupido eh.

Il Rocca continua a ripetere che ci furono “diverse fasi” nella sua relazione con la Guiso per convincere la giornalista che all’epoca dell’omicidio di Dina non era innamorato di Anna e quindi non aveva motivo di desiderare la morte della moglie.

Leosini: Ci sono state purtroppo al processo molte testimonianze di amici suoi che hanno testimoniato che avevano prestato a lei delle grosse cifre che non hanno mai più rivisto.

Si noti l’inspiegabile “purtroppo” della Leosini.

Rocca: E altri chiamati dell’accusa che invece (interrotto)

Leosini: Eh però…

Rocca:… son stati chiamati per dire che avevano prestato dei miei soldi ed invece hanno dichiarato che sono io che li avevo prestati a loro e che ancora (interrotto)

Leosini: Vabbè, comunque ci sono quelli che purtroppo

La Leosini usa ancora una volta il termine “purtroppo”. 

Rocca:… non me li avevano resi.

Rocca: Quindi ho il dovere, ho il dovere morale, ho il dovere di dire le grandi stupidaggini dette durante il processo.

Il Rocca, invece di cogliere l’occasione per negare in modo credibile di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina, desidera riferire “le grandi stupidaggini dette durante il processo”.

Leosini: […] Ascolti me Rocca, non pensi agli atti, perché, guardi che gli atti li conosc…

Rocca: Sì, sì, sto ascoltando, sto ascoltando, no, io agli atti ci penso eccome…

Leosini: Ma ci penso io agli atti.

Rocca: Non ci dormo io per gli atti.

Leosini: Sì, ma io li ho studiati quanto lei.

Rocca: Figuriamoci se non penso agli atti, gli atti sono importanti.

Leosini: Certo sono importanti, non sarei qua a parlare con lei, sono import…

Rocca: Sono scritti… sono nero su bianco e certificano le bugie dette.

Il Rocca, invece di negare in modo credibile di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina, desidera precisare che negli atti sono scritte delle bugie ma non ci dice chi le avrebbe dette.

Leosini: Rocca, la prego, quando lei dice bugie ho il dovere di smentirla, non di smentirla, di tutelare diciamo i magistrati che…

Rocca: Vuole qualche esempio?

Leosini: No, in questo momento non voglio esempi, voglio…

Rocca: Se vuole glieli faccio.

Leosini: No, voglio che lei mi faccia dire praticamente quali sono i moventi, il movente che le è stato attribuiti. Il movente passionale, cioè il suo grande amore per Anna Guiso e la sua volontà di spendere la vita con questa donna e il movente economico, perché in base, così, al convincimento degli inquirenti e poi dei magistrati lei non sarebbe stato in grado di mantenere, separandosi da sua moglie, famiglia di sua moglie con la piccola bimba che era nata da 8 mesi e logicamente il suo ménage con Anna Guiso.

Rocca: Eh, questo è quello che sostengono loro.

Ancora una volta il Rocca mostra di essere incapace di replicare alle accuse, non contesta la ricostruzione di inquirenti e giudici, ma torna a dire “questo è quello che sostengono loro”.

Leosini: Questo è quello che è negli atti del processo.

Rocca: Questo è quello che sostengono loro.

Il Rocca è incapace di replicare alle accuse.

Leosini: Perché purtroppo quando si è innamorati… la capoccia si perde.

“purtroppo” il Rocca ha fatto uccidere sua moglie Dina.

Rocca: Si fanno degli errori e di questi errori mi assumo le mie responsabilità.

L’errore di cui il Rocca deve assumersi le sue responsabilità è l’omicidio di Dina Dore, le parole dette e scritte ad Anna sono una conseguenza del reato da lui commesso.

Leosini: Tantè che purtroppo

“purtroppo” per Dina Dore.

Rocca: Tant’è che siamo qua.

Leosini: Qua stiamo a parlarci.

Trascrizione di un’intercettazione di una telefonata tra il Rocca e la Guiso, è il Rocca a parlare: “SINCERAMENTE MI DISPIACE PER COME GLIELO ABBIANO FATTO, PERO’, CAZZO, ODDIO, DIRLO, ODDIO, DIRLO, MA E’ STATA CAZZO UNA, COME DIRE, UNA LIBERAZIONE”

In Statement Analysis, a prescindere dal contesto in cui vengono pronunciate, notiamo sempre le parole “mi dispiace” perché è estremamente frequente che vengano emesse dai colpevoli, parole che sono da considerarsi una sorta di “Leakage”. Il “Leakage” consiste nel rilascio involontario di informazioni che stazionano nella mente del soggetto che si esprime, in questo caso relative al senso di colpa.

Francesco Rocca riteneva sua moglie Dina un intralcio.

Trascrizione di un’intercettazione di una telefonata tra il Rocca e la Guiso, è il Rocca a parlare: HA AVUTO LA FINE CHE MERITAVA, E’ TERRIBILE, E’ MACABRO CHE IO LO DICA, MA PEGGIO PER LEI

Francesco Rocca odiava sua moglie Dina.

Leosini: Rocca, io so che la metto in difficoltà nel chiederlo, ma veramente lei in quel momento pensava che sua moglie meritasse quella fine atroce?

Rocca: Non lo so, iooo… tante frasi, tante stupidaggini le ho dette forse per cercare diii… come dire, di farle capire chee… era diventata più importante di quantooo… non fosse stata Dina prima. Io… le frasi che ho detto non hanno giustificazione.

Il Rocca è incapace di rispondere con un “No”. Si noti il “forse” che indebolisce il suo tentativo di spiegare il perché dicesse certe cose alla Guiso.

Leosini: Ma lo pensava veramente?

La Leosini ripete la domanda perché vorrebbe che il Rocca fosse più incisivo. Lo ripeto, quando si interroga o si intervista qualcuno è un errore avere delle aspettative, “it is what it is”. Il Rocca non prende le distanze dalle parole per un motivo preciso, non perché non sappia esprimersi. Francesco Rocca non è capace di negare perché è lui il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina.

Rocca: Ma assolutamente no, si ricordi sempre che io comunque quelle frasi le ho dette sapendo che queste frasi gli inquirenti le leggevano, o le vedevano e quindi, tra virgolette, supponevo che potessero capire che erano frasi dette con lo scopo di, come dire, addolcire Anna e non…, tra virgolette, distruggere il ricordo di Dina. Son state interpretate come (interrotto)

Il Rocca mostra di avere bisogno di convincere, un bisogno che gli “innocenti de facto” non hanno. 

Trascrizione di un’intercettazione di una telefonata tra il Rocca e la Guiso:

ROCCA: “NO, NON TI HO PRESO IN GIRO, ERO CONVINTO DALL’INIZIO DI POTER RIUSCIRE A TRASCORRERE LA VITA CON TE”

ROCCA: “MA DAL MOMENTO CHE IO ERO CONVINTO DI QUESTO FIN DALL’INIZIO CHE CAZZO DI SENSO AVEVA… CHE CAZZO DI SENSO AVEVA TUTTO IL RESTO”

GUISO: “CHE COS’E’ TUTTO IL RESTO?”

ROCCA: “TUTTO IL RESTO E’ FARLA MORIRE, TUTTO IL  RESTO E’ FAR NASCERE QUESTA BAMBINA”

Un’intercettazione che smentisce la storia delle diverse fasi nella relazione con la Guiso e conferma che il Rocca è il mandante dell’omicidio di sua moglie.

Leosini: […] Lei capisce è questo per cui noi ci stiamo parlando.

Il Rocca è in carcere a parlare con la Leosini perché lui è il mandante dell’omicidio di sua moglie, le parole incriminanti da lui pronunciate e registrate dagli inquirenti sono una conseguenza dell’omicidio, non la causa della sua condanna.

Rocca: Eh lo so. Non sono di sicuro frasiii… frasi simpatiche, non esistono giustificazioni a queste frasi, cosa vuole che le dica, io più chee… dire che le ho dette in una fase confusa cercando dii… come dire, di portaree… lei a pensare che l’unica cosa importante fosse lei, più che Dina, più che tutto il resto.

Leosini: […] sono state considerate un’ammissione di colpa, lei questo lo sa adesso.

Rocca: Eh certo che lo so.

Il Rocca non nega per non mentire.

Trascrizione di un’intercettazione di una telefonata tra il Rocca e la Guiso:

ROCCA: “UN GIORNO LO SAPRAI CHE COSA HO FATTO PER TE E ALLORA TI RENDERAI CONTO DI QUANTO CAZZO TI AMO”

GUISO: “COSA HAI FATTO PER ME?”

ROCCA: “TI AMO, PUNTO. TI AMO. ESISTERA’ UN GIORNO IN CUI QUALCUNO TI VERRA’ A DIRE: “QUESTO AVEVA FATTO PER TE TUTTO QUESTO”. E ALLORA FORSE TI RENDERAI CONTO CHE TI AMAVO”

Un’altra intercettazione che ci conferma che il Rocca ha fatto uccidere sua moglie Dina.

Leosini: Rocca vuole spiegare a noi, che cerchiamo di capire, cosa intendeva dire ad Anna Guiso.

Rocca: Ma io lo ripeto, quello che ho detto prima, sono frasi che io dico per cercare diii… dii… mmm… di catturare la sua attenzione, diiii… di non farla sentire inferiore a quello che era stata Dina con me. Gli inquirenti attribuiscono questo ad un un fattooo… come dire ad un fatto in particolare.

Il Rocca non dice “omicidio” per non confrontarsi con lo stress che una parola tanto evocativa gli indurrebbe.

Leosini: Eh.

Rocca: Eh ma.

Il Rocca non nega per non mentire.

Leosini: Un piccolo particolare: ammazzare sua moglie.

Rocca: Eh assolutamente non è così.

“assolutamente non è così” non è una negazione credibile, peraltro il Rocca mostra ancora una volta di avere bisogno di convincere. Il Rocca non dice “io non ho fatto ammazzare mia moglie” per non mentire.

Leosini: […] La svolta ha l’ambigua concretezza di una lettera anonima e parlo di ambigua concretezza perché nel buio dell’anonimato spicca nel foglio un dettagliato elenco di nomi fra i quali ci sarebbero stati i responsabili dell’omicidio di sua moglie Dina Dora […] è il 28 marzo del 2008 […] Pierpaolo Contu cerca Stefano Lai […] Pierpaolo glielo dice a Stefano che in quella storia orrida c’era di mezzo lui, che a uccidere Dina Dore era stato lui e ci aveva anche preso gusto. Ma che il mandante di quell’atrocità…

Rocca: Ero stato io.

Leosini: Era lei. Quindi ha mentito…. chi ha mentito? Ha mentito Stefano Lai?

Rocca: Eh assolutamente. Ma del fatto che Stefano Lai ha mentito non ci son dubbi.

Rocca è incapace di rispondere con un “Sì” e mostra di avere bisogno di convincere.

Leosini: E’ vero che lei aveva stretto con Pierpaolo Contu questo patto di sangue?

Rocca: Ma lasciamo perdere.

Una risposta evasiva. Il Rocca non nega per non mentire.

Leosini: E’ vero che aveva fatto a Contu tutte queste promesse?

Rocca: Assolutamente no.

Francesco Rocca non è capace di dire “No” e mostra ancora una volta di avere bisogno di convincere.

Leosini: Comunque il 28 febbraio 2013 per lei è una brutta data perché a distanza di 5 anni dalla tragedia, lei Rocca viene arrestato e viene arrestato con la spaventevole accusa di essere lei il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina Dore. Del resto anche ora che ha un ergastolo da scontare lei continua a gridare la sua estraneità alla tragedia.

Di ciò che sostiene la Leosini, ovvero che il Rocca continui a gridare “la sua estraneità alla tragedia”, in questa intervista non v’è traccia.

Rocca: Assolutamente sì.

Francesco Rocca mostra di avere bisogno di convincere.

Leosini: È così.

Leosini: Quindi quel giorno di febbraio il 28 di febbraio hanno arrestato un innocente?

E’ la Leosini ad introdurre il termine “innocente”.

Rocca: Assolutamente sì. Hanno arrestato due innocenti, non uno eh.

Rocca ripete a pappagallo le parole della Leosini e mostra di avere bisogno di convincere.

Leosini: […] una cosa è certa, in questa storia atroce a fare da protagonista è la menzogna, perché o ha mentito Pierpaolo Contu sul delitto, mi faccia finire, che ha raccontato, lei dice: “Avrebbe”, io dico, ha raccontato a Stefano, dati processuali, una vicenda orrida chiamando in causa anche lei Rocca, o ha mentito Stefano Lai, che avrebbe inventato tutto e soprattutto avrebbe inventato la confidenza di Pierpaolo Contu, si trova?

Rocca: Eh certo.

Rocca è incapace di rispondere con un “Sì”.

Leosini: E avrebbe quindi spedito in galera due innocenti, cioè lei e Pierpaolo Contu, oppure continua a mentire lei?

Rocca: No, io non ho mentit… io non ho mentito e non continuo a mentire, non men… non mentivo prima e non mentirò dopo. Che tutto sia basato sulla menzogna è più che avverato.

Il Rocca riesce a dire di non aver mentito perché non ha falsificato, ha solo dissimulato. Egli infatti, per non mentire, non ha mai detto di non essere il mandante dell’omicidio di Dina.

I non addetti ai lavori ritengono che la maggior parte della gente menta, mentre nella realtà, il 90% dei soggetti che non raccontano la verità, dissimulano, ovvero non raccontano menzogne ma semplicemente nascondono alcune informazioni senza dire nulla di falso. Chi dissimula si affida all’interpretazione delle proprie parole da parte di interlocutori inesperti e quando nega lo fa fornendo risposte che si avvicinano soltanto a negazioni credibili.

In generale la dissimulazione è considerata meno riprovevole della falsificazione perché, essendo un comportamento passivo, fa sentire meno in colpa. Peraltro, chi dissimula può giustificarsi più facilmente di chi falsifica, ad esempio sostenendo di non aver detto tutto a causa di una dimenticanza.

Giosuè Ruotolo è stato condannato in primo e secondo grado all’ergastolo per il duplice omicidio di Trifone Ragone e Teresa Costanza. Riguardo alla dissimulazione sono particolarmente interessanti alcune parole da lui dette alla fidanzata Rosaria nel corso di una telefonata intercettata dagli inquirenti: “Non è che io ho detto bugie, ma ho evitato di dire una cosa, che non significa una bugia”. 

Falsificare è invece molto impegnativo e, con il passare del tempo, chi decide di farlo si accorge che non solo è costretto a ripetere all’infinito la prima bugia, ma che deve far ricorso a superfetazioni sempre più articolate per tenerla in piedi.

Leosini: Comunque Rocca per riassumere Lei sconta un ergastolo come mandante dell’omicidio di sua moglie mentre continua appunto a professare la sua innocenza.

Nulla di più comodo per il mandante di un omicidio di un portavoce che chieda solo di confermare più o meno conditi proclami d’innocenza, peraltro completamente sganciati dalle risposte da lui appena fornite che invece lo inchiodano senza se e senza ma alle sue responsabilità.

Rocca: Eeee.

Il Rocca, per non mentire, non dice “Sì”. 

Leosini: Pierpaolo Contu, le cui impronte peraltro non sono mai state rinvenute sul corpo di Dina né sulfamigerato scotch che ha tolto il respiro a sa moglie e che non ha mai confessato Contu, è stato condannato a 16 anni di reclusione.

Rocca: Non è che non ha mai confessato, si è sempre proclamato innocente.

Dirsi “innocenti” non equivale a negare l’azione omicidiaria.

Rocca: Le forze dell’ordine trovino ignoto 1 chiunque esso sia, non devono evitare di cercare ignoto 1 solo perché sanno che ignoto 1 non è ricollegabile a Pierpaolo e Francesco, devono cercare ignoto 1 perché è ignoto 1 che ha ucciso Dina e questo lo dovrebbero a Dina e a tutto il resto.

Il Rocca, invece di negare in modo credibile, si aggrappa a “ignoto 1”.

Leosini: Senta Rocca, in precedenza ci siamo incontrati e lei a denti stretti mi ha detto: “Dina non ha avuto giustizia”, allora secondo lei, chi ha ucciso sua moglie?

“Dina non ha avuto giustizia” sono parole riportate dalla Leosini, se le avesse pronunciate il Rocca potrebbero semplicemente voler dire che uno degli assassini di Dina non è stato ancora identificato. E chi meglio del mandante ne avrebbe contezza?

Rocca: Io questo non sono in grado dii… di stabilirlo magari potessi essere in grado di dirlo, ioo… faccio tutt’altra professione, peròòò… loro hanno un dato certo che è il DNA di ignoto 1, partano da lì e trovano il responsabile, trovano il mandante e trovano tutto quello che c’era dietro.

Il Rocca si incarta e ci rivela che è a conoscenza dell’esistenza di un “mandante”.

Leosini: Sta sollevando dei dubbi forti su come sono state condotte le indagini.

Rocca: Io sto dando dei dati, sto dando dei dati, non sto sollevando dei dubbi, sto dando dei dati. Io merito un giusto processo. Dina merita giustizia. Lasciamo perdere me, a me mi hanno condannato all’or… all’ergastolo, ok. Lasciamo perdere me. Cerchino ignoto 1, almeno per rispetto di… della povera Dina.

Rocca accetta di essere stato condannato all’ergastolo. 

Leosini: Rocca Il mandante di un crimine è un vigliacco: si macchia la coscienza ma non si sporca le mani. Cosa c’è di lei in questa definizione?

Rocca: Niente… niente, assolutamente niente. E un giorno mi auguro di poterlo… di poter riuscire a dimostrare quello che dico. Io non sono stato il mandante di niente.

“Io non sono il mandante di niente” non è una negazione credibile, Rocca, per non mentire, sostituisce “dell’omicidio di mia moglie Dina” con “di niente”.

Poche ore dopo l’omicidio Francesco Rocca ha detto ai giornalisti:

“Sono entrato, mi sono occupato della… della bambina insieme alle due gentilissime passanti che mi hanno dato una mano, sono salito su a controllare se mia moglie fosse in casa, se l’avessero portata su, ma io per primo non ho pensato di aprire il cofano in quell’istante, probabilmente lei l’hanno messa lì, non so, forse per portarla via, forse chissà per che cosa, però quando già era senza vita, secondo me.”

Già queste sue prime dichiarazioni sono incriminanti:

– Perché “mi sono occupato della… della bambina” e non “ho visto la bambina in terra e l’ho presa in braccio”?

– Si noti “gentilissime”, è inaspettato, hanno appena ucciso sua moglie e Rocca non solo rilascia un’intervista, ma riesce a distribuire attributi di riguardo.

– Ma ecco lo stralcio che lo inchioda, si noti “sono salito su a controllare se mia moglie fosse in casa, se l’avessero portata su”. Perché usa il verbo “controllare”? ma soprattutto “se l’avessero portata su” chi? Da un soggetto estraneo ai fatti ci saremmo aspettati che dicesse: “sono salito per cercare mia moglie Dina in casa”.
Peraltro il Rocca ha rivelato subito che gli assassini ai quali lui ha dato il mandato sono almeno due.

CONCLUSIONI

Francesco Rocca non ha mai negato in modo credibile di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina Dore; ha mostrato di non possedere il cosiddetto “muro della verità”; non ha mai usato le parole “omicidio”, “assassinio”, “uccisa”, “ammazzata”, per evitare lo stress che gli avrebbe prodotto il pronunciarle; non ha mai speso neanche una parola d’affetto per Dina, mentre, parlando della fine del suo rapporto con Anna Guiso ha detto: “Eh per me è stato un dolore (incomprensibile) io non lo nego che sia stato un dolore, io non ho paura di dire quello che ho fatto, di dire quello che pensavo allora” ed infine, non ha avuto parole di condanna e di disprezzo per gli autori dell’omicidio di sua moglie Dina.

Francesco Rocca non è la vittima di un errore giudiziario.

Questo articolo è stato pubblicato su APPIAPOLIS il 20 giugno 2020

Obiettivo Investigazione: una mia intervista sull’omicidio di Arce

Obiettivo Investigazione, 8 giugno 2020

Omicidio di Arce

“19 anni senza verità sulla morte di Serena Mollicone”

 

Il 31 maggio 2020, in una struttura di lungo degenza dell’ospedale Spaziani di Frosinone,  è morto Guglielmo Mollicone.

Guglielmo era il padre di Serena Mollicone, la giovane uccisa ad Arce il 1 giugno 2001, in circostanze mai chiarite.

Il cadavere di Serena, quando venne ritrovato – due giorni dopo la sua scomparsa – in un bosco a pochi chilometri da Arce, presentava i segni di un trauma contusivo alla tempia sinistra, aveva gambe e mani legate, del nastro adesivo sulla bocca e un sacchetto di plastica sulla testa. L’esame medico legale stabilì che la giovane era morta per asfissia.

Nel settembre 2002 la procura di Cassino iscrisse nel registro degli indagati Carmine Belli, un carrozziere di Rocca d’Arce. Belli venne processato e assolto, ma scontò ben 17 mesi di carcere.

L’11 aprile 2008, Santino Tuzi, un carabiniere di Arce, si tolse la vita all’interno della sua auto, sparandosi con la pistola d’ordinanza. Il carabiniere Tuzi aveva parlato con gli investigatori in riferimento all’omicidio di Serena Mollicone, indicando che la mattina della sua scomparsa, Serena era entrata nella caserma dei carabinieri di Arce verso le 11.00 e fino alle 14.30 non era uscita.

Un omicidio per il quale, a distanza di quasi venti anni, è stato richiesto il rinvio a giudizio per 5 persone, di cui 3 carabinieri.

La procura di Cassino ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso in omicidio per Marco Mottola, per il padre Franco (ex maresciallo dei carabinieri), per la madre Anna e per il maresciallo Vincenzo Quatrale, nonché la richiesta di rinvio a giudizio per favoreggiamento per l’appuntato Francesco Suprano.

Il maresciallo Quatrale è stato inoltre accusato di istigazione al suicidio nei confronti del brigadiere Santino Tuzi.

L’11 gennaio 2020 Marco e Franco Mottola rilasciarono delle dichiarazioni durante una conferenza stampa, che sono state analizzate dalla Dott.ssa Ursula Franco, con la tecnica dello Statement Analysis (ovvero l’analisi delle dichiarazioni).

Dottoressa Franco, quali informazioni può darci lo Statement Analysis?

“Come è noto, in Statement Analysis partiamo dal presupposto che chi parla sia “innocente de facto” e che parli per essere compreso. Da un “innocente de facto” ci aspettiamo che neghi in modo credibile e che nel suo linguaggio non siano presenti indicatori caratteristici delle dichiarazioni di coloro che non dicono il vero.

In questo caso, in specie perché sono stati loro a convocare i giornalisti, ci aspettiamo che Marco e Franco Mottola colgano l’occasione per negare in modo credibile di aver ucciso Serena Mollicone.

Per intendersi facciamo un esempio. La frase “io non ho ucciso Serena Mollicone”, seguita dalla frase “ho detto la verità” o “sto dicendo la verità” riferita a “io non ho ucciso Serena Mollicone”, è una negazione credibile. Anche la frase “io non ho ucciso Serena Mollicone, ho detto la verità, sono innocente” è da considerarsi una negazione credibile.

In Statement Analysis analizziamo le parole che non ci aspettiamo di udire o di leggere (The Expected Versus The Unexpected).

Un “innocente de facto” non ci sorprenderà, negherà in modo credibile già nelle prime battute. Un “innocente de facto” mostrerà di possedere la protezione del cosiddetto “muro della verità” (wall of truth), un’impenetrabile barriera psicologica che permette ai soggetti che dicono il vero di limitarsi a rispondere con poche parole in quanto gli stessi non hanno necessità di convincere nessuno di niente”.

Dott.ssa Franco, come deve essere interpretata la seguente dichiarazione di Marco Mottola?

“Io sono innocente. Non ho mai fatto del male a Serena Mollicone, né so nulla sulla sua morte. Respingo ogni accusa. La mattina del primo giugno non l’ho vista, né in caserma, né in altre parti. Non è venuta a cercarmi mai in caserma. Il brigadiere Santino Tuzi non mi ha telefonato dalla caserma a casa mia e non mi ha avvisato di nulla. Dice una menzogna o si sbaglia quando dice di aver parlato con me. Preciso che ero presente al funerale di Serena. Ed ancora: in vita mia ho commesso degli errori e ho dato molti problemi alla mia famiglia, a mio padre, e di questo ho chiesto scusa a loro com’è giusto che sia. Abbiamo fiducia nella giustizia. Per il resto parleremo con i giudici. Ehm, non… non chiedetemi nulla perché per ogni eventuale domanda parlate con l’avvocato, con il professore, il portavoce del team. Grazie.”

Marco Mottola avrebbe potuto negare in modo credibile pronunciando solo 12 parole ed invece ha scelto di usarne 149 per convincere i suoi interlocutori di non aver ucciso Serena. 

“Io sono innocente” non è una negazione credibile. Dirsi innocente non equivale a negare l’azione omicidiaria. Peraltro, Marco Mottola “innocente de iure” lo è non essendo stato ancora giudicato.

“Non ho mai fatto del male a Serena Mollicone, né so nulla sulla sua morte” non sono negazioni credibili. Il fatto che Marco Mottola usi “fatto del male” invece che “ucciso” ci rivela il suo desiderio di non confrontarsi con le accuse per evitare lo stress che gli indurrebbe. Peraltro, con l’uso dell’avverbio “mai” il Mottola fa riferimento ad un lasso di tempo indefinito.

“Respingo ogni accusa” è un modo di negare le accuse non l’omicidio.

Dott.ssa Franco: Marco Mottola dice “ho chiesto scusa a loro com’è giusto che sia” perché sente il bisogno di rappresentarsi come un “bravo ragazzo”, un bisogno che i “bravi ragazzi” non hanno. Il suo bisogno è dettato dalla necessità di ingraziarsi la platea.

Si noti “ho chiesto scusa”. In Statement Analysis, a prescindere dal contesto in cui vengono pronunciate, notiamo sempre le parole “mi dispiace”, “scusa”, “mi scuso”, “chiedo scusa”, “ho chiesto scusa” perché è estremamente frequente che vengano emesse da chi ha commesso il reato di cui parla e sono da considerarsi una sorta di “Leakage”. Il “Leakage” consiste nel rilascio involontario di informazioni che stazionano nella mente del soggetto interrogato.

In tutti questi anni Marco Mottola non ha mai negato in modo credibile di aver ucciso Serena Mollicone, non ha mai detto “Io non ho ucciso Serena Mollicone, sto dicendo la verità”.

Dott.ssa Franco, passiamo adesso alle dichiarazioni di Franco Mottola:

“Intanto buongiorno e benvenuti a questa conferenza. Personalmente respingo, respingiamo ogni accusa. Sono e siamo totalmente innocenti della morte di Serena. E di ogni azione criminale collegata a lei, non so e non sappiamo nulla. Comunque, se Serena realmente doveva andare a parlare con mio figlio non c’era bisogno che si facesse vedere dal piantone della caserma, poteva citofonare  direttamente all’alloggio avendo un ingresso indipendente e un citofono indipendente per accedere agli alloggi, quindi non è il caso… non c’era bisogno che suonasse in caserma per accedere a casa mia, eh… giusto per… Poi: chi collega la morte di Santino Tuzi al fatto che qualche giorno dopo doveva avere un confronto con me, dice una sciocchezza enorme basata sulla voglia di calunniare e costruire fantasie perché né io, né il mio difensore, né nessuno di noi era a conoscenza di questa cosa, nessuno, a nessuno di noi è stato mai comunicato… questa notizia, quindi è del tutto falsa e infondata. Per il resto parleremo con i giudici. Ci auguriamo che vengano scoperti l’assassino di Serena e gli eventuali complici. Ci siamo chiusi a riccio da quando ci siamo accorti che ci circondavano e ci sommergevano di facili accuse, di sospetti e dicerie. Non chiedetemi nulla. Per ogni cosa parlate con l’avvocato o con il professore, come già detto prima, si parlerà soltanto congiuntamente e non da soli. Grazie a tutti.”

Cosa può dirci in questo caso lo Statement Analysis?

Dott.ssa Franco: Anche Franco Mottola, invece di negare in modo credibile un suo coinvolgimento nell’omicidio di Serena Mollicone, ha scelto di usare 231 parole per convincere i suoi interlocutori della sua estraneità ai fatti. 

“Personalmente respingo, respingiamo ogni accusa” è un modo di negare le accuse non l’omicidio. 

“Sono e siamo totalmente innocenti della morte di Serena” non è una negazione credibile, peraltro, non esistono gradi diversi di innocenza, non esistono soggetti “innocenti” ed altri “totalmente innocenti”.

“E di ogni azione criminale collegata a lei, non so e non sappiamo nulla” non è una negazione credibile.

“Se Serena realmente doveva andare a parlare con mio figlio”, sono parole di Franco Mottola, è lui ad aprire la porta a questa possibilità.

A seguito dell’analisi delle dichiarazioni secondo la tecnica dello Statement Analysis, possiamo quindi concludere che i Mottola non hanno negato in maniera credibile di aver partecipato all’omicidio della povera Serena Mollicone né tantomeno hanno dimostrato di possedere la protezione del cosiddetto muro della verità.

Dott.ssa Franco, la ringraziamo per la sua analisi.

Fonti

Foto copertina Serena Mollicone: https://www.huffingtonpost.it/entry/e-morto-il-padre-di-serena-mollicone-il-giorno-prima-dellanniversario-della-sua-scomparsa_it_5ed3f083c5b68bad363fbf23


Ursula Franco è medico e criminologo, è allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis, si occupa soprattutto di morti accidentali e incidenti scambiati per omicidi e di errori giudiziari. È stata consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti; è consulente dell’avvocato Salvatore Verrillo, difensore di Daniel Ciocan; ha fornito una consulenza ai difensori di Stefano Binda dopo la condanna in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi.

 

APPIAPOLIS: OMICIDIO MARTA RUSSO (II parte), ANALISI DI ALCUNE DICHIARAZIONI DI SALVATORE FERRARO E GIOVANNI SCATTONE

APPIAPOLIS, 6 giugno 2020

    –      di Ursula Franco *     –

Poche ore dopo la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise di Roma il primo giugno 1999, Salvatore Ferraro (Locri, 24 gennaio 1967), condannato per favoreggiamento, e Giovanni Scattone (Roma, 7 febbraio 1968), condannato per omicidio colposo, hanno rilasciato un’intervista al giornalista Francesco Giorgino:ferraro scattone OMICIDIO MARTA RUSSO (II parte): ANALISI DI ALCUNE DICHIARAZIONI DI SALVATORE FERRARO E GIOVANNI SCATTONE

Francesco Giorgino: Scattone, alcune ore fa la sentenza, una condanna a 7 anni per omicidio colposo (…)

Giorgino sta fornendo a Giovanni Scattone la possibilità di negare in diretta nazionale di aver ucciso Marta Russo.

Una negazione credibile è composta da tre componenti:

  • il pronome personale “io”;
  • l’avverbio di negazione “non” e il verbo al passato “ho”, “non ho”;
  • l’accusa “ucciso tizio”.

La frase “io non ho ucciso Marta Russo”, seguita dalla frase “ho detto la verità” o “sto dicendo la verità” riferita a “io non ho ucciso Marta Russo”, è una negazione credibile. Anche “io non ho ucciso Marta Russo, ho detto la verità, sono innocente” è da considerarsi una negazione credibile.

Giovanni Scattone: È una sentenza che mi ha lasciato molto amareggiato e non me l’aspettavo assolutamente, ero convinto che sarei stato assolto fin dal primo grado e sono… rimango comunque convinto che sarò assolto al termine dell’intero procedimento. Io non ho commessoo… questo omicidio, né colposo, né doloso, né nient’altro e, se avessi commesso un omicidio colposo, lo dicevo subito e non mi facevo un anno e mezzo di carcere che… mmm… sembra che me lo so’ fatto per sport questo anno e mezzo di carcere, lo dicevo immediatamente, anche perché è la prima cosa che mi è stata proposta quando sono stato arrestato.

“Io non ho commessoo… questo omicidio, né colposo, né doloso, né nient’altro” non è una negazione credibile.

Quando Scattone ha detto “se avessi commesso un omicidio colposo” ha aperto alla possibilità di aver ucciso Marta Russo.

marta russo OMICIDIO MARTA RUSSO (II parte): ANALISI DI ALCUNE DICHIARAZIONI DI SALVATORE FERRARO E GIOVANNI SCATTONE

Scattone, invece negare di aver ucciso Marta Russo limitandosi a proferire fino ad un massimo di 12 parole, poiché è privo della protezione del “muro della verità”, ha fatto ricorso ad una lunga tirata oratoria finalizzata alla persuasione del suo interlocutore. 

Salvatore Ferraro: Il disgusto ee… cresce perché quello che è successo durante questo processo, in questo processo e con questa decisione, mi lascia molto interdetto, mi spaventa, anzi.

Anche da Ferraro ci saremmo aspettati una negazione credibile.

Francesco Giorgino: Senta Scattone, cosa ha provato nel momento in cui il presidente della Corte Amato ha letto il dispositivo della sentenza?

Giovanni Scattone: Molta tristezza perché io mi aspettavo che… che la Corte non… non si facesse influenzare dall’atteggiamento pervicace e ostinato della procurache fino all’ultimo ha voluto fortemente la nostra condanna, non si capisce su quali basi concrete.

Anche in questo caso Scattone avrebbe potuto negare di aver ucciso la Russo ed invece si è limitato a dire che ha avuto un “atteggiamento pervicace ed ostinato” non che la procura si è sbagliata a perseguirlo.

Francesco Giorgino: Lei, Ferraro, ha fiducia nella giustizia italiana?

Una domanda che prevede o un “Sì” o un “No” come risposta.

Salvatore Ferraro: Ma io sono spaventato dalla giustizia italiana.

Ferraro è evasivo. Non risponde con un “No” per non mentire.

Francesco Giorgino: Perché?

Giorgino ha chiesto al Ferraro il perché si dica spaventato dalla giustizia, una domanda giusta posto che il Ferraro è abituato a non essere chiaro quando parla.

Salvatore Ferraro: Eh… perché questo processo mii… mi porta ad essere spaventato da questa giustizia.

Ferraro, non ha argomenti, non riesce a rispondere in modo sensato.

Ferraro si è detto genericamente “spaventato da questa giustizia” ma non è riuscito a dire “Sono spaventato perché io non ho commesso il reato per il quale sono stato condannato”.

Ferraro è un manipolatore e si aspetta sempre che siano gli altri a trarre conclusioni per lui.

Francesco Giorgino: Lei crede alla teoria del complotto da parte degli inquirenti?

Salvatore Ferraro: No, assolutamente no. Fa parte un po’, forse, della metodologia degli inquirenti cominciare con dei teoremi o con… con dei sospetti ed oggii io e Giovanni entriamo di diritto in quel club in cui ci sta Girolimoni dove ci sta Rapotez, dove ci sta Virgilio, dove ci sta Zarrelli, dove ci sta Enzo Tortora, da errore investigativo, oggi siamo un errore giudiziario eee… co… lo dico con l’amarezza, la rabbia e il disgusto che è giusto provare quando si sa di essere innocenti e si viene condannati.

Come sua abitudine, Ferraro si esibisce in una lunga tirata oratoria, va fuori tema per tentare di portare a casa il punto e sfrutta la domanda di Giorgino per equipararsi a Gino Girolimoni, Luciano Rapotez, Pasquale Virgilio, Domenico Zarrelli ed Enzo Tortora. Ferraro è incapace di provare vergogna.

È interessante che il Ferraro elenchi i sentimenti “che è giusto provare quando si sa di essere innocenti e si viene condannati”, si esprime così perché non riesce a dire “sono amareggiato, rabbioso e disgustato perché non ho ucciso io Marta Russo”.

Francesco Giorgino: I genitori di Marta Russo sono convinti della vostra colpevolezza.

Giorgino, ancora una volta, sta fornendo a Giovanni Scattone la possibilità di negare in modo credibile di aver ucciso Marta Russo.

Giovanni Scattone: Sì, bhè, di non accontentarsi di questa, che è una verità di comodo, e non è la verità vera.

Scattone è evasivo.

Quando Scattone dice “non è la verità vera” si aggrappa al fatto che la verità dei fatti non coincide con quella processuale.

Francesco Giorgino: Scattone, secondo lei, perché la Alletto ha con determinazione chiamato in causa sia lei che Ferraro?

Giovanni Scattone: Perché a quel punto aveva fatto delle dichiarazioni che non poteva ritrattare perché le conseguenze per lei sarebbero state pesantissime, sia in termini di perdere la faccia di fronte a tutta l’Italia, sia in termini proprio di condanna penale.

Giovanni Scattone sembra parlare per sé, sembra dirci il perché non abbia confessato l’omicidio colposo.

Francesco Giorgino: Subito dopo la sentenza cosa vi siete detti?

Giovanni Scattone: Io sono rimasto in silenzio, lui imprecava.

Francesco Giorgino: Che cosa impr…

Salvatore Ferraro: Frasi non riproducibili perché, diciamo, prendevano in considerazione un po’ tutto il paese.

Francesco Giorgino: Ce ne dia solo un assaggio.

Salvatore Ferraro: No, no, siamo in prima serata, non possiamo.

Ferraro, nonostante il peso della condanna, ha la premura di non dire parolacce in prima serata. Ferraro recita la parte del bravo ragazzo a favore delle telecamere, per lui questa intervista rappresenta la prima udienza del processo d’appello mediatico.

Il 9 giugno 1999, 8 giorni dopo la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise di Roma, Salvatore Ferraro e Giovanni Scattone sono stati ospiti di Bruno Vespa a Porta a Porta:

Salvatore Ferraro: Ma ioo… sono convinto di una cosa che questa ragazzaoggi ha bisogno di giustizia e di verità, questo io ho detto durante il processo, l’accuse che si… che ci hanno rivolto a me e a Giovanni non portano a questa verità, la sentenza… che… la Corte… ha emesso una settimana fa purtroppo non ha portato alla verità…

Si noti che Ferraro non nomina la vittima, non la nomina per evitare lo stress che gli produrrebbe.

Bruno Vespa: Voi siete uomini di legge.

Salvatore Ferraro: Sì, no, no, prima di tutto siamo uomini, abbiamo il dovere…

Ferraro è uno che straparla, è uno che si esibisce in lunghe tirate oratorie e sermoni nell’errata convinzione di essere più furbo degli altri.

Da notare la frase “prima di tutto siamo uomini, abbiamo il dovere” una frase che fa accapponare la pelle. Ferraro, a torto, è convinto di essere capace di manipolare il suo prossimo.

Bruno Vespa: (…) una condanna c’è stata (…)

Salvatore Ferraro: … sto parlando di verità, sto parlando di verità e quello che ho sempre detto è che… noi dobbiamo difendere la nostra innocenza per dare…aprire uno spiraglio alla verità e dare giustizia a Marta…

Ferraro non nega in modo credibile di aver ucciso Marta Russo, si spertica in un sermone dove si aggrappa agli errori degli inquirenti.

Dirsi innocenti non equivale a negare l’azione omicidiaria. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.

Bruno Vespa: Però lei me lo dice (…) però anche lei non ha manifestato alcun tipo di partecipazione al dramma di questa ragazza (…) ma insomma quella ragazza che c’entrava?

Salvatore Ferraro: Appunto, questo sto dicendo, io sto dicendo semplicemente che purtroppo a noi è capitata questa incriminazione terribile, essere considerati gli assassini di Marta Russo, la nostra… la nostra lotta, la nostra… la nostra funzione era quella di cercare in tutti i modi di arrivare alla verità difendendo la nostra innocenza, per difendere l’innocenza durante un processo terribile come quello a cui siamo stati sottoposti ci obbligava anche ad un controllo, a mantenere la calma, a mantenere la lucidità, ad andare fino in fondo, a cercare in tutti i modi di difendere la nostra innocenza.

Un sermone attraverso il quale il Ferraro prova a manipolare il suo interlocutore.

Lo ripeto: dirsi innocenti non equivale a negare l’azione omicidiaria. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.

Bruno Vespa: Lei mi sta dicendo che non avrebbe potuto difendere la sua innocenza scrivendo una lettera?

Salvatore Ferraro: Io sto dicendo semplicemente che io sono stato accusato ingiustamente di questo delitto e qualsiasi parola poteva anche essere utilizzata e strumentalizzata, come è accaduto anche durante il processo, io rivolgendomi al padre di Marta Russo durante il processo me ne uscì con questa espressione: “Lei un giorno forse mi ringrazierà”.

“io sono stato accusato ingiustamente di questo delitto” non è una negazione credibile. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.

Bruno Vespa: (…) voi, in questi due anni, non siete stati capaci di mettere in piedi un alibi credibile, un alibi sostenuto da qualcuno, lei dottore (Scattone) ha detto che stava a villa Mirafiori (…) ma non c’è stato nessuno che ha potuto confermarlo.

Giovanni Scattone: C’è stato un professore che sostanzialmente ha confermato che io so’ andato lì, non ricordava l’orario, non ricordava l’orario (…) ma secondo me, c’è… c’è un problema di fondo e cioè che io non avendo fatto nulla, non mi sono mai preoccupato di… di fare mente locale su cosa avessi fatto il 9 maggio, per cui io ho dovuto ricostruire a posteriori, addirittura ho dovuto ricostruire dopo che ero stato arrestato e questo è di fatto praticamente impossibile, anzi troppo siamo riusciti con gli avvocati a ricostruire tutte le cose che avevo fatto.

Scattone non riesce a dire “C’è stato un professore che ha confermato che io ero lì a colloquio con lui nel momento in cui Marta veniva uccisa” ma afferma “C’è stato un professore che sostanzialmente ha confermato che io so’ andato lì, non ricordava l’orario” mostrandosi poco convinto per l’uso dell’avverbio “sostanzialmente” e per la frase “non ricordava l’orario”.

“io non avendo fatto nulla” non è una negazione credibile. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.

Bruno Vespa: Lei quando sostiene di aver saputo la notizia della morte di Marta Russo?

Giovanni Scattone: L’ho saputo… che c’era stata una ragazza ferita all’Università, soltanto nel pomeriggio, l’ho saputo, quando ero all’Università però avevo visto che c’era la polizia.

Scattone non nomina la vittima per evitare lo stress che pronunciare il suo nome gli produrrebbe.

Bruno Vespa: Dottor Ferraro, anche per lei c’è un buco telefonico.

Salvatore Ferraro: Sì, c’è un problema telefonico, bhè io voglio prima di tutto ricordare che fui ascoltato dalla polizia 15 giorni dopo il 9 maggio, sfido chiunque a ricordare ee… a ricordare cosa ho… cosa ho fatto… ecco io non potevo ricordare con precisione se non ricordare quello che…

Ferraro mostra di essere in difficoltà, la sua difesa non è credibile, “15 giorni dopo il 9 maggio” la polizia gli ha chiesto che cosa avesse fatto il giorno del ferimento di Marta Russo, non poteva non ricordarselo, era accaduto un fatto inusuale proprio nei pressi del suo Istituto e di quello si parlava all’Università. Tutti coloro che frequentavano l’Istituto di Filosofia del Diritto sanno dove si trovavano nel momento in cui Marta veniva ferita.

Bruno Vespa: Voi vi siete rassegnati al fatto di non avere alibi (…)?

Salvatore Ferraro: No, io ho dato il mio contribu… contributo durante le indagini, ricordavo di essere stato a casa, di aver studiato quel giorno, di aver incontrato Marianna Marcucci ee… ma erano poche cose che potevo ricordare perché una giornata è difficile da ricordare. Voglio dire, anche in questo caso, allacciandomi a quello che ha detto Giovanni Scattone prima, ee… se avessi compiuto il delitto avrei avuto tutto il tempo a disposizione per costruire un alibi veramente decente.

Quando Ferraro dice “se avessi compiuto il delitto” lascia aperta la porta alla possibilità di aver commesso il delitto.

Un alibi si ha o non si ha e poi non esistono gradi diversi di “alibi”.

In realtà Salvatore Ferraro, proprio perché fu interrogato dopo 15 giorni in relazione ai suoi movimenti del giorno del ferimento della Russo, ha sperato di poterla fare franca raccontando fatti occorsi nei giorni precedenti al 9 maggio.

In due occasioni, riguardo al 9 maggio, ha dichiarato:

“Lo ripeto, quel terribile giorno in cui Marta Russo fu ferita mortalmente, per me è stata una giornata normale perché ero a casa a studiare, ero davanti a un libro arancione di linguistica. Con me c’era mia sorella. Poi ricevetti alcune telefonate e verso le 11.45 ricevetti anche la visita di Marianna Marcucci. Me lo ricordo perché parlammo della cena per il compleanno di sua sorella ( …)”.

“Quel 9 maggio, per me, fu una giornata incredibilmente normale, di routine (…) Ero a casa a studiare, dopo le prime pratiche mattutine mi sono messo davanti a un libro, di colore arancione, era un libro di linguistica (…) C’era anche mia sorella (…)”.

In entrambi i casi Ferraro ha descritto la giornata del 9 maggio come “normale” e “incredibilmente normale, di routine”. L’uso del termine “normale” è un segnale linguistico detto “Normal Factor” che ci indica che quella fu una giornata tutt’altro che normale per lui.

Francesco Giorgino: Perché prima ha detto di aver ricevuto la telefonata della Marcucci e poi su indicazione della stessa Marcucci ha sposato la tesi dell’incontro di persona intorno all’ora del delitto?

Salvatore Ferraro: Sì, esatto, esatto, Marianna Marcucci era un’amica che mi telefonava circa 30-35 volte al giorno la mattina, infatti l’8 maggio mi chiama circa 18 volte la mattina, tra le 8 e mezza e le 12 e 30, io probabilmente arrivai in procura con questo ricordo preciso di un bombardamento di telefonate fatte da questa amica (…).

Si noti “mi chiama”, l’uso del verbo al presente rende il racconto di un fatto passato non credibile.

Ferraro non è convinto di ciò che dice, lo prova l’uso dell’avverbio “probabilmente”.

Giovanni Scattone: Ma io credo che sia proprio l’impostazione dell’indagine che a un certo punto ha imboccato una pista sbagliata, quindi non credo… cioè io penso che l’unica cosa che il processo d’appello potrà fare è assolvere noi, non scoprire la verità. Io credo che per scoprire la verità occorre indagare su un’altra pista, questa però è una mia opinione.

Una risposta che è un clamoroso autogol.

Se Scattone non avesse commesso l’omicidio non aggiungerebbe “Io credo” e“questa però è una mia opinione” a “per scoprire la verità occorre indagare su un’altra pista”.

Salvatore Ferraro: No, io mi auguro che venga ancora prima del processo d’appello, venga fuori la verità e cioè che si trovi il vero responsabile dell’omicidio di Marta Russo.

Secondo il Ferraro esistono sia un “responsabile dell’omicidio” che un “vero responsabile dell’omicidio”.

Bruno Vespa: Posso chiederle se lei in carcere ha mai pensato a Marta Russo?

Giovanni Scattone: … Sì, bhè, quotidianamente, era inevitabile.

Scattone prende tempo prima di rispondere.

Bruno Vespa: Lei?

Salvatore Ferraro: Ma io più che altro avvertivo questa sensazione terribile di essere considerato l’assassino di Marta Russo, questa era la cosa più sconvolgente, io non pensavo… “guarda” – dicevo- “mi stanno considerando il suo assassino”, era la cosa che mi rendeva… che mi spaventava di più… che mi terrorizzava… che mi addolorava di più.

Ferraro è evasivo, non risponde alla domanda ma, come al solito, coglie l’occasione per parlare di sé e per precisare che non è stato lui a sparare il colpo mortale.

genitori marta russo OMICIDIO MARTA RUSSO (II parte): ANALISI DI ALCUNE DICHIARAZIONI DI SALVATORE FERRARO E GIOVANNI SCATTONE

Dalle dichiarazioni spontanee di Salvatore Ferraro, Corte d’ Assise di Roma, 7 settembre 1998:

Salvatore Ferraro: Un giorno, spero non lontano, spero che la verità venga fuori e quel giorno il padre Donato Russo, invece di guardarmi con odio e con disprezzo, io penso che mi abbraccerà, capir…

Ferraro mostra ancora una volta di essere privo di empatia.

Donato Russo: Io voglio la verità, voglio.

Salvatore Ferraro: Certo professore (incomprensibile) sono contento oggi di poter parlare con lei, finalmente faccia a faccia, io posso dirle con estrema forza, con estrema serenità…

Donato Russo: Tutto falso.

Salvatore Ferraro:… che non c’entro nulla con l’assassinio di… di sua figlia, lei il giorno che uscirà la verità capirà che questo sacrificio che io oggi sto facendo, che in questo anno ho fatto, l’ho fatto minimamente anche per sua figlia.

“non c’entro nulla con l’assassinio di… di sua figlia” non è una negazione credibile. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.

Da notare la parola “sacrificio” e “minimamente”.

Salvatore Ferraro: Non nascondo, con grande vergogna, di aver più di una volta pensato, solo per uscire dal carcere, di fare delle dichiarazioni accusatorie nei confronti di Scattone. Già dal giorno del mio arresto, e lo vorrei raccontare, mi fu offerta questa possibilità (…).

Con questa dichiarazione Ferraro ci dice a cosa si riferisse in precedenza con la parola “sacrificio”, ovvero al fatto di essersi sacrificato per Scattone.

Le dichiarazioni accusatorie di cui Ferraro parla le aveva già fatte durante il confronto con la Alletto, egli infatti ha domandato alla donna perché non gli avesse chiesto: “Cosa ha combinato Giovanni?” “il dottor Scattone cosa ha combinato?”, una frase attraverso la quale il Ferraro ha fatto sapere alla Corte che era stato Giovanni Scattone a sparare il colpo mortale.

Bruno Vespa: (…) lei però gli ha detto: lei mi abbraccerà ma glielo ha detto con gelo (…) lei pensa che per quello che è successo, per il gelo che c’è stato da voi, in questi due anni, il padre di Marta possa mai abbracciarla?

Salvatore Ferraro: No, io mmm… sinceramente questo gelooo mmm… non l’ho visto, e io dico che la verità… che bisogna stare al posto degli imputati per vedere quello che si prova ad essere accusati di omicidio, questo è il discorso.

Ferraro è in difficoltà, ancora una volta mostra di non avere empatia, si dipinge come una vittima ma non nega in modo credibile di aver ucciso Marta Russo.

Bruno Vespa: Bisogna stare anche al posto dei genitori della vittima.

Salvatore Ferraro: Sicuramente, ecco perché io mi son riferito, mi son… mi son rivolto al… al professor Donato Russo dicendo una cosa… eh… ma… abbastanza chiara, io non c’entro nulla con questo omicidio; mi son permesso di dire che, stando in carcere, io ho sempre avuto la possibilità… mi hanno offerto la possibilità… mi hanno offerto la possibilità di accusare Giovanni Scattone ma io sapevo benissimo che la scena raccontata dalla Alletto è una scena assolutamente falsa, una chiusura di questo tipo mi avrebbe permesso di uscire dal carcere ma non l’ho accettato perché non si può accettare una cosa del genere, io non l’ho accettato perché è una scena… è una scena falsa, è un fatto… noi non c’entriamo nulla con questo omicidio, sono convintissimo di ciò. Ho detto che questa nostra scelta di non arrivare ad una dichiarazione di comodo apre uno spiraglio seppur minimo alla verità.

“io non c’entro nulla con questo omicidio” non è una negazione credibile.

Dicendo “io ho sempre avuto la possibilità… mi hanno offerto la possibilità… mi hanno offerto la possibilità di accusare Giovanni Scattone” e “io non c’entro nulla con questo omicidio”, ribadisce ancora una volta che fu Scattone a sparare.

Ferraro non ha mai detto la verità sull’omicidio di Marta Russo ma è sempre stato estremamente preciso nel definire i ruoli, lo ha fatto di continuo e in presenza di Scattone perché l’amico avesse sempre ben chiaro che lui, Salvatore Ferraro, si stava “sacrificando” per lui.

Quando Ferraro dice “la scena raccontata dalla Alletto è una scena assolutamente falsa” e “è una scena falsa” parla al presente, di sicuro nel momento in cui parla la scena è falsa; Ferraro, per essere credibile, avrebbe dovuto dire: “Ciò che ha raccontato la Alletto non è mai successo, io e Giovanni non ci trovavamo nell’Aula 6 al momento dello sparo”.

“noi non c’entriamo nulla con questo omicidio” non è una negazione credibile ed è ulteriormente indebolita da “sono convintissimo di ciò”. Un altro autogol.

Scattone e Ferraro non hanno mai negato in modo credibile di aver ucciso Marta Russo. Durante le interviste hanno soprattutto dissimulato ma entrambi sono capaci di falsificare. Ferraro ha un’alta opinione di sé che lo ha condotto ad esporsi di continuo in lunghe tirate oratorie e in disgustosi sermoni fino a scoprirsi.

ursula franco 1 OMICIDIO MARTA RUSSO (II parte): ANALISI DI ALCUNE DICHIARAZIONI DI SALVATORE FERRARO E GIOVANNI SCATTONE

* Medico chirurgo e criminologo, allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari

OMICIDIO DI FABIO LORENZON, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: analisi dell’intervista rilasciata da Giovanni Zorzi

Sandro Zorzi

La trasmissione “Chi l’ha visto?” ha intervistato Giovanni Zorzi, fratello dell’uomo condannato per l’omicidio di Fabio Lorenzon. Giovanni Zorzi si batte per far riaprire il caso.

Le Cronache Lucane, 5 giugno 2020

Fabio Lorenzon è scomparso il 24 settembre 2009. Pochi giorni dopo, il 9 ottobre, un passante ha notato un’auto semi sommersa in un canale di irrigazione, all’interno della stessa è stato rinvenuto il corpo del Lorenzon con il cranio fracassato.

Il 15 gennaio 2013 la Corte di Assise di Roma ha riconosciuto Sandro Zorzi colpevole dell’omicidio dell’amico Fabio Lorenzon e lo ha condannato a 24 anni di carceri. 

Il 13 febbraio 2014 la Corte di Assise di Appello ha assolto Sandro Zorzi per non aver commesso il fatto. 

Il 26 gennaio 2016 la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado e, dopo un nuovo processo d’Appello che si è concluso con una condanna a 20 anni confermata dalla Cassazioni, per lo Zorzi si sono aperte le porte del carcere.

La criminologa Ursula Franco ha analizzato per noi le parole di Giovanni Zorzi, fratello di Sandro Zorzi, l’uomo condannato per l’omicidio di Fabio Lorenzon.

Giovanni Zorzi: Io fino alla fine lotterò per dimostrare che Sandro non c’entra niente. Sandro mi ha detto: “Io devo uscire da qua pulito perché io non ho fatto niente

Voglio precisare che è Giovanni Zorzi a parlare e che, attraverso l’analisi delle sue parole, intuiremo qual è il suo convincimento. 

Da Giovanni Zorzi, che combatte affinchè il caso venga riaperto, ci saremmo aspettati che dicesse “Sandro non ha ucciso Fabio Lorenzon”, parole che ci avrebbero provato che ritiene suo fratello Sandro innocente “de facto” ed invece il fratello dell’uomo condannato per l’omicidio del Lorenzon ha detto “Sandro non c’entra niente”.

“Sandro non c’entra niente” non equivale a dire “Sandro non ha ucciso Fabio” perché è una negazione priva di riferimenti all’azione omicidiaria e alla vittima.

”io non ho fatto niente”, parole attribuite da Giovanni a suo fratello Sandro, non sono una negazione credibile perché, anche in questo caso, mancano i riferimenti sia all’azione omicidiaria che alla vittima. “Io non ho ucciso Fabio” sarebbe stata una negazione credibile.

Giovanni Zorzi: Perché quel bastone… è stato… dopo ventotto giorno, trovato lì per terra? A parte che lì nessuno ha visto niente, ma pure la… uno lascia un bastone lì per terra? E ripeto lì non è successo niente perché lì c’erano anche le persone, Sandro stava… ma mettiamo pure, ma uno lascia un bastone lì per terra? Poi non ci sono manco le impronte di Sandro.

Si noti che Giovanni non dice “lì non è stato ucciso Fabio Lorenzon” ma “lì non è successo niente”, ancora una volta senza fare riferimento né all’azione omicidiaria, né alla vittima.

Si noti che Giovanni definisce l’omicida “uno” non “un assassino” o “un omicida” mostrando una inaspettata disposizione linguistica neutrale nei confronti dell’autore dell’omicidio, un soggetto che non solo ha ucciso il Lorenzon ma che, se suo fratello Sandro fosse vittima di un errore giudiziario, gli avrebbe rovinato la vita. 

Si noti l’autocensura dopo le parole “Sandro stava…”, un segnale che Giovanni nasconde informazioni.

Si notino infine le parole “ma mettiamo pure” attraverso le quali Giovanni apre alla possibilità che il fratello Sandro possa aver ucciso il Lorenzon o che qualcuno lo abbia ucciso nel luogo in cui è stata ritrovata l’arma del delitto, un appezzamento di terreno che appartiene a Sandro Zorzi.

CONCLUSIONI

Giovanni Zorzi non convince, non solo non ha mostrato di credere che suo fratello sia innocente “de facto”, ma ha aperto alla possibilità che il fratello abbia commesso l’omicidio o che qualcuno abbia ucciso il Lorenzon nel luogo in cui è stata ritrovata l’arma del delitto, un appezzamento di terreno che appartiene a Sandro Zorzi.

YOUMOVIES: Omicidio di Kathleen Peterson, è stato il marito Michael? (3 articoli)

Michael Peterson colpevole, ha ucciso lui Kathleen? La chiamata sospetta

YOUMOVIES, 29 agosto 2019

di Emanuela C.

Nel 2003 Michael Peterson è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di sua moglie Kathleen Hunt Atwater Peterson. L’uomo si è sempre dichiarato innocente.

Michael Peterson

Arrogante, ossessionato, privo di empatia e incapace di stabilire relazioni sane con gli altri; questa è la descrizione fatta dalla criminologa Ursula Franco su Michael Peterson.

L’uomo il 9 dicembre del 2001 ha chiamato i soccorsi dichiarando che la sua seconda moglie, Kathleen Peterson era riversa al suolo priva di conoscenza dopo essere caduta dalle scale.

Michael Peterson colpevole?

Nel corso della chiamata al 911 il romanziere afferma che sua moglie ha in corpo un cocktail di valium e alcool, tuttavia i segni sul corpo della donna escludono l’ipotesi di una caduta.

I lividi, le contusioni e le fratture di Kathleen sono state provocate da un oggetto contundente e con più precisione da un attizzatoio da cammino. Non solo, la testa della donna fu ripetutamente sbattuta al suolo.

Tracce dei suoi capelli vennero successivamente ritrovate sulla lattina di Diet Coke bevuta da Michael Peterson successivamente alla morte.

La donna morì dissanguata in circa 90-120 minuti, Michael Peterson si dichiarò sempre innocente ma venne ritenuto colpevole dell’omicidio della 48enne.

La chiamata sospetta

Ursula Franco è una criminologa italiana che ha analizzato la chiamata al 911 fatta da Michael Peterson il giorno in cui è morta sua moglie.

La conversazione è sospetta sotto diversi punti di vista: la straordinaria calma dell’uomo e la necessità di ingraziarsi l’operatore e il fatto che nelle prime battute dopo aver creato lo scenario affermando “Mia voglie ha avuto un incidente” ha subito aggiunto “Sta  respirando”.

La criminologa si sofferma su quell’ancora affermando che “è come se si aspetti che smetta di respirare”.

Non solo a destare sospetto fu la lontananza dal copro della moglie durante la chiamata, nonostante avesse un telefono cordless non è rimasto nei paraggi per constatare le condizioni della moglie.

Una famiglia americana come tante, una bella villa a Durham, nel North Carolina, e figli amorevoli

Eppure dietro la porta della loro dimora si è consumata un’inaspettata tragedia: nella notte dl 9 dicembre 2001 Kathleen Peterson è stata ritrovata priva di vita.

Kathleen Peterson, la verità sulla sua tragica morte

YOUMOVIES, 29 agosto 2019

di Emanuela C.

Il primo a prestarle soccorsi fu il marito Michael che chiamò il 911, una telefonata questa che aprirà su di lui i primi sospetti: irrealmente calmo e gentile, chiama lontano dal corpo della donna e afferma una frase che con il senno del poi ha dell’inquietante “respira ancora”, come se si aspettasse che da un momento all’atro il suo respiro si fermasse.

L’uomo dichiaro che Kathleen aveva ingerito un cocktail di valium e alcool e che era caduta dalle scale. La successiva autopsia non solo non troverà un livello alcolemico tale da giustificare l’accaduto ma constaterà che le ferite sul corpo della donna siano da individuare in un oggetto contundente, identificato in seguito come l’attizzatore del camino.

Una circostanza questa non riconosciuta dalla criminologa Ursula Franco che ritiene che Michael prese la donna per i capelli e le sbattè violentemente e ripetutamente la testa sui gradini.

Nel 2003 Michael Peterson venne ritenuto colpevole della morte di Kathleen Peterson. L’uomo nel 2017 chiese un nuovo processo e fu condannato a tempo già scontanto e per questo liberato.

Ancora oggi sostiene di non aver ucciso lui la sua seconda moglie.

DELITTO DI ARCE, CRIMINOLOGA URSULA FRANCO: SERENA UCCISA, GUGLIELMO MOLLICONE E CARMINE BELLI VITTIME DELLO STATO

Guglielmo Mollicone

Guglielmo Mollicone ci ha lasciati il 31 maggio 2020. Mollicone aveva avuto un infarto ed era ricoverato in coma all’ospedale Spaziani di Frosinone dal 27 novembre scorso.

Le Cronache Lucane, 2 giugno 2020

Serena Mollicone era nata ad Arce, in provincia di Frosinone, il 18 novembre 1982 e ad Arce è stata uccisa il 1º giugno 2001. Il suo cadavere è stato poi trovato due giorni dopo in località Fonte Cupa, nel boschetto dell’Anitrella.

Il cadavere di Serena, ritrovato due giorni dopo la sua scomparsa (1 giugno 2001) in un bosco a pochi chilometri da Arce, presentava i segni di un trauma contusivo alla tempia sinistra, aveva mani e gambe legate, nastro adesivo sulla bocca e un sacchetto di plastica sulla testa.

Nel settembre 2002 la procura di Cassino iscrisse nel registro degli indagati Carmine Belli, un carrozziere di Rocca d’Arce. Il 6 febbraio 2003, su richiesta dei pubblici ministeri Maurizio Arcuri e Carlo Morra, il GIP Francesco Galli dette il via libera all’arresto di Carmine Belli. Belli venne processato e assolto ma scontò comunque 17 mesi di carcere.

L’11 aprile 2008, Santino Tuzi, un carabiniere di Arce, si uccise all’interno della sua auto sparandosi con la pistola d’ordinanza. Tuzi aveva appena rivelato a chi indagava sull’omicidio di Serena Mollicone che la mattina della sua scomparsa, Serena era entrata nella caserma di Arce intorno alle 11.00 e fino alle 14.30 non era uscita. 

Nell’aprile 2019 la procura di Cassino ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso in omicidio per Marco Mottola, per suo padre Franco (ex maresciallo dei carabinieri), per sua madre Anna e per il maresciallo Vincenzo Quatrale e per favoreggiamento per l’appuntato Francesco Suprano. Quatrale è anche accusato di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi.

Abbiamo interpellato la criminologa Ursula franco che aveva analizzato le dichiarazioni di due degli odierni indagati traendo le seguenti conclusioni: “Né Marco Mottola, né suo padre Franco hanno negato in modo credibile di aver partecipato all’omicidio di Serena Mollicone, né hanno mostrato di possedere la protezione del cosiddetto “muro della verità”. La lettura delle dichiarazioni è stata un autogol”

– Dottoressa Franco, in tanti hanno ricordato Guglielmo come un guerriero.

Guglielmo Mollicone è morto senza che fosse fatta giustizia, 19 anni dopo l’omicidio di sua figlia, e va ricordato soprattutto come una vittima dello Stato, e, come lui, Carmine Belli. E’ una vergogna che in un paese civile si debba lottare per ottenere verità e giustizia. Ai familiari delle vittime di omicidio la verità devono fornirgliela in tempi ragionevoli quei dipendenti dello Stato che si chiamano pubblici ministeri, a cui noi paghiamo stipendi, pensioni ed errori. “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”, diceva Bertolt Brecht, “Beati quei paesi che non hanno bisogno di guerrieri in campo giudiziario”, dico io. 

– Dov’è il problema in Italia?

Molti pubblici ministeri mancano di competenze e nessuno di loro risponde dei propri errori, anzi vengono tutti allegramente promossi. E quando commettono un errore, per non perdere la faccia, si rifiutano di ammettere di essersi sbagliati, in USA li chiamano “Innocence Deniers”.

– Dottoressa come si misurano le competenze di un pubblico ministero?

Le competenze di un magistrato non si misurano sulla base della quantità di indagini disposte ma sulla sua capacità di ricostruire i fatti senza smagliature, non è bravo chi mantiene il carrozzone che circonda le procure (RIS e compagnia cantante), è bravo il magistrato che, con indagini mirate, fa emergere la verità.